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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Grande – servo; primo - schiavo”


 

(Sap 2,12.17-20 - Sal 53 - Giac 3,16-4,3 - Mc 9,30-37)

 

       «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9, 35).

       I termini “ultimo”, “servo”, “schiavo” sono altisonanti e antitetici alla mentalità contemporanea. Pensarsi e vivere come “ultimi”, “servi” significa per la cultura imperante essere inutili e inetti, ai margini della società. Successo, potere, denaro, lusso, prestigio, celebrità sono i canoni nei quali essere accettati nella società.

       Il discorso di Gesù, se era incomprensibile ai discepoli, oggi è assurdo e insensato per la cultura moderna.

       Il capitolo nove del Vangelo di Marco è indicato come il secondo annuncio della passione. La caratteristica di questo secondo annuncio della passione è la scomparsa del “deve” indicato nel primo annuncio sostituita dalla categoricità dell’evento: “sarà consegnato” (v. 31).

       Con questo secondo racconto, l’evangelista evidenzia il “Si” di Gesù e il disporsi al viaggio. Di rilievo l’indicazione “consegnato nelle mani degli uomini”, che esprime il valore espiativo della morte di Gesù e rimanda al canto sul Servo di JHWH (Is 42. 49. 50. 53).

       Nella cornice dell’annuncio della passione, che i discepoli continuano a non comprendere, si inserisce la discussione tra chi fosse il primo tra loro. I discepoli appaiono irretiti da preoccupazioni mondane fino a contendersi il primo posto.

       Gesù li lascia senza parole ponendo loro la domanda su cosa stavano discutendo lungo il cammino e la domanda evidenzia che Egli conosce i pensieri.

       Gesù non li rimprovera, ma si pone a sedere, li chiama a sé e li istruisce su come deve essere il vero discepolo. Gesù esige dal discepolo che aspira al primo posto di essere l’ultimo e il servo di tutti (v.35).

       Con questo discorso Gesù non intende avversare i detentori del potere terreno, ma creare un ordine nuovo, che renda visibile la sovranità di Dio e l’avvento del suo Regno.

       La preoccupazione del vero discepolo deve essere quella della Santità, che comporta seguire l’esempio di Cristo, la sua kenosi, la spogliazione e l’umiliazione di sé «facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 5-11).

       L’insegnamento di Gesù è rivolto alla comunità dei credenti, chiamati a manifestare la Gloria di Dio attraverso la estrema dedizione nel servire, manifestando così che il carattere escatologico e non mondano della Chiesa.

       Essere “ultimi” e “servi” è, dunque, il requisito fondamentale della Chiesa, di ogni singolo battezzato, nella diversità di ministeri e carismi: ogni abuso d’ufficio ecclesiastico, ogni volontà di dominio, ogni azione di presunzione e superiorità, ogni pretesa di possedere la verità, ogni competizione e gelosia, ogni rivalità e vanagloria, ogni mancanza di carità e di misericordia, porta la Chiesa a peccare, a lasciarsi sedurre dai pensieri umani e a conformarsi alla mentalità del mondo (cfr Rm 12,2).

       Per essere “ultimi” e “servi” occorre porsi alla scuola di Cristo: lasciare che sia Lui a guidare la nostra vita; leggere ogni cosa, ogni situazione sempre alla luce del Vangelo; preferire sempre ciò che edifica e produce bene non solo per sé, ma anche per il prossimo; non dimenticare mai che il credente è destinato a Dio. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, nella sua opera ascetica “Apparecchio alla buona morte”, così scrive: «Oh come bene giudica le cose e dirige le sue azioni, chi le giudica e dirige a vista della morte! […] Bisogna pesare i beni nelle bilance di Dio, non in quelle del mondo, le quali ingannano».

       Gesù invita a porre come misura del proprio operare un fanciullo, un piccolo. Il riferimento è quello degli “anawim”, poveri di JHWH, non visto come segno di piccolezza, ma come oggetto di cure, per dire ai suoi che chi vuole appartenergli deve apprezzare tutto ciò che è piccolo e di poco conto.

       «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9, 37).

       Essere cristiani significa scegliere di accogliere Dio nel prossimo, nell’umanità, nella sua condizione particolare di “piccoli”. Quante povertà diverse ci circondano, quante occasioni per servire l’umanità si incontrano ogni giorno e che non devono essere perse: malati, poveri, emarginati, sofferenti, indecisi, afflitti, tristi, carcerati, senza tetto, profughi … la società stessa è povera di amore, speranza, fede.

       La modalità per testimoniare la propria fede nella società è servirla nella carità e nella verità di Cristo, imparando da Lui, mite ed umile di cuore, per essere “ultimi” e “servi di tutti”.

       Per vivere ciò occorre che sia il cuore ad essere rigenerato dall’amore di Dio e liberarlo da ciò che impedisce di vivere come Cristo. L’apostolo Giacomo lo ricorda con fermezza: «perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Giac 3, 16-17).

       Chiediamo a Cristo di liberare il nostro cuore da ogni ambizione, potere, vanagloria, per essere imitatori di Lui nella umiltà e nel servizio e partecipare, alla fine della vita, alla sua Gloria.

“Signore Gesù,

ti sei umiliato fino alla morte di croce

per donarci la Salvezza ed elevarci alla Gloria del Padre,

donaci il tuo Spirito perché ci renda umili e servi di tutti.

 

Guidaci con la tua Grazia,

per saper scegliere sempre ciò che edifica,

il bene per ogni persona.

Aiutaci a saper rinunciare

a tutto ciò che non è secondo la tua volontà;

a tutto ciò che è orgoglio, potere, vanagloria;

a tutto ciò che non edifica e umilia il prossimo.

 

Ti preghiamo perché ogni credente,

ogni comunità di fede,

sia capace di accogliere e servire;

di vivere nella vera carità;

di operare nell’amore misericordioso;

di non escludere ma di accogliere;

di farsi prossimo ad ogni persona, senza escludere mai nessuno. Amen!”


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