VI Domenica di Pasqua – Anno A - 2020
“La testimonianza della fede, con dolcezza, rispetto e retta coscienza”
(At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21)
Tante volte mi chiedo: “hai fede?” “cosa significa avere fede?”. A queste domande rispondo, con sempre maggiore consapevolezza, che per me credere significa avere fatto esperienza dell’Amore liberante di Dio. Ogni volta che rifletto sulla mia fede, quando è iniziato questo cammino e le tappe che ho vissuto finora, mi soffermo a considerare l’esperienza che ho fatto e continuo a fare della misericordia di Dio, che mi ridà speranza e forza per rialzarmi e riprendere il cammino ogni volta che faccio i conti con la mia pochezza e fragilità.
È importante porsi queste domande, perché non bisogna dare per scontato la fede che pensiamo di professare. Non basta “praticare”, nel senso di partecipare ai momenti di culto, pregare e frequentare la comunità parrocchiale per poter dire di avere fede, perché la fede è “sequela”, è “imitazione di Cristo”, “conformazione a Lui”, come insegna San Paolo.
La fede è “prima di”, fondamento e di più di ogni pratica religiosa, perché essa dà senso a tutto ciò e orienta la vita perché le opere che si compiono, sia quelle di culto che quelle che riguardano la quotidianità, siano espressione della “sequela” di Dio.
La fede si manifesta e si rende concreta nella modalità del vivere: pensieri, parole ed opere. Tutto deve essere espressione della fede.
San Pietro lo esprime in modo chiaro e perentorio: «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3, 15-16).
Ci esorta ad adorare il Signore nei nostri cuori, che significa appunto “conformarsi” a Lui. Adorare Cristo, qui non significa semplicemente un momento di preghiera, ma impegnarsi affinché tutto di noi esprima la nostra appartenenza a Cristo. Il cuore è sinonimo di coscienza, quindi San Pietro ci vuole dire che la nostra coscienza deve aderire a Cristo, imitare la sua obbedienza al Padre mediante un discernimento di ciò che è bene, mediante le opere che esprimano la decisione per il bene assunta.
Per questo la testimonianza della fede, “il rendere ragione della speranza che è in noi”, sarà vera ed efficace se fatta con un “coscienza retta”, cioè che trova la sua giustizia e la sua decisione in Dio, per cui non segue il personale giudizio etico, “il secondo me”, ma valuta secondo ciò che è giusto e buono “secondo Dio”.
Una tale coscienza diventa testimonianza autentica di fede ed esprime la verità della nostra condotta. Non credenti per “devozione”, ma per adesione alla “Verità”, che è Cristo!
Tutto questo, dice San Pietro, va fatto con “dolcezza e rispetto”, perché la fede non si impone, ma si propone.
La forza della fede si manifesta nella carità dell’agire ed entrambe esprimono la speranza verso cui l’uomo tende: Dio!
Credo ed amo perché ho incontrato Dio ed a Lui tendo il mio esistere, perché si compia in me la promessa della vita in Lui per l’eternità, a cui mi ha chiamato donando sé stesso per amore.
La fede è sequela di Cristo, che si compie nell’accogliere e seguire i comandamenti, come Lui stesso ci ha detto: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti […] Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14, 15.21).
I comandamenti non sono obblighi, ma vie; non sono imposizioni e restrizioni, ma opportunità e liberazione. I comandamenti sono guida per attuare l’amore, per esprimere la nostra adesione ed appartenenza a Dio.
Sono espressione dell’amore per Dio, per agli altri e per sé stessi, perché donati a noi da Dio che è amore e ci ama. L’osservanza dei comandamenti ci innesta e radica nell’amore di Dio e riceviamo da Dio la linfa vitale del suo amore: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità […] Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14, 16-17.21).
La fede in Cristo non può, di conseguenza, essere qualcosa di “privato” ed “intimistico”, perché essa ci responsabilizza ad un impegno nel quotidiano. La fede è nella sua essenza generativa di comunità, perché si esprime nella carità, in opere di edificazione nell’amore. La fede, pertanto, non si riduce a pratica religiosa, ma l’adorazione di Dio trova il suo compimento nelle opere di carità.
San Giacomo lo dice chiaramente nella sua lettera: «Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore? […] come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (vedi Gc 2, 14-26). L’adorazione, la preghiera, la vita sacramentale sono la sorgente a cui attingere perché l’agire sia espressione dell’amore incontrato e nel quale si vive.
Amiamo Dio nel nostro cuore e condividiamo questo amore nel nostro agire, perché la nostra vita sia un costante “rendere ragione della speranza che è in noi”.
“Signore Gesù,
tu ci ami e ti sei donato per amore a tutti noi.
Donaci il tuo Spirito Paraclito,
Spirito di Verità e di Carità,
perché la nostra fede si esprima in opere di amore.
Illuminaci con il tuo Spirito di Sapienza,
perché comprendiamo e attuiamo il bene.
Guidaci con il tuo Spirito di fortezza,
perché operiamo sempre a vantaggio del bene e degli altri,
sapendo anteporre il bene ad ogni egoistico interesse.
Corrobora il nostro cuore
con il tuo Spirito di pace,
perché non perdiamo mai la speranza
di fronte alle avversità della vita;
perché sappiamo rispondere
al male con il bene,
all’ingiuria con la benedizione,
alla falsità con la verità,
all’egoismo con la carità.
Accresci la nostra fede,
perché adorando Te nei nostri cuori,
viviamo da veri cristiani
operando nella carità
per rendere ragione della speranza che è in noi.
Amen!”