II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO A) - 2023
“Vivere la Gioia della fede”
(At 2,42-47 - Sal 117 - 1Pt 1,3-9 - Gv 20,19-31)
«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20, 21-23).
Oggi molte parole che appartengono al linguaggio della fede hanno perso di significato, o meglio non hanno più la stessa valenza perché, oltre ad aver smarrito Dio, l’uomo contemporaneo ha perso l’identità della coscienza, ridotta al massimo ad un flebile senso di colpa, e svuotato di senso la categoria di peccato, perché l’unico criterio di valutazione e di giudizio è la propria soggettività.
Quello che ancor più allontana da Dio, in un contesto di soggettivismo etico giunto a livelli elevati, è l’insistenza sul castigo, la pena eterna, l’inferno.
Queste categorie teologiche sono rifiutate se manca una relazione autentica e personale con il Dio cristiano che è “Amore”, come afferma San Giovanni: «Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4, 16).
Solo quando si fa esperienza dell’amore di Dio si può comprendere la categoria di peccato e quelle di castigo e pena eterna.
Infatti, il peccato non è altro che un tradimento dell’amore! Il peccato non è trasgressione di una Legge, ma è tradimento dell’amore gratuito e misericordioso di Dio.
Solo nella relazione di amore si comprende il peccato e si evita di commetterlo.
Il peccato, dunque, è un atto di egoismo, una chiusura in sé e una interruzione, o rottura, della relazione con Dio.
Nella consapevolezza ed esperienza dell’amore da parte di Dio, la persona vive cercando di crescere in esso e di evitare di perderlo, di conseguenza tutto di sé è orientato a evitare ciò che offende, tradisce e rompe la relazione d’amore con Dio.
In questa condizione si comprende cosa significa peccato e si riesce a crescere e maturare nella fede.
Oggi il Sacramento della Riconciliazione è poco richiesto e celebrato per due ragioni: la prima per la perdita di relazione d’amore con Dio e, quindi, del senso del peccato; la seconda perché non c’è educazione a vivere e disponibilità a celebrare il Sacramento della Riconciliazione da parte dei presbiteri.
La crisi della coscienza è dovuta anche ad una perdita di formazione e guida da parte di coloro che sono costituiti a tale servizio. La vita ministeriale dei presbiteri non è deputata in primis a presiedere la celebrazione del culto, ma alla educazione e formazione delle coscienze.
«[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti» (At 2, 42-43).
Dall’insegnamento e dalla comunione di vita scaturisce la corretta celebrazione del culto sia sacramentale che personale.
Il servizio alle coscienze è primario e costitutivo del ministero ordinato, ma è identificativo ed esistenziale per ogni battezzato.
Ogni battezzato, per la sua vita di comunione con Dio e con i fratelli nella fede, deve sentire l’urgenza e la responsabilità della formazione della coscienza propria e altrui.
Solo in un impegno responsabile di formazione della coscienza si vive la corretta relazione d’amore con Dio, perché la formazione si realizza nella testimonianza, nell’annuncio e nell’accompagnamento.
La crisi di fede, presente nella società di oggi, deriva da una perdita di identità dei battezzati e, di conseguenza, da una inesistente o, perlomeno, inefficace testimonianza di fede.
L’annuncio è sterile perché non corroborato da una vita carica di amore per Dio e ridotto ad una trasmissione di contenuti non facilmente riscontrabili nella vita concreta delle comunità di fede.
L’accompagnamento nella fede è difficilmente vissuto perché manca una vita di comunione e condivisione nelle comunità cristiane.
«Un senso di timore era in tutti» (At 2, 43). Il timore, in questo versetto degli Atti, non è sinonimo di paura. Il timore di Dio è consapevolezza del suo Amore gratuito, fedele e misericordioso e della propria fragilità, finitudine e infedeltà.
Papa Francesco così definisce il timore di Dio: «Non significa avere paura di Dio: sappiamo bene che Dio è Padre, e che ci ama e vuole la nostra salvezza, e sempre perdona, sempre; per cui non c’è motivo di avere paura di Lui! Il timore di Dio, invece, è il dono dello Spirito che ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e che il nostro bene sta nell’abbandonarci con umiltà, con rispetto e fiducia nelle sue mani. Questo è il timore di Dio: l’abbandono nella bontà del nostro Padre che ci vuole tanto bene»[1].
«Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1 Pt 1, 8-9).
La caratteristica del battezzato è e deve essere la “gioia”, che nasce dalla consapevolezza di essere amati da Dio.
La “gioia” della fede deve caratterizzare ogni momento della vita del credente, anche quello della persecuzione, del dolore, della morte, perché egli vive nella consapevolezza e certezza di essere amato da Dio e, di conseguenza, ogni cosa della sua vita trova senso e fine nell’amore di Dio.
Celebriamo questa II Domenica di Pasqua, Domenica della Misericordia, rinnovando la nostra fede e impegnandoci a vivere nell’amore di Dio e verso il prossimo, perché le comunità di fede siano luoghi dove conoscere e fare esperienza della Misericordia di Dio.
«In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi» (1 Gv 4, 10-12).
[1] Papa Francesco, Udienza generale di mercoledì 11 giugno 2014. https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20140611_udienza-generale.html