XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
“Il primato di Cristo nella vita”
(2Sam 5,1-3 - Sal 121 - Col 1,12-20 - Lc 23,35-43)
«Costui è il re dei Giudei» (Lc 23, 38).
Riconoscere che Gesù è Re, proclamare la fede in Lui e vivere una relazione di sudditanza, di sottomissione, è certamente anacronistico.
Come annunciare che Gesù è Re e Signore nell’oggi in un dialogo proficuo con la cultura moderna?
È possibile solo se il credente vive la fede nella gioia, se la sua vita testimonia la fiducia, la felicità e la serenità di chi sa di essere amato e accolto da Dio nonostante il proprio limite e fragilità.
In questa relazione con Dio, i concetti di regalità e di sottomissione trovano una accezione diversa da quella che si sperimenta nelle relazioni umane.
La regalità di Dio e la sottomissione del fedele esprimono un incontro nell’amore e un riconoscere che senza di esso la vera condizione dell’umanità è quella di schiavitù e perdita di sé stessa in una costante tensione di egoismo e di male.
Nella relazione di fede vera, la regalità di Cristo è segno di amore gratuito ricevuto al quale il credente risponde dando a Cristo il “primato” nella sua vita, ponendolo al centro del suo vivere e lasciandosi illuminare e guidare dalla sua Parola.
Cristo è il Re perché la sua autorità si manifesta nell’Amore totale e gratuito che dona all’umanità!
Ha amato per primo e senza condizioni, per questo la sua regalità non esprime dominio, ma servizio! La sudditanza del credente, di conseguenza, non è annichilimento di sé, ma piena realizzazione nell’amore, nella libertà donata da Cristo e nell’amore del prossimo.
Celebrare Cristo quale Re dell’universo significa proclamare con la vita il potere rigenerante e liberante del suo Amore donato fino al sacrificio di sé sulla croce.
Nel dono di obbedienza d’amore al Padre per noi, il credente impara la modalità di vita nella sottomissione nell’amore: obbedire, cioè rivolgere l’attenzione, l’ascolto, alla proposta di Amore da parte di Dio, riconoscendo che la Legge di Dio non umilia e limita, ma esalta e libera il credente.
Da qui l’espressione della fede, la pratica religiosa, non può che essere un “gareggiare nella stima reciproca e nell’amore fraterno” (cfr. Rm 12, 5-16). Un autentico e costante impegno nell’accogliere e rispettare l’altro, servirlo liberi da interessi e giudizi, avendo come misura e metro di valutazione l’amore di Dio in Cristo: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4, 19-21).
La Chiesa, comunità di coloro che amano e servono Cristo Re, deve essere espressione concreta e coerente dell’Amore di Dio in cui ogni persona possa sentirsi accolto, amato e guidato a conoscere e vivere la sua adesione a Cristo.
Nonostante il limite e la fragilità di ogni singolo credente, la Chiesa resta espressione dell’Amore di Dio perché, nella vita sacramentale e nella azione pastorale, essa è il luogo dove ogni persona può e deve sentirsi amato ed accolto.
L’attenzione del cristiano deve, quindi, essere tutta rivolta a rendere visibile nella sua vita il primato di Cristo e del suo amore con un cammino di costante conversione e di crescita nell’umiltà.
A Cristo Re e Signore salga la lode gradita non solo con le labbra, ma con i gesti di amore e di fraternità.