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La Luce Negli Occhi

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XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“La perseveranza nel bene”


 

(Ml 3,19-20 - Sal 97 - 2Ts 3,7-12 - Lc 21,5-19)

 

          «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21, 19)

         La perseveranza è la virtù che impegna l’uomo a lottare per il conseguimento del bene senza arrendersi di fronte agli ostacoli e lasciarsi vincere dalla stanchezza e dallo sconforto.

          La perseveranza si acquista tenendo fisso lo sguardo sul bene, sull’Amore di Dio grazie al costante ascolto della Parola, la preghiera di adorazione e di lode e la grazia sacramentale.

          Il conseguimento del bene, però, non è da intendersi come bene per sé in senso egoistico, ma è il bene di tutti. Comporta operare nel bene e per il bene, quindi tutto deve concorrere per la realizzazione del bene a favore di tutti. Non si limita alla realizzazione di sé, ma è impegno perché ognuno possa raggiungerla per quel che dipende dal singolo.

         Operare nel bene e per conseguire il bene significa, dunque, vivere un attento e costante discernimento delle circostanze, delle situazioni concrete in cui viviamo, delle dinamiche sempre più complesse e articolate. Occorre impegno nel conoscere, valutare e scegliere perché l’agire del singolo produca bene per sé, per il prossimo e per l’intera società.

         Di conseguenza, perseverare nel bene è impegno nella lotta del male in tutte le sue forme e situazioni, evitando sia l’agire diretto che indiretto, sia la cooperazione materiale che formale.

         Perseverare nel bene richiede una coscienza morale vigile, matura e ben formata. Occorre che il riferimento della vita non sia l’ego personale, ma Dio e il suo Amore. Occorre porre al centro del proprio essere Dio, riconoscendo che vivere per Lui significa vivere appieno sé stessi, realizzandosi nel bene e vivendo nella vera libertà di chi si riconosce figlio e fratello di ogni altra persona umana.

       La società consumistica, la cultura odierna e l’individualismo esasperato in cui viviamo, di certo non favoriscono la formazione della coscienza secondo l’insegnamento della morale cristiana, l’accoglienza della Legge di Dio come via da seguire per il proprio vivere quotidiano.

         In una società in cui il bene è esclusivamente ciò che è bene per il soggetto; in una cultura del relativismo etico e della esaltazione della soggettività e libertà individuale; in una società edonista Dio ha sempre meno posto nel cuore dell’uomo e la coscienza personale è sempre più quiescente.

           L’espressione “che male c’è, lo fanno tutti” è sempre più diventata la giustificazione ad una assenza ed incapacità di discernimento.

          Impegnarsi con costanza e continuità appare sempre più faticoso e limitante, per cui si accoglie solo ciò che non impegna e che è facile sbarazzarsene.

       La logica consumistica del “usa e getta” ormai regola anche la vita sentimentale e i rapporti interpersonali. L’altro è sempre più considerato un peso ed un ostacolo alla libertà e realizzazione di sé e del proprio piacere. Fin quando genera per sé piacere e benessere lo si considera parte della propria vita, altrimenti lo si scaccia ed esclude da tutto.

          Essere di Dio, appartenere a Dio Padre in Cristo Gesù e vivere la vita di fede, di relazione d’amore con Dio e il prossimo, deve significare essere contro corrente di fronte al pensiero comune della odierna società.

       Deve significare impegnarsi nel perseverare in ogni scelta di bene e nell’attento e costante discernimento per vivere sempre come testimoni coerenti della fede in Dio.

          Perseverare nel bene in una costante tensione verso Dio, per raggiungere la vita piena in Lui: la santità!

        Tutto ciò non significa estraniarsi dalla vita terrena, compiere cose straordinarie e particolari; significa, invece, vivere in pienezza il tempo presente sempre attenti a operare nel Bene a favore di tutti; discernere il bene dal male; denunciare in libertà ed umiltà il male; “rendere ragione della speranza”, come dice San Pietro (1Pt 3, 15-16), annunciando in umiltà l’Amore di Dio con gesti, parole e pensieri che accolgano l’altro e facciano comprendere che la fede è per tutti e non per eletti.   


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