Solennità della Santissima Trinità – Anno A
“Dio uno e trino, amore e pace”
(Es 34,4-6.8-9; Dn 3,52-56; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18)
La solennità della Santissima Trinità fu introdotta nella liturgia cattolica nel 1334 da papa Giovanni XXII. È una celebrazione che ci invita a riflettere sulla fede che professiamo ogni domenica, a lodare e ringraziare il Dio che si è rivelato.
Noi crediamo nel Dio uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo. Cosa significa questo per ciascuno di noi? Siamo stati battezzati “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, ma conosciamo questo Mistero della nostra fede?
Certamente non possiamo fare qui una lezione di teologia trinitaria, ma la liturgia di questa domenica ci guida a contemplare Dio aiutandoci a meditare su alcune sue caratteristiche.
San Paolo, nella pericope della Seconda Corinti, presenta Dio come “il Dio dell’amore e della pace”. Non è, quindi, un Dio che si prende gioco degli uomini, un giudice terribile ed irascibile. Il Dio cristiano ama e dona pace! Lui è amore, come lo presenta l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera (1 Gv 4, 7-16). Credere in Lui comporta vivere nel suo amore e operare nell’amore.
Il Dio cristiano è il Dio della pace, perché chiunque vive nel suo amore trova pace e vive nella pace. Si tratta di una condizione che è costitutiva per il cristiano maturo nella fede. Chiunque crede in Dio vive, opera e tesse relazione di pace.
San Paolo esorta i Corinti e noi ad avere uno stile di vita che deriva dalla fede e dall’essere in comunione con il Dio Uno e Trino: “siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace” (2Cor 13, 11).
“Essere gioiosi” è una condizione propria del cristiano perché la sua gioia deriva dal sapersi amato, perdonato e destinato alla Vita eterna con Dio.
“Tendere alla perfezione” non è da intendersi immuni da sbagli e quindi superiori a tutto e tutti, ma vuol dire impegnarsi con responsabilità a vivere ed agire nella piena comunione con Dio. Come esseri umani non potremo mai essere perfetti, se non altro per il fatto che il nostro corpo è destinato alla morte, ma tendere alla perfezione significa lasciarsi abitare da Dio; seguire i suoi insegnamenti; agire nell’amore misericordioso di Dio. Di fatto è Lui che ci rende perfetti, ma non senza di noi e con noi. Non si sostituisce a noi e vuole che ci impegniamo ad operare con responsabilità e nella consapevolezza di essere suoi figli.
“Fatevi coraggio a vicenda e abbiate gli stessi sentimenti”, questa è un’altra importante caratteristica dell’essere cristiani. Vivere in comunione, spronandoci reciprocamente nel bene. Avere gli stessi sentimenti gli uni gli altri non è impossibile, ma neanche naturale ed umano. Siamo piuttosto portati a giudicarci e condannarci, ma difficilmente riusciamo a vivere in piena e vera comunione di sentimenti, edificandoci reciprocamente.
Essere cristiani, professare la fede nel Dio Uno e Trino, non è semplice, perché occorre impegno di responsabilità e continuo discernimento per conservarci nell’amore di Dio e nella sua pace.
Non è una professione delle labbra, ma della vita, che si traduce nell’essere “radicati e fondati nell’amore” (Ef 3, 14-21).
Nella pericope evangelica Gesù aiuta Nicodemo a comprendere cosa vuol dire credere in Dio e lo fa conducendolo a contemplare il suo vero volto, l’amore: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito […] non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Credere significa aver riconosciuto e fatto esperienza della salvezza mediante il Cristo; significa averlo incontrato, come Nicodemo, nella notte buia ed essere rinati dall’alto, nel suo amore, dallo Spirito. Credere per il cristiano è vivere una relazione profonda con Dio; ascoltarlo e lasciarsi guidare dal suo Spirito; essere rinnovati interiormente, nella mente e nel cuore, per vivere con piena responsabilità ed impegno la quotidianità.
“Vivete in pace” è ciò che più connota il credente nel Dio Uno e Trino, perché ha sperimentato la misericordia di Dio su di sé, ha fatto esperienza della Salvezza operata dal Padre attraverso il sacrificio del Figlio e vive rinnovato e guidato dall’azione dello Spirito. Il “perdono” cristiano è frutto della salvezza incontrata e il credente non può non viverlo se vuole conservarsi nella comunione con Dio e nella sua pace.
Nessuna condanna per chi crede, ma salvezza e perdono (Gv 3, 18), ma questo comporta donare amore e perdono per conservarsi nell’amore di Dio.
Professare la fede cristiana è impegnativo, perché Dio non ci vuole schiavi obbedienti e sottomessi, ma ci ha chiamati ad una relazione di amicizia e di responsabilità.
Siamo chiamati alla comunione con Dio, costituiti figli nel Figlio, e ad impegnarci nella vita di tutti i giorni a rendere visibile la nostra adesione a Lui con opere di carità e di pace.
“Sii benedetto Signore nostro Dio,
perché ci doni il tuo amore.
Sii benedetto Signore nostro Dio,
perché ti servi di noi
per rivelarti a chi ancora non ti conosce.
Sii benedetto Signore nostro Dio,
perché ci chiami a cooperare con te
nella quotidianità del nostro vivere.
Assistici con il tuo Spirito,
perché operiamo nella tua volontà,
con responsabilità e impegno,
sempre attenti a ciò che è bene
e porta pace.
Santificaci nel tuo amore,
e conservaci nella tua pace.
Amen!”