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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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Terza Domenica di Quaresima – Anno A

“Adorare Dio e operare per il bene”


 

(Es 17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42)

 

       «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17, 7).

Stiamo vivendo un tempo di prova e di paura. In situazioni difficili, in cui vengono meno sicurezze e salute, la domanda che gli Ebrei si ponevano diventa la nostra domanda. È normale sentirsi abbandonati da Dio, anche se nella normalità della nostra quotidianità ci dimentichiamo di Lui, tutti presi dalle nostre cose e sicurezze.

       Come reagire in queste situazioni senza perdere la fede e la comunione con Dio?

       Credo che per far ciò occorra partire proprio dal rapporto che abbiamo con Dio. Occorre comprendere se siamo noi a gestire il rapporto con Lui o se la relazione di fede che viviamo sia di adorazione ed obbedienza.

       Nel primo caso Dio è considerato come un “guaritore”, un “potente a cui raccomandarsi”, un “genio che deve essere pronto ad esaudire le nostre richieste”.

       Se viviamo una relazione di adorazione ed obbedienza, allora tutto ciò che accade lo impariamo a leggere e vivere come una “occasione” per comprendere che siamo “destinati alla vita in Dio”. Di conseguenza non perdiamo la speranza, non cadiamo nella disperazione, ma affrontiamo tutto sapendo che “nulla ci può separare dall’amore di Dio” (cfr Rm 8, 35-39).

       Questo significa vivere nella virtù della speranza, che non è un anelito dell’animo o un desiderio di riuscita, ma la “certezza” che Dio è presente e non ci abbandona.

       La fede non ci rende immortali in questa condizione di vita, ma ci inserisce nella vita eterna a cui siamo destinati, pertanto ci rafforza nelle vicende di prova perché non ci fa cadere nella disperazione e nello sconforto, ma ci permette di accettare tutto e porlo nella misericordia di Dio.

       “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). La virtù della speranza ci permette di vivere con serenità, ma non con rassegnazione; con fiducia, ma non con leggerezza; con abbandono a Dio, ma non con irresponsabilità.

       La speranza ci fa tenere fisso lo sguardo dell’intelligenza sul dono di amore di Dio Padre in Cristo Gesù, e ci investe di responsabilità per vivere in carità e fede, cioè amando e vivendo tutto come occasione per dire il nostro “si” a Dio.

       La Samaritana è il simbolo dell’umanità che ha sete di Dio, ma non riesce a soddisfare la sua sete perché attaccata alle cose del mondo; alla propria condizione e ai beni.

       Gesù apre la coscienza della donna samaritana portandola a fare verità nella propria vita (Gv 4, 16-19). L’unica condizione per incontrare Dio, avere un rapporto di fede e vivere in comunione con Lui è fare verità nella propria vita.

       “[…] i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4, 23-24).

       Incontrare Gesù produce in noi il cambiamento, la novità di vita, una diversa prospettiva. L’incontro con Gesù, in una relazione di fede matura, ci aiuta a vivere tutto nella responsabilità di agire per il bene personale e comune, a condividere il bene incontrato e a testimoniare il bene incontrato (Gv 4, 28-30).

       In questo momento di particolare difficoltà e di prova per la salute e il bene della società, siamo chiamati a vivere nella responsabilità ed operare per il bene di tutti.

       Tutto deve condurre al bene! Imparare a lasciare le cose superflue, a cui diamo spesso tanta importanza, per apprezzare il dono della vita e cooperare per la salvaguardia del bene di tutti e della salute di tutti.

       Come la Samaritana, lasciamo le sicurezze umane, le abitudini che sembrano essere fondamentali per la nostra vita e impariamo a dare il giusto valore alle cose. Facciamo della nostra esistenza una lode a Dio rispettando la vita e il bene comune.

    Testimoniamo la nostra fede rispettando la vita, non dimenticando che il comandamento di Dio di “non uccidere” implica anche salvaguardare la salute propria e altrui.

      


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