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Seconda Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia (Anno B) - 2024

“Testimoni della resurrezione di Cristo”


 

(At 4,32-35 - Sal 117 - 1Gv 5,1-6 - Gv 20,19-31)

 

       «Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù» (At 4, 33).

       Questo versetto degli Atti degli Apostoli ci stimola a considerare anche la nostra condizione di credenti nell’oggi.

       Gli Apostoli, dalla cattura alla resurrezione di Gesù, vivevano nascosti ed impauriti. Dal tradimento di Giuda, al rinnegamento di Pietro, al vivere chiusi per paura di essere catturati, passano a testimoniare con forza che Gesù è risorto. Cosa è successo?

       Sono stati ricolmi dello Spirito Santo, infatti, come afferma l’evangelista Giovanni nella sua prima Lettera, «è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità» (1Gv 5, 6).

       Da qui la domanda per noi credenti nell’oggi: siamo testimoni della risurrezione di Cristo con la stessa forza e coraggio degli Apostoli?

       Anche noi abbiamo ricevuto in dono lo Spirito Santo che ci sostiene e guida nella testimonianza di fede. Non dovremmo avere paura di vivere e testimoniare la nostra fede, eppure non sempre i credenti, la Chiesa, quindi, è testimone della risurrezione di Cristo.

       Perché? La risposta la troviamo proprio nelle Letture di questa seconda Domenica di Pasqua.

       Le nostre comunità cristiane sono comunità pasquali? Si vive nella vera comunione tra i credenti? Sono comunità dove è possibile condividere la vita, sentirsi accolti, in cui fare esperienza vera della Misericordia di Dio?

       Quante divisioni, quanto giudizio, quanta ipocrisia. Attaccati alle consuetudini, alle pie pratiche sterili, ognuno con la certezza di avere la coscienza retta per il semplice “praticare” la vita di Chiesa.

       Di fatto, con una esegesi un po’ più attenta delle Letture di questa domenica, emerge che il cammino di fede è sempre in divenire e chiede una costante revisione e impegno di attuazione della Parola nella concretezza della propria esistenza.

       «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato» (1Gv 5,1).

       Giovanni afferma con estrema chiarezza e forza che credere e riconoscere che Gesù è il Cristo significa amare Dio Padre, dal quale Gesù è generato, e il prossimo, perché generati e creati da Dio.

       Giovanni considera l’amore per Dio e per il prossimo come un’unica realtà inscindibile e questo lo afferma con ulteriore forza nel versetto successivo: «In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti» (v. 2).

       Credere vuol dire camminare nella volontà di Dio, seguire il suo insegnamento e l’insegnamento di Dio è l’Amore: amare Dio e il prossimo (Mt 22,35-40; Mc 12, 28-31).

       «In questo, infatti, consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Gv 5, 3)

       Essere testimoni gioiosi e coraggiosi della risurrezione di Cristo, quindi, significa vivere il comandamento dell’Amore. Vivere nell’amore per il prossimo, essere comunità in cui ogni persona si senta amata ed accolta. Non dovrebbe mai esserci indifferenza!

       Di fronte a questo comandamento chi può sentirsi a posto in coscienza? Chi mai può dire di essere capace di amare e di accogliere tutti? Chi può affermare che non ha escluso nessuno dalla propria vita?

       Credo che già questo basta a far tremare le ginocchia e prostrarci di fronte a Dio per invocare la sua misericordia.

       Giovanni, però, ci ricorda che i comandamenti non sono gravosi, pesanti e, di conseguenza, impossibili da vivere. Come? Se abbiamo veramente fede in Dio, in Cristo, attuare il comandamento dell’amore è possibile nonostante la nostra miseria e fragilità.

       Per la fede siamo chiamati ad amare; per fede possiamo vincere le nostre resistenze interiori, il nostro orgoglio e la nostra fragilità; per fede cresciamo nell’amore verso Dio e il prossimo.

       La Chiesa, le singole comunità di fede, ogni singolo credente è testimone della risurrezione di Cristo quando vive nell’amore, quando nessuno si sente emarginato, escluso, giudicato.

       «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20, 23).

       Con questa chiave di lettura dobbiamo leggere il brano del Vangelo, in questa Domenica della Divina Misericordia.

       Il perdono dei peccati è conseguenza della risurrezione di Cristo. Essere testimoni della risurrezione di Cristo significa saper perdonare!

       Perdonare significa far vivere l’altro, donargli vita nel nostro cuore, perché lo riconosciamo nostro fratello.

       Vivere il comandamento dell’Amore verso Dio e verso i fratelli significa vivere nella consapevolezza di essere stati perdonati e di essere bisognosi di perdono e saperlo donare al prossimo.

      

       L’affermazione di Gesù, «a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati», può essere intesa in vario modo. La Chiesa ha ricevuto il potere divino di perdonare; tuttavia, mentre Dio sempre e solo perdona, noi non sempre siamo capaci di farlo. Non perdonare comporta restare nel proprio peccato, non vivendo il perdono di Dio (Mt 6, 14; Mc 11, 25).

       Il perdono ci inserisce nella vita di Dio, ci permette di rinascere in Dio, di conseguenza, essere figli di Dio richiede la capacità di vivere nella misericordia e donarla.

       L’Amore di Dio Padre vive in noi se amiamo i fratelli.

       Il perdono ricevuto e accordato (cf Mt 18, 21-35), costituisce la comunità dei fratelli che vivono la pace e la gioia del Cristo Risorto: «Pace a voi» (Gv 20, 19).

       Chi perdona diventa figlio del Padre; chi è perdonato, accogliendo il perdono, diventa a sua volta figlio, capace di perdonare e dire in Spirito e verità: “Abba, Padre”, “Padre nostro” (Mt 6, 9-18).

       Il cristianesimo è la “buona notizia” del perdono del Padre nel Figlio e la libertà dei figli.

       «L'amore del Cristo, infatti, ci possiede […] Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio, infatti, che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5, 14.17-21).

       Queste parole di San Paolo ci fanno comprendere che, quando l’uomo accetta l’amore del Figlio, è riconciliato con Dio, con sé e con gli altri. Diventiamo così testimoni gioiosi e coraggiosi della risurrezione di Cristo, consapevoli di essere amati, perdonando per vivere da figli di Dio nel Figlio Gesù.

       In questa domenica, in cui i neobattezzati toglievano la veste bianca del Battesimo, ricevuto nella Veglia di Pasqua, per riprendere gli abiti della quotidianità, siamo chiamati a prendere coscienza del dono ricevuto nel Battesimo, di essere figli di Dio, rinati a vita nuova, chiamati a vivere questa condizione nella quotidianità della nostra esistenza, amando Dio e il prossimo, consapevoli del dono della misericordia di Dio per donarla ad ogni persona.

       In questa Domenica della Divina Misericordia soffermiamoci a contemplare il dono di Dio Padre del suo Amore, donato a noi nel Figlio Gesù, morto e risorto, interrogandoci in coscienza per comprende se e come viviamo la fede, se siamo testimoni del risorto vivendo nella logica dell’Amore misericordioso.

      


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