II Domenica dopo Natale – Anno A
“Destinati ad essere figli di Dio, per essere pienamente uomini”
(Sir 24, 1-4. 12-16; Sal 147; Ef 1, 3-6. 15-18; Gv 1, 1-18)
Dopo aver festeggiato il Natale, mossi anche dal sentimentalismo, soffermiamoci ancora a meditare sul dono che Dio ci ha fatto con l’incarnazione del suo Figlio, Gesù Cristo.
San Paolo, nel brano della Lettera agli Efesini, afferma che Dio Padre ci ha benedetti in Cristo e “in Lui ci ha prescelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo” (Ef 1, 3-5). Ciò significa che Dio ci ha creati per amore e per conoscere e vivere l’amore. Non siamo stati creati per il male e per vivere nell’odio ed in ogni sentimento che produce morte.
Siamo stati pensati, voluti e creati per essere “santi”, cioè abitati dall’amore, da Dio. “Santi” non per nostro merito, non per nostro vanto, né per potere, ma perché amati e rigenerati dalla grazia di Dio.
Perciò “immacolati”, non da intendersi come preservati dal peccato, come la Vergine Maria, ma posti nella condizione di vincitori sul peccato e sulla morte per il dono della salvezza in Cristo. Grazie all’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo noi siamo posti nella condizione e possibilità di non peccare per la misericordia e la grazia che Cristo ci ha donato.
La condizione di santità e di purezza, che Cristo ci ha conquistato e a cui siamo stati prescelti dal Padre, ci appartiene a condizione che viviamo “nella carità”.
Vivere nella carità significa impegnarsi ogni giorno a vincere il nostro egoismo e tutti quei sentimenti che ci chiudono a Dio e ai fratelli.
La carità, l’agape è una forma di amore che viene erroneamente contrapposta all’eros, invece sono due forme di amore che ci appartengono e devono armonizzarsi in noi perché arriviamo a comprendere il nostro essere “destinati alla vita eterna” in quanto “figli adottivi”.
Noi siamo umani, anche se aperti al divino, perciò non dobbiamo vivere la fede come una lotta a tutto ciò che ci riguarda come uomini: desideri, fragilità, caducità, limiti, passioni e pulsioni.
La fede ci aiuta a vivere la nostra umanità appunto come creata da Dio, cioè “santa” e “immacolata”, destinata alla vita in Dio, ma non annullando ciò che siamo, bensì educandolo, correggendolo, guidandolo, illuminandolo perché si apra al dono della grazia di Dio.
Noi siamo costituiti da corpo ed anima e raggiungiamo la piena realizzazione di noi stessi quando vivono in unione.
Benedetto XVI, nella sua Enciclica “Deus caritas est” ci aiuta a comprendere bene il rapporto tra eros ed agape.
“Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. […] Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l'uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l'uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l'amore — l'eros — può maturare fino alla sua vera grandezza” (n. 5).
Vivere la “santità” e vivere “nella carità”, come dice San Paolo, non significa che dobbiamo rinnegare la nostra umanità. Non siamo chiamati a vivere in modo “angelico”, estraniandoci da tutto quello che è umano e aborrendo la nostra natura umana.
Siamo chiamati a vivere in pienezza il nostro essere umani nella consapevolezza di essere “figli di Dio”, creati per amore e per vivere nell’amore.
L’umanità è stata assunta dal Verbo, dice il prologo di Giovanni: “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). Nel farsi uomo, il Verbo ci ha indicato la via, ha illuminato la nostra esistenza perché imparassimo a vivere in pienezza il nostro essere uomini e “figli di Dio”.
In questi giorni di Natale, contemplando l’incarnazione di Gesù, riscopriamo la nostra umanità destinata alla pienezza, perché aperta all’amore.
Impegniamoci ad essere persone che fanno della propria umanità, seppure fragile e peccatrice, operosa nell’amore, cioè sempre alla ricerca della propria realizzazione attraverso la promozione della realizzazione altrui.
Contemplando il Verbo incarnato cerchiamo di fare della nostra umanità una presenza della divinità, mediante parole e gesti che esprimano il nostro essere “figli” e rinnovati “nella carità”.