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La Luce Negli Occhi

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Prima Domenica di Avvento – Anno B - 2023
“Vigilare per vivere nella Verità secondo Carità”


(Is 63,16-17.19; 64,2-7 - Sal 79 - 1Cor 1,3-9 - Mc 13,33-37)

            Dovendo individuare la caratteristica che distingue l’essere “umano” da tutti gli altri esseri viventi immediatamente si fa riferimento al raziocinio, cioè alla capacità e alla facoltà di fare uso della ragione, di riflettere, ragionare e argomentare, con equilibrio e buon senso.

       Avere questa capacità, però, richiede anche impegno e attenzione; studio e conoscenza; analisi e valutazione; tutte attitudini che si affinano nel tempo e con grande senso di responsabilità e maturità. Infatti, ciò che distingue un adulto da un bambino è la sua capacità di analisi, valutazione e assunzione di responsabilità.

         L’età matura non sempre coincide con l’età anagrafica, cioè si è adulti perché si è raggiunta la maggiore età stabilità dalla legge, per cui si diventa personalmente responsabili dei propri atti, ma non è scontato che si è raggiunta la maturità di vita.

       Oggi molti adulti vivono come degli eterni giovani. Si cerca in tutti i modi di sfidare gli anni che passano, il tempo e la vecchiaia che incalza.

        A causa della cultura odierna, basata sull’efficientismo e sull’individualismo, la vita umana è sempre più apprezzata a condizione di ciò che si può fare e se si è in perfetta efficienza fisica.

       Oggi i “saggi” sono gli “influencer”, i “realizzati”, sono i “VIP”; se “non ci si sballa”, non ci si diverte e se non si vive la “movida” si è considerati ai margini della società.

       In questo contesto culturale, parlare di “Vigilanza”, del “Vegliare” è quasi incomprensibile. Vegliare è inteso come passare la notte del sabato fuori casa a divertirsi fino all’alba, dopo una settimana di lavoro.

       “Vegliare”, “vigilare” inteso come capacità di discernimento, di analisi attenta e precisa sulla vita risulta difficile e incomprensibile, perché i riferimenti categoriali e valoriali sono cambiati.

       Le categorie di “Bene” e di “Male” sono sempre più soggettive e, di conseguenza, la valutazione delle circostanze, delle situazioni e degli atti risulterà sempre più legata ai criteri individuali e alle letture soggettive delle circostanze.

       In questo contesto culturale, la proposta di vita evangelica trova sempre più difficoltà ad essere compresa ed accolta, perché basata su valori assoluti e non relativi, sulla sequela di Dio e non sull’affermazione della soggettività.

       Come cristiani siamo, dunque, caricati di una maggiore responsabilità e gravati dall’urgenza di testimoniare il valore alto e liberante della fede, della sequela di Dio con una condotta di vita “vigile” e “attenta” nel discernere per vivere la fedeltà alla Verità nella piena realizzazione del Bene.

       Iniziare un nuovo Tempo di Avvento deve essere uno stimolo a riconsiderare con attenzione la propria vita di credenti a partire dalla capacità di vivere la quotidianità illuminata dalla Verità di Dio, dalla sapienza della sua Parola e dalla costante costruzione del Bene di tutti, quindi, del Regno di Dio.

       In questa Prima domenica di Avvento, la Parola di Dio ci viene in aiuto per rinvigorire la nostra adesione al Signore e liberare il cuore da ciò che non ci permette di discernere il bene dal male e ritenere ciò che è buono e valido per l’edificazione comune.

       Soffermiamoci sui versetti 35 e 36 del brano evangelico di Marco capitolo 13. I capitoli 11-13 sono definiti come il «discorso escatologico» e costituiscono l’ultima parte del lungo insegnamento di Gesù impartito nel o davanti al tempio. Gesù in questi versetti esorta a tenere vigile la coscienza ed essere pronti all’incontro con Dio. Parla del padrone di casa e di servi: il padrone è Cristo e i servi siamo noi che abbiamo scelto di seguirlo. Gesù esorta alla fedeltà a Lui e per questo ad una costante vigilanza su sé stessi per non deviare dal cammino di sequela, per essere testimoni del Vangelo e “sentinelle” per il prossimo per saper aiutare a discernere il Bene dal Male.

      

       «35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati». (Mc 13, 35-36)

 

        Il termine Vegliate in greco è γρηγορεῖτε (2° persona presente attivo imperativo plurale), del verbo γρηγορέω (grêgoreô) guardare (da ἐγείρω, svegliarsi, levare, produrre), metaforicamente indica prestare attenzione, essere cauto, attivo, vegliare affinché, per disattenzione o indolenza, non giunga improvvisamente una calamità distruttiva.

      

       Il vegliare a cui ci invita Gesù è della coscienza che deve essere capace di discernere con correttezza. L’impegno deve essere rivolto ad una formazione costante perché nelle complicate situazioni in cui oggi viviamo non sempre è facile e immediato il corretto discernimento per scegliere effettivamente il bene.

       Il pericolo poi che le coscienze siano sempre più indolenti è concreto per tante ragioni, in primis per la cultura nichilista che ormai è ben radicata nella mentalità comune, per cui nulla ha valore e le istituzioni hanno perso la loro funzione di educatori, formatori e di strutturazione della vita sociale.

       Nell’indolenza si cade anche per l’essere assoggettati alla comunicazione mediatica, rinunciando all’approfondimento e alla ricerca della “verità”.

       La stessa proliferazione di “fake news”, che difficilmente sono riconosciute come tali e a cui si fa fatica a dissentire, è il segnale forte che le coscienze sono spesso “indolenti”, “erronee” e “lasse”, usando termini propri della morale cattolica.

       Da qui la raccomandazione finale di Gesù a non “essere addormentati” (v. 36).

   L’aggettivo “Addormentati” in greco καθεύδοντας (presente attivo participio accusativo plurale maschile), καθεύδω (katheudô) addormentarsi (da κατ e heudo, dormire) indica, in senso metaforico, il cedere alla pigrizia e al peccato, essere indifferente alla propria salvezza.

       Questo monito di Gesù deve stimolare i credenti a vivere nella “Verità” secondo la “Carità” sia verso sé stessi che verso il prossimo.

       Cosa comporta questo?

Vivere nella “Verità” secondo la “Carità” significa imparare a leggere la vita a partire dalla fede, cioè dalla Parola come fondamento e criterio di valutazione delle situazioni e scegliere sempre ciò che genera “amore”, “vita”.

       Essere cristiani si connota, dunque, nel vivere la quotidianità leggendo ogni cosa alla luce della Parola di Dio!

       Di conseguenza essere cristiani comporta una conoscenza della Parola di Dio e una vita secondo essa, che San Paolo definisce “conformità a Cristo” (Rm 8,29).

      Vivere nella “Verità” secondo “Carità” è ricercare e costruire “verità” e “amore” in sé e attorno a sé; è agire in verità perché il Bene vinca sul Male; è annunciare la “Verità” perché ogni persona possa esprimere il meglio di sé e realizzare sé stessa in pienezza; è scegliere ciò che è vero, giusto anche se non “popolare”, condiviso dalla logica del mondo.

      Il “così fan tutti” e il “che male c’è” non appartiene al cristiano perché il “fare” per il credente è sempre espressione “dell’essere in Cristo”: "non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20) è la vera identità del credente, che vive a partire da Cristo e agisce secondo Cristo, cioè da “testimone”, da “martire”!

   In questo inizio di Avvento impegniamoci a ridestare la nostra coscienza e a formarla per saper essere “vigili”, “capaci di attento discernimento” nelle sempre più complesse situazioni della vita quotidiana.

     Chiediamo al Signore la sua Grazia per crescere nella adesione a Lui ed impegniamoci con rinnovato slancio di amore per Lui e il prossimo “a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1 Pt 3, 15).


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