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Solennità della Santissima Trinità (Anno B) - 2024

“Creati dall’Amore per amare”


 

(Dt 4,32-34.39-40 -Sal 32 - Rm 8,14-17 - Mt 28,16-20)

      

       La Solennità della Santissima Trinità si è celebrata nella Chiesa dapprima come devozione singola di alcune diocesi o comunità monastiche, come nell’ Abbazia di Cluny. Papa Alessandro II (153° Pontefice dal 1061 al 1073), pur rilevando la sua ampia diffusione, non la ritenne obbligatoria per la Chiesa universale. Fu introdotta nella liturgia cattolica nel 1334 da papa Giovanni XXII.

       Per comprendere il significato profondo di questa Solennità lo spiega in modo semplice e profondo Benedetto XVI nell’Angelus del 07 giugno 2009. Egli afferma: «Quest’oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù. Egli ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. […] Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. “O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (Sal 8,2) – esclama il salmista. Parlando del “nome” la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il “tessuto” di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all’Amore. “In lui – disse san Paolo nell’Areòpago di Atene – viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore»[1].

       Queste parole di Benedetto XVI ci stimolano a riflettere sulla nostra vita, su quali valori la fondiamo e come viviamo la nostra fede.

       Nel contesto culturale occidentale in cui viviamo, i valori su cui fondiamo la vita sono sempre meno assoluti. Sebbene restino importanti, come l’amore, la famiglia, l’onesta, il rispetto, cadono in una valutazione relativa alle situazioni e soggettiva a seconda del proprio tornaconto.

      Anche la fede rischia di essere vissuta in modo soggettivo e relativo. Piuttosto che unire divide; più che generare amore e serenità diventa motivo di giudizio e di condanna. Ciò accade non solo per le situazioni più in generale a livello mondiale, divenendo motivo di guerra, ma anche e soprattutto nella quotidianità della vita comunitaria di fede, nelle parrocchie, gruppi e associazioni.

       Se ci soffermiamo a riflettere sullo stile delle comunità di fede, dal modo di vivere le relazioni e la fede nelle parrocchie, nei gruppi laicali, nel presbiterio, nelle comunità religione, possiamo affermare con assoluta certezza che sono realtà in cui si vive l’Amore trinitario?

Purtroppo, la componente che più si evidenzia è la fragilità umana, che offusca la presenza dell’Amore di Dio. Sicuramente la scelta di fede è piena e consapevole, ma la componente umana, fragile e caduca, diventa sempre quella rilevante e predominante. La motivazione spesso è da ricercare nel “dare per scontato che credere sia sufficiente a vivere da credenti”, mentre è sempre necessario e indispensabile vivere un attento e profondo esame di coscienza personale e comunitario per orientare meglio il cammino di fede in Dio.

       La vita del credente è vivere nell’Amore trinitario ed esserne espressione nelle relazioni interpersonali di amore.

      L’impegno del credente deve essere tutto orientato a conservarsi nell’amore trinitario in cui è inserito per il dono del Battesimo ricevuto e vivendo secondo gli insegnamenti del Cristo: «[…] Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20).

       La vita di fede è operare nell’amore trinitario generando comunione di vita con i fratelli: la fede si attua nella carità!

       La fede non è semplicemente pratica religiosa, devozione o tradizione di pietà, ma vita di carità, di comunione. Ogni atto di culto trova senso e fondamento nell’amore di Dio ricevuto e accolto, e rimanda ad una vita di amore verso i fratelli, senza la quale ogni preghiera e atto di culto a Dio Trinità perde di significato: «[…] Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5, 23-24).

       La preghiera è mozione dello Spirito, è risposta d’amore all’amore ricevuto da Dio: «[…] avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»» (Rm 8, 15).

       Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio “Padre”; ci ha donato lo Spirito che ci fa pregare; ci ha insegnato ad amare e perdonare, liberandoci dalla giustizia farisaica (cfr. Mt 5, 20).

       Gesù ci ha insegnato ad amare senza riserve, superando la logica del “dare ed avere”, amando e perdonando con la stessa gratuità con la quale siamo stati amati e perdonati da Dio.

       Vivendo in questo amore siamo inseriti nella vita in Dio, costituiti dallo Spirito “eredi di Cristo”: «[…] se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8, 17).

       Partecipare alle sofferenze di Cristo, significa amare con la sua misura, perdonare oltre ogni logica, donare sé stessi in una relazione fraterna ponendosi a servizio di carità del prossimo.

       In questa Solennità, in cui celebriamo l’essenza del Dio in cui crediamo, l’Amore, invochiamo il dono dello Spirito perché ravvivi in ciascun battezzato il desiderio e l’impegno a vivere nell’Amore trinitario.

       Invochiamo il dono dell’Amore per vivere nella vera comunione con Dio e con i fratelli chiedendo l’intercessione della Vergine Maria, lei che, come afferma Benedetto XVI all’Angelus del 2009, «nella sua docile umiltà, si è fatta ancella dell’Amore divino: ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. In Lei l’Onnipotente si è costruito un tempio degno di Lui, e ne ha fatto il modello e l’immagine della Chiesa, mistero e casa di comunione per tutti gli uomini. Ci aiuti Maria, specchio della Trinità Santissima, a crescere nella fede nel mistero trinitario».

[1] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2009/documents/hf_ben-xvi_ang_20090607.html


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