BATTESIMO DEL SIGNORE – 2023 (ANNO A)
“Segni di contraddizione”
(Is 42,1-4.6-7 - Sal 28 - At 10,34-38 - Mt 3,13-17)
«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10, 34-35).
La festa di oggi chiude il tempo di Natale e dà inizio al Tempo Ordinario. Con il Battesimo di Gesù inizia la sua attività pubblica, la seconda manifestazione di Dio e il suo annuncio del Regno.
La festa di oggi ci sprona a considerare il nostro annuncio del Regno di Dio. Per soffermarci a riflettere su questo ci viene in aiuto l’affermazione di Pietro in Atti degli Apostoli.
L’annuncio del Regno di Dio non è altro che vivere la fede e la sequela del Cristo. Per questo occorrono, come sottolinea San Pietro, il “timore di Dio” e la “giustizia”!
Il “timore di Dio” non è aver paura di Dio, ma la consapevolezza di essere sempre sotto lo sguardo amorevole di Dio Padre vivendo, pertanto, con l’impegno a non deviare dal suo sguardo e preoccupandosi di piacere a Lui piuttosto che agli uomini.
Il timore di Dio, quindi, è la concreta espressione della fede: credere è vivere nella costante relazione con Dio e fare di essa la ragione della propria esistenza.
Credere non è, quindi, una semplice accettazione della sua esistenza, né è devozione sterile legata a momenti liturgici o a preghiere, che poi poco hanno a che fare con le dinamiche concrete della vita, con le relazioni con il prossimo e con le difficoltà e le prove che fanno vacillare le false sicurezze che si pensa di avere.
Il timore di Dio non è una emozione, ma un atteggiamento stabile della fedeltà a Dio, alla sua proposta d’Amore, di Alleanza.
Dal timore di Dio deriva il vivere nella “giustizia”.
Il credente, nella Bibbia, è il “giusto”. Dio è il giusto e chi lo segue deve vivere nella sua giustizia.
Il giusto è una persona capace di distinguere il bene dal male rifiutando l'indifferenza e assumendosi le sue responsabilità, anche quando è necessario sacrificarsi per gli altri.
Praticare la giustizia, dunque, significa seguire gli insegnamenti di Dio, scegliendo sempre il bene e operando per il bene: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male» (1Ts 5, 21-22); «Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male» (1Pt 3, 17).
Vivere nel “timor di Dio” e “praticare la giustizia” vuol dire vivere la sequela di Cristo, imitarlo ed essere obbedienti al Padre: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3, 17 – al battesimo al Giordano); «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7 – alla Trasfigurazione).
Il credente si riconosce per queste due condizioni. Vivere nel timor di Dio comporta necessariamente un camminare controcorrente rispetto al modo di vivere del mondo e praticare la giustizia secondo Dio crea una frattura radicale con lo stile e i punti di riferimento della mentalità odierna.
Il credente che vive così non può trovare plauso e compiacimento da parte della cultura attuale, del modo di vivere attuale: sarà un evidente segno di contrapposizione e di divisione con la logica opportunista, egoista e individualista.
La fede cristiana è, quindi, necessariamente opposta al mondo perché è appartenenza a Colui che è seméion antilegómenon, «segno di contraddizione», come Simeone ha detto di Gesù (Lc 2, 34).
Il battezzato non può ragionare secondo il mondo, né essere del mondo, ma necessariamente deve distinguersi da esso per la condotta di vita, per il modo di valutare e giudicare, per la giustizia da vivere.
Come il Cristo, anche il battezzato è chiamato ad essere seméion antilegómenon, «segno di contraddizione» praticando una giustizia che segue le regole dell’agape, della carità, per cui scevra da ogni interesse personale e nella fedeltà alla verità, che è Dio!