Privacy

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando tali servizi accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra Clicca qui per ulteriori informazioni




La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
  • Occhi



×

Errore

Strange, but missing GJFields library for /home/utxxpkem/public_html/plugins/system/notificationary/HelperClasses/GJFieldsChecker.php
The library should be installed together with the extension... Anyway, reinstall it: GJFields

Quarta Domenica di Quaresima – Anno A

“Essere e non apparire”


 

 

(1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41)

 

       Quando ero piccolo speso mi sentivo ripetere dagli adulti questa domanda: “cosa vuoi fare da grande?”. Oggi se poniamo questa domanda ai bambini, ragazzi ed anche ai giovani ci sentiamo rispondere, il più delle volte, di voler diventare famosi.

       I palinsesti televisivi sono sempre più centrati sul protagonismo e sul successo. Quello che conta è raggiungere la fama, avere denaro e potere. L’immagine della donna e dell’uomo ideali sono dal fisico perfetto, eternamente giovane, sempre alla moda.

       Oggi è sempre più vera l’espressione di 1 Samuele: […] l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16, 7). Siamo una società in cui l’apparire vale molto più dell’essere.

       Anche in questa situazione di emergenza, di pandemia, quello che più risulta difficile è rinunciare alla movida, alle palestre, alla cura esteriore della persona. Segno evidente che quello su cui fondiamo il nostro esistere è l’effimero, l’apparire e l’esteriorità.

       Di fronte all’espressione di 1 Samuele, occorre domandarsi cosa c’è nel nostro cuore? A cosa diamo importanza? Quali sono i valori su cui fondiamo il nostro vivere?

       Sappiamo bene che nella Bibbia il cuore è inteso come coscienza. Il cuore è il luogo ove risiedono i sentimenti; il luogo della decisione e delle valutazioni del nostro agire.

       Dio scruta i cuori e a Lui non possiamo mentire. Forse lo possiamo fare con noi stessi, ma certamente non lo possiamo fare con Dio. Pertanto la primaria cura da avere, per raggiungere la piena maturità umana e cristiana, deve essere quella del cuore, per vivere in responsabilità ogni istante ed operare sempre per il bene.

       In cosa consiste la cura da attuare perché il cuore, la coscienza, sia matura e viva il massimo bene possibile?

       Consiste nel “vivere ed operare nella luce”! San Paolo usa questa espressione: “un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 8-9).

       Il cristiano si deve distinguere per il modo di agire, pensare, valutare, parlare. Tutto deve essere espressione dell’appartenere a Dio e del vivere nella sua volontà, nella sua luce.

       La parabola del cieco nato, ci aiuta a comprendere appunto che la fede diventa il criterio con cui valutare ogni cosa, la luce che illumina il discernimento per la vita.

       La fede permette di vedere in modo diverso ogni cosa. Offre criteri di valutazione e prospettive che permettono il “decentramento da sé stessi” per “centrarsi su Dio”, accogliendo così il metro di valutazione della carità, del dono.

       Il cristiano è colui che vive con responsabilità la propria vita, sapendo che deve agire come se tutto dipendesse da lui, ma nella consapevolezza che nulla gli appartiene, a partire dalla propria vita, ma tutto è un dono, una occasione per amare.

       Sant’Ignazio di Loyola era solito ripetere: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio» (cfr Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998).

       Credere in Dio non esime dall’impegno di responsabilità verso la vita e le cose da fare; comporta, invece, una grande responsabilità, quella di impegnarci a costruire il suo Regno, cioè testimoniarlo con la vita, tessendo relazioni in “giustizia e verità”, compiendo il massimo bene possibile in ogni circostanza e denunciando apertamente il male, come ci esorta San Paolo (Ef 5, 8-11).

       Nel dialogo con il cieco guarito Gesù afferma con forza: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 8, 39), presentando così sé stesso come motivo di separazione, di discriminazione, di salvezza o di rovina. Cristo è la luce, seguirlo vuol dire vivere nella luce. Le tenebre non possono accettarlo.

       Seguire Cristo richiede una separazione da ciò che non è bene, da tutto quello che si oppone a Lui, a partire dal nostro egocentrismo. Se non si è disposti al decentramento da sé per porre Cristo al centro del nostro essere, restiamo incapaci di vedere, di comprendere il vero bene e condividerlo con gli altri.

       Come i farisei, diventiamo incapaci di vedere perché convinti di vivere nel bene, ma di fatto siamo solo ricurvi sulle nostre certezze, sulle nostre convinzioni, sulle nostre credenze sempre più vuote di Dio e piene di ritualismi sterili.

       All’arroganza dei farisei e di ogni persona, all’egocentrismo, al bisogno di apparire più che di essere, Gesù risponde: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 8, 41). Il problema della nostra società è la presunzione dell’uomo di poter fare a meno di Dio e questo la rende una società cieca, incapace di vedere il bene e di compierlo. L’elogio della libertà ha portato la nostra società a esorcizzare tutto ciò che la può limitare, come il dolore, la malattia, la morte.

       La ricerca dell’affermazione personale, piuttosto che la comprensione del senso dell’esistere, produce nell’uomo attuale la cecità del cuore, l’incapacità di una reciprocità per paura dell’altro, visto come un rivale, piuttosto che come una possibilità di realizzazione di sé nella condivisione e cooperazione.

       In questa quaresima, che siamo costretti a vivere in quarantena, abbandoniamo la ricerca edonistica, a cui la nostra società ci costringe, e recuperiamo ciò che rende autentico il nostro esistere: la difesa della vita e della sua dignità.


Passa alla modalità desktopPassa alla modalità mobile