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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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XXXI Domenica del Tempo Ordinario

“Aprirsi ed accogliere il dono della fede”


 

 

       Quante volte abbiamo sentito, o detto noi stessi, o condiviso espressioni del tipo: “Vorrei avere fede, ma non riesco!” oppure “Beato te che hai fede, io non riesco a credere!”.

       Sappiamo che la fede è un dono e a giustifica del disinteresse verso essa si afferma: “io non l’ho ricevuta!”.

       La fede si riceve come dono attraverso una testimonianza di vita da parte di chi la vive, ma occorre disporsi a riceverla vincendo l’indifferenza e la presunzione del cuore di fare a meno di Dio, di tutto ciò che è “oltre il personale criterio valutativo e decisionale”.

       La fede richiede la decisione personale di incontrare Dio. Il Signore si propone, ma non si impone! Solo grazie alla decisione personale lo si incontra, lo si accoglie e lo si conosce.

       Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco (Lc 19, 2), curioso di voler conoscere il famoso Gesù di Nazareth, decide di salire su di un albero a causa della sua statura.

       Molti esegeti evidenziano che il dettaglio sulla sua statura, per Luca ha un significato non solo reale, ma anche metaforico.

La sua condizione morale, essere pubblicano e ricco, lo porta a non poter elevarsi alla conoscenza di Dio. La sua statura morale è infima, come lui stesso denuncia a Gesù: “… do la metà di ciò che possiedo … se ho rubato a qualcuno …” (v. 8).

       La decisione personale di Zaccheo di voler mettersi in gioco con Gesù, di voler superare il proprio limite fisico e il proprio peccato, gli permettono di incontrare la Grazia del Signore e di convertirsi: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza …” (v. 9).

     Alla libera decisione dell’uomo di aprire il cuore corrisponde l’iniziativa personale di Dio di donarsi, amare e redimere la persona. Zaccheo si eleva, ma resta in silenzio. Gesù volge lo sguardo e lo interpella nella sua intimità: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (v. 5).

          La casa indica l’intimità della persona e la sua totalità. Gesù vuole fare comunione nel profondo dell’essere umano, non si accontenta di una relazione superficiale, perché il dono del suo Amore è per la redenzione, la salvezza integrale della persona.

       Zaccheo, accogliendo il Signore nella sua intimità, realizza una radicale conversione esistenziale; fa esperienza dell’amore misericordioso di Dio, che lo apre al pentimento e alla corretta relazione con il prossimo; stravolge la sua esistenza passando dall’egocentrismo al cristocentrismo, dall’egoismo alla carità.

           Il Signore non ha giudicato e condannato Zaccheo, ma ha deciso di fermarsi nella sua casa, di entrare nella sua esistenza e rinnovarla con la forza coinvolgente del suo Amore, perché Egli ha “compassione di tutti … chiude gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento” (Sap 11, 23).

         I presenti, invece, hanno giudicato e mormorato: “è entrato in casa di un peccatore!” (Lc 19, 7), perché la giustizia degli uomini, anche quando presume di basarsi sulla legge di Dio, non distingue il peccato dal peccatore.

        Il Signore separa sempre la persona dal suo errore, perché non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr. Ez 33). Gesù afferma: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10).

L’iniziativa di Dio verso il peccatore è pedagogica ed educativa: “tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore” (Sap 12, 2).

          Il Signore non giudica, ma corregge; non condanna, ma salva; non esclude nessuno, ma accoglie tutti, perché tutti gli appartengono.

          Come Zaccheo, impariamo ad elevarci dalla nostra condizione per andare incontro al Signore; lasciamolo entrare nella nostra vita, perché porti a “compimento ogni proposito di bene”.


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