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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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XXIV DOMENICA T.O.

“Dalla propria giustizia … alla misericordia di Dio”


 

 

       Nelle religioni antiche il culto delle divinità era vissuto per aggraziarsi favori ed essere protetti da ogni pericolo.

      Dio, nella sua onnipotenza, è considerato il più delle volte ostile all’umanità, la quale, facendo i conti con la propria caducità e mortalità, attribuisce a Dio la responsabilità delle disgrazie e calamità che la possono colpire.

       Anche nella fede cristiana questa modalità di relazione con Dio è presente, pur essendo del tutto contraria alla rivelazione.

      La rivelazione di Dio, conclusa con Gesù Cristo, presenta sicuramente un Dio “geloso”, che esige la fedeltà da coloro che lo accolgono, ma anche “misericordioso”, pronto a riammettere nel patto di alleanza il popolo che si è allontanato.

     Dio rivelandosi a noi prende per primo l’iniziativa di amare l’umanità. In ogni pagina della Bibbia troviamo chiaramente espresso questo concetto, anche in quelle pagine in cui, a prima vista, Dio si presenta irascibile e pronto al castigo ed il brano di Esodo 32, di questa domenica, ne è un esempio.

      Dio non gode della fragilità dell’umanità, del suo peccato, del suo errore. Non attende l’errore e la mancanza di fedeltà a Lui per esprimere la sua potenza con il castigo, infliggendo sofferenza e prove. Dio, invece, ama l’umanità ed offre ad essa la possibilità di esprimere il meglio di sé osservando la sua proposta di vita, indicata nella sua Parola, nei suoi comandamenti, che sono vie per amare e vivere nell’amore.

      In Gesù Cristo tutto questo si è completato, offrendo sé stesso per amore sulla croce.

      Il brano di Luca (15, 1-32) ci presenta Dio come Padre ricco di tenerezza e di misericordia, che trasalisce di gioia nel vedere il figlio tornare a casa. L’evangelista ci ricorda che la Chiesa non è un assise di giusti, ma una comunità di peccatori, che fanno esperienza della misericordia di Dio in ogni istante della propria giornata.

      Il cristiano non è, dunque, perfetto e giusto, ma peccatore che si impegna a vivere nella fedeltà a Colui che lo ama e lo rende “santo” con la sua misericordia.

      Solo chi ha ben presente la propria fragilità, il proprio limite e peccato, vive nella corretta relazione con Dio, perché non monta in superbia, ma conserva sé stesso nell’umiltà e sa riconoscere i doni incommensurabili della grazia di Dio.

     Il credente è il “giusto”, reso tale dall’amore misericordioso di Dio, che attua nel proprio atteggiamento di vita la misericordia verso i nemici, verso i peccatori, verso ogni persona.

    Non si tratta di buonismo di basso livello, di tolleranza e giustificazione del male, ma di riconoscere che ogni persona può, se vuole, esprimere il meglio di sé e, quindi, gli offre la possibilità di farlo accogliendolo.

     Dio non condanna mai la persona, ma il peccato! Chi è escluso dalla misericordia di Dio? Nessuno, ma ognuno si auto esclude quando, nella sua scelta di libertà, si allontana da Dio, non accoglie la sua proposta di vita.

     Il figlio più giovane, nella sua libertà sceglie di andare via di casa. Il padre lo lascia libero di scegliere e di ritornare, così come lascia libero il fratello maggiore. Questi, pur restando nella casa del padre, non vive riconoscendo il bene e facendolo fruttificare nel suo cuore, tanto che “si indignò” per la festa al rientro del fratello (Lc 15, 28). Il figlio più giovane segue il suo “desiderio di libertà e di piacere”, il figlio maggiore resta prigioniero del “senso del dovere” perché tutti e due vedono il padre come un padrone! Entrambi non riescono a sperimentare la gioia dell’amore del Padre perché non lo conoscono!

     Non è sufficiente professarsi cristiani, andare a messa, recitare le preghiere, fare gesti di carità, osservare i comandamenti, per vivere nella misericordia di Dio ed essere “resi giusti”, “santi” da Dio. Occorre rinnovarsi nel cuore e nella mente, essere vigili, attenti e prudenti, consapevoli che è facile errare, per vivere da persone misericordiose, consapevoli di essere fragili e peccatori.

    Essere cristiani significa passare dalla presunzione di giustizia alla gioia di essere figli del Padre misericordioso. Come San Paolo, dobbiamo passare dalla irreprensibile osservanza della Legge, alla “sublimità della conoscenza di Gesù Cristo” (Fil 3, 6.8). Il cristiano è un convertito dalla propria giustizia alla misericordia di Dio, per essere testimoni autentici dell’amore di Dio (vedi 1Tm 1,12-17).

     “Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte (Lc 15, 10). Di' loro: Com'è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio -, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva (Ez 33, 11).

    La fede cristiana è vivere nell’amore ricevuto e donato. Avendo fatto esperienza della misericordia di Dio viviamo in questo amore accogliendo e perdonando.

      La vita cristiana non è rispetto di regole, ma consapevolezza di essere figli amati e di questo amore contagiare il prossimo.

     “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui. In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3, 14-16).

     Viviamo nell’Amore di Dio e contagiamo il mondo con il suo Amore compiendo opere di misericordia!


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