Seconda Domenica di Quaresima (Anno B) - 2024
“Trasfigurati per la fede”
(Gen 22,1-2.9.10-13.15-18 - Sal 115 - Rm 8,31-34 - Mc 9,2-10)
Quando proviamo a chiedere, soprattutto ai giovani, del perché non credono in Dio, la risposta che maggiormente si riceve è che “Dio non si vede!”.
Hanno ragione! Si, Dio non si vede!
Come si può credere in un Dio che resta nascosto, che pretende di essere accettato e creduto solo perché c’è un testo considerato sacro, ma scritto dagli uomini e che spesso è in netta contraddizione con le affermazioni scientifiche? Oppure come è possibile credere in Lui e nella sua presenza reale in un po’ di farina mescolata ad acqua o in un po’ vino?
Si, hanno ragione, è una cosa assurda, irrazionale!
Non c’è da scandalizzarsi! È proprio così, credere nel Dio rivelato è possibile solo se chi lo ha incontrato ed accolto la Sua Parola lo annuncia con la propria vita.
Hanno ragione perché i cristiani, che dovrebbero essere “Trasfigurati” per la fede che professano, di fatto non sono nella società “presenza di Dio”!
Essere “Trasfigurati”: ecco l’identità del cristiano! Questo significa che la propria vita torva senso e guida nel Signore e nella sua Parola. Quando la vita del credente è tutta orientata secondo l’insegnamento di Dio e vissuta nella consapevolezza di essere destinata alla vita eterna in Dio, diviene “presenza stessa di Dio” nel mondo, è la condizione della “santità” che appartiene di fatto a chi crede perché è abitazione di Dio in sé.
Il brano evangelico della Trasfigurazione evidenzia lo stupore e la paura dei discepoli presenti (Mc 9, 6), ma catturati da ciò a cui stavano assistendo tanto da chiedere di restare perché è “bello” per loro.
La fede è incontrare Dio, imparare a stare alla sua presenza, vivere una relazione personale e profonda. Il termine greco usato dagli evangelisti sinottici è καλόν da καλός, che significa bello, utile, encomiabile, ammirabile, ma anche moralmente buono, nobile, che influenza la mente in modo buono, confortante e confermante.
Pietro, Giacomo e Giovanni hanno vissuto una esperienza che, sebbene abbia generato spavento, timore, ha di fatto toccato le loro vite e l’hanno considerata tanto necessaria da non volerla far finire e desiderando di restare in quella condizione ergendo le tende (Mc 9, 5; Mt 17, 4; Lc 9, 33).
Dovrebbe essere questa l’esperienza del credente che incontra Dio: viverla come bella ed essenziale per la propria vita e impegnarsi a “restare” in quella condizione.
La vita sacramentale è proprio questo! Celebrare i Sacramenti significa entrare in piena comunione con Dio ed essere “trasfigurati” dalla sua Grazia.
Il Battesimo è l’inserimento nella “Gloria di Dio” e ogni giorno il credente dovrebbe tenere presente questa condizione e vivere nella fedeltà al dono di grazia ricevuto.
La Riconciliazione è il “lavacro interiore”, la rigenerazione della propria coscienza mediante l’esperienza della “misericordia di Dio” che Egli dona abbondantemente a chi riconosce il proprio errore e si l’Amore gratuito e fedele di Dio che ha tradito con il suo comportamento.
L’Eucaristia, celebrata e adorata, è il “Tabor” a cui Dio ci chiama per lasciarci “trasfigurare” dalla sua Grazia mediante la sua presenza reale nell’ostia consacrata. L’Eucaristia è l’esperienza del Tabor a cui Cristo ci invita per “ascoltare la Parola” e “vivere la comunione con Lui”. L’Eucaristia è il dono della “trasfigurazione” a cui accostarci con cuore disponibile e puro, con la coscienza libera e vera, con sentimenti di carità e umiltà, liberi da tutto ciò che genera divisione e esclusione.
La vita da trasfigurati, però, non è una condizione da “privilegiati”, ma un dono da “condividere” con il prossimo perché, mediante la testimonianza del cristiano, ad ogni persona sia data la possibilità di vivere l’incontro con Dio ed essere immerso nella Sua Grazia.
L’esperienza del Tabor esige di “scendere dal monte” per vivere nella quotidianità da “trasfigurati”.
Una condizione di vita che si traduce in una esistenza vissuta nella fedeltà all’insegnamento di Dio, alla Verità, sapendo scegliere sempre ciò che è secondo la volontà di Dio, accettando di andare “controcorrente”, di essere “segno di contraddizione” nel mondo, per non conformarsi alla mentalità del mondo e restare fedeli a Dio.
In questa seconda domenica di Quaresima siamo chiamati e riflettere se siamo “trasfigurati” e se sappiamo rinunciare alla mentalità del mondo per vivere la “fedeltà dei Figli di Dio”.
La vita di fede è fedeltà a Dio e cammino nel suo “timore”, cioè consapevolezza del suo Amore per noi e impegno a non tradirlo. Ciò che deve stimolare ogni giorno nel vivere da “trasfigurati” è essere riconosciuti “figli di Dio nel Figlio Gesù” e sentirci dire ciò stato detto al patriarca Abramo: «Ora so che tu temi Dio» (Gn 22, 12).