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Domenica ottava di Natale

Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria E Giuseppe (Anno B)

“Essere Famiglia di Gesù”


 

(Gen 15,1-6; 21,1-3 - Sal 104 - Eb 11,8.11-12.17-19 - Lc 2,22-40)

 

       In questi giorni di Natale abbiamo assistito a diverse esibizioni della fantasia umana per suffragare ideologie varie e esibire un rispetto delle altrui fedi a scapito della propria identità.

       In questo contesto culturale così variopinto, festeggiare la Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria risulta quasi fuori luogo e irriverente verso il pensiero di chi non crede o si identifica in altro modo.

       Eppure questa festa non è semplicemente rivolta a venerare Giuseppe e Maria, ma quanto di più prendere consapevolezza che credere in Cristo Gesù, Verbo incarnato, Dio con noi, Signore e Re della vita, significa essere “famiglia di Dio”.

       Con il battesimo il cristiano è inserito in Cristo; diventa membra viva del suo corpo mistico, la Chiesa (cfr 1Cor 12, 12-30). Nella sua vita è chiamato ad agire da “figlio di Dio”, a rendere visibile Cristo: testimoni di Dio nel mondo, costruttori del suo Regno, appartenenti alla comunità di fede. Questo è essere credente, cristiano, membra del suo corpo!

       Per essere questo, oggi la liturgia ci ricorda che ciò è possibile vivendo le stesse virtù di Giuseppe e Maria.

       Innanzitutto, la consapevolezza di essere “famiglia di Dio”, cioè generare in noi e attorno a noi relazioni di amore, fiducia, accoglienza e perdono.

       Vivere la virtù della Giustizia, che ha caratterizzato la vita di fede di Giuseppe: vivere questa virtù comporta fondare e riferire ogni cosa della propria vita alla fede che si professa; significa che la fede diventa la sorgente di ogni cosa, di ogni scelta.

       Vivere l’obbedienza della fede, che ha caratterizzato il “Si” di Giuseppe e di Maria. Maria e Giuseppe sono esempi imitabili della fede perché hanno vissuto l’obbedienza a Dio nella consapevolezza razionale; hanno detto il loro “Si” consapevoli che nulla è paragonabile all’amore di Dio, per cui ogni cosa che Egli chiede e indica è riconosciuta come verità da seguire che conduce alla vera vita, alla piena realizzazione di sé in Dio.

       Vivere la “verginità del cuore”, che significa avere un cuore libero dai sentimenti negativi: rancore, invidia, gelosia, morbosità. Significa vivere secondo lo Spirito Santo ed avere i “medesimi sentimenti che furono di Cristo Gesù” (Fil 2, 5).

       Vivere nell’ascolto attento, contemplativo e riflessivo della Parola di Dio: Giuseppe, uomo giusto e fedele, vive la sua vita attento a mettere in pratica la Parola, la Torah. Di fronte al mistero che ha travolto la sua promessa sposa si pone in ascolto attento e ossequiente di quanto Dio gli annuncia e chiede. Maria vivrà costantemente nell’ascolto di Dio e ogni cosa che accadrà lo mediterà e conserverà nel suo cuore per restare fedele al Signore.

       La festa della Santa Famiglia di Gesù è un costante monito ed invito a riconoscerci parte viva della Famiglia di Gesù ed invocare da Dio il dono di una fede schietta e profonda. Celebrare questa festa deve essere di stimolo a non avere paura di professare la fede, ma cercare sempre di conservarsi nella fedeltà d’amore con Dio, nell’ascolto della Parola e nell’impegno diuturno a vivere i sentimenti di Cristo, dono dello Spirito Santo: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).

       Oggi chiediamo a Dio di farci crescere nella fede e vivere in ascolto ed obbedienza a Lui, per essere parte viva del corpo mistico di Cristo, la Chiesa, comunità dei credenti, Famiglia di Dio.

       Essere Famiglia di Dio: è questa l’identità della fede cristiana che si vive nella comunione ecclesiale. Siamo Famiglia di Dio e costituiti insieme in unità nella Chiesa, comunità di fedeli, alimentati dalla Grazia dei Sacramenti e impegnati a vivere nella comunione di fede in Verità e Carità.

       Se non esaminiamo e curiamo l’appartenenza a Dio nella sua Chiesa, in un costante e comune sforzo a realizzare la vera comunione di vita, difficilmente saremo presenza di Dio nel mondo.

       La Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria, siano stimolo e sprono nella imitazione dei sentimenti di Cristo e nella comunione con i fratelli, disposti a vivere nell’amore misericordioso di Dio, perdonando ed accogliendo ogni persona.

Natale del Signore 2023

“Natale è … magia o Dio con noi?”


   

                                     «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1, 4).

       Natale è?

       Si, è bene porsi la domanda su cosa è Natale per me, per il mondo, per la nostra società.

       Perché porsela? Semplicemente perché guardandoci attorno, leggendo le notizie di cronaca e altro, non possiamo che porci la domanda di senso sul Natale in quanto in questa festività è assente il festeggiato, Colui di cui facciamo memoria, della sua venuta in mezzo a noi: Cristo Gesù!

       Cosa vogliamo che sia il Natale?

       Questa è la domanda che occorre porsi prima di andare a celebrare la Santa Messa come popolo di credenti.

       Il senso di questa festività tocca a noi cristiani affermarlo e testimoniarlo. Durante le domeniche di Avvento abbiamo avuto modo e possibilità di ricordarcelo e sceglierlo: chiamati a indicare, portare e vivere il Cristo!

       A chi riduce il Natale ad una magia che inonda l’atmosfera di luce, di sentimento, di voglia d’amare, di possibilità di bontà, come cristiani siamo chiamati a testimoniare che il desiderio di bontà, di amore, di felicità, di libertà è Dio che si fa carne in Gesù Cristo.

       In Dio fatto uomo trova senso la vita umana perché in Lui riceve forza e motivazione per lottare per il Bene contro ogni male: capaci di donare il perdono a chi ci fa del male; pronti ad amare senza riserve e contraccambio; riconoscendo nel prossimo il fratello e la sorella d’amare ed accogliere senza paura e senza pregiudizio.

       A chi vuole ridurre il Natale ad una festività laica in nome dell’inclusione di chi ha una diversa cultura e religione, come cristiani siamo chiamati a ricordare che la vera fraternità tra i popoli non parte della rinuncia di ciò che ci identifica, ma dal rispetto dell’altro e della sua identità culturale, religiosa, politica ecc.

       Natale è vita quotidiana vissuta a partire da Dio e dal suo insegnamento, come ci ricorda la lettera agli Ebrei, che «tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1, 3). Solo quando la vita del cristiano è fondata e guidata dalla Parola di Dio, fatta carne, il Natale non è una festività che si ripete, ma è presenza continua e vivificante di Cristo nel cuore del fedele.

       È Natale, quindi, quando i cristiani vivono con fede gioiosa l’evento dell’Incarnazione sapendo discernere in ogni momento il bene e riconoscere la presenza di Cristo in ogni cosa.

       È Natale oggi ed ogni giorno quando Gesù Cristo si incarna in ogni gesto, in ogni parola donando vita e speranza; è Natale quando il prossimo si sente accolto e amato per ciò che è, facendo sì che, anche se riceve un giudizio non lo percepisce come morte ma come vita: la vera novità di vita in Cristo Gesù nostro Re e Signore!

       “Natale è Dio con noi” se i cristiani sono “presenza di Dio nel mondo”. Questo sia l’augurio da rivolgerci come cristiani in questo Natale: che ciascuno di noi sia presenza di Dio per il prossimo!

       Buon Natale, oggi e ogni giorno! Dio nasca nel nostro cuore e in ogni momento della nostra giornata vivendo secondo la sua Parola e nel suo Amore.

Quarta Domenica di Avvento – Anno B - 2023

“Essere tempio di Dio”


(2Sam 7,1-5.8-12.14.16 - Sal 88 - Rm 16,25-27 - Lc 1,26-38)

 

       «Il Signore ti annuncia che farà a te una casa» (2Sam 7, 11).

       Il re Davide vuole costruire una “casa” per l’arca di Dio, per il Signore, per la sua presenza nel popolo. Uno slancio del cuore che il profeta Natan da subito approva invitando Davide a seguire il suo cuore. Nulla di più bello che esprime amore e devozione verso Dio!

       Il desiderio di Davide è dare onore a Dio, con un’opera esteriore che dovesse essere superiore al palazzo reale in cui abitava, perché Dio è più del potere dell’uomo.

       Nel ragionamento umano tutto fila e risulta corretto, giusto! Nulla di diverso da quanto ancora oggi l’uomo vive come culto a Dio: un culto esteriore, un gesto che esprime amore e devozione, ma che rischia di restare esterno alla realtà della vita del credente.

       A Davide e a ciascuno di noi Dio risponde che è Lui a fare una casa per il suo popolo! La casa in cui Dio dimora, in cui Dio chiede di avere il primato del posto: il cuore dell’uomo!

       Il vero culto a Dio nasce e parte dal cuore dell’uomo, cioè dalla sua interiorità, dalla sua coscienza. Dio chiede di abitare nel nostro cuore, di avere il primato, cioè di essere il Re, il Signore, la fonte di ogni pensiero, di ogni sentimento e la ragione di ogni gesto, la forza propulsiva della volontà dell’uomo.

       Dio ha realizzato tutto questo con l’Incarnazione di Gesù il Cristo, mediante il “Si” di Maria, umile serva, come Lei si è definita.

       Con l’incarnazione Dio ha reso tangibile la sua presenza nella vita dell’umanità. Ha reso possibile questa abitazione presso di noi e in noi! Cristo abita per la fede nel cuore del cristiano.

      

       Alla domanda “Cristiano chi sei?”, a cui abbiamo cercato di dare risposta meditando la parola della terza Domenica di Avvento (anno B), oggi possiamo ulteriormente specificare che “il cristiano è colui che si lascia abitare da Cristo”, mediante l’ascolto e l’accoglienza della Parola a cui dà l’ossequio razionale e di carità.

       San Paolo parla di questa abitazione di Cristo nella Lettera agli Efesini, invocandola per loro dal Padre, come espressione piena della fede e della appartenenza a Cristo: «Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3, 14-19).

        Alla domanda: “Chi sei cristiano?”, possiamo rispondere “sono il Tempio di Dio!”.

       L’umanità ha innato in sé la ricerca di senso e una spiritualità che la apre al soprannaturale, alla divinità, ma ciò che chiude ogni possibilità di ricerca di Dio e di fede è il cuore chiuso in sé, in cui non c’è posto per nulla e nessuno se non per il proprio Io in un atteggiamento di difesa per paura di perdersi, di morire.

         Nella nostra società c’è bisogno di tornare a parlare al cuore dell’uomo per lasciarlo aprire all’Amore di Dio.

       Solo incontrando credenti che sono “tempio vivente di Dio” possono compiere questo servizio autentico di trasmissione della fede “da cuore a cuore”.

         Per vivere ed essere “Tempio di Dio” abbiamo un modello autentico in Maria, colei che ha creduto ed ha accolto nel suo cuore la Parola.

         La Vergine Maria è colei che veneriamo con il titolo di “Tabernacolo della Divina presenza”. Si! Maria è questo per aver creduto alla Parola e per aver accolto la Parola!

         Maria è il modello della Chiesa e, quindi, di ogni cristiano, chiamati ad accogliere Dio nel cuore mediante l’accoglienza della Parola, che si traduce nel vivere secondo essa, lasciandosi guidare da essa e mediante essa leggere e vagliare ogni cosa.

       Maria è Colei che ci insegna a dire il nostro “Si” alla Parola, che si vuole fare “carne”, “presenza”, per il mondo mediante la nostra esistenza. Cristo si fa presenza nel mondo mediante la vita del cristiano. Per chi non crede, la presenza reale nell’Eucaristia è “follia”, potrà accettarla e accoglierla solo per la testimonianza del cristiano, quale “Tempio”, “Tabernacolo” vivente di Dio nel mondo.

       «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38).

       La parola accolta ci fa “servi” del Signore, cioè ci abilita ad essere nel mondo “presenza” umile di Dio come Maria, che ha invitato a “fare secondo la parola di Gesù” (Gv 2, 5 «La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”»).

       Servi del Signore come Giovanni il Battista, che affermò «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3, 30) e lo indicava presente e invitava a seguirlo «Ecco l’Agnello di Dio!» (Gv 1, 29.36).

       Servi dell’Amore: per saper amare nel modo più autentico e libero, come Dio ama.

       Servi della Verità: per annunciare ciò che dà la vera libertà all’umanità.

       Servi in umiltà: perché consapevoli di essere fragili, peccatori, un nulla senza Dio.

       La Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa, Serva umile e gioiosa della Parola, non è un modello irraggiungibile perché Ella ci insegna l’ascolto della Parola, l’umiltà del cuore, la libertà vera di chi ama senza pretese.

       A Maria chiediamo di intercedere per noi perché lo Spirito Santo ci renda docili all’ascolto della Parola e ci modelli per essere “Tempio di Dio”, presenza vivente di Dio nel mondo.

Terza Domenica di Avvento – Anno B - 2023

“Cristiano chi sei?”


(Is 61,1-2.10-11 - Lc 1 - 1Ts 5,16-24 - Gv 1,6-8.19-28)

 

       «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?» (Gv 1, 22).

       In questa terza domenica di Avvento la liturgia ci fa di nuovo soffermare sulla figura del Battista. L’evangelista Giovanni non dà molti dettagli sulla persona del Battista, ma lo presenta quale “testimone della Parola”. Nella figura del Battista vediamo delineato il cammino che conduce alla scoperta del Lógos fatto carne, con le disposizioni necessarie per incontrarlo: apertura al dono, con l’umiltà di chi è consapevole di essere “illuminato” e di non essere la luce.

       Il Battista, così come è presentato dall’evangelista Giovanni, è testimone della Parola: attendendola, riconoscendo la sua presenza rivelata in Gesù e la indica ai suoi.

       A ben riflettere sono le caratteristiche del cristiano chiamato ad essere il “testimone” di Cristo: egli vive la quotidianità nell’attesa del Cristo; riconosce Cristo presente nella vita della Chiesa e nel mondo, presente nei Sacramenti e nel prossimo; lo fa conoscere con la sua vita e indica il Cristo come Via, Verità e Vita, unico modello a cui conformare la propria esistenza.

       Il brano evangelico inizia con un’inchiesta nei confronti di Giovanni il Battista condotta dai capi del popolo. È il “fil rouge”, il filo conduttore del vangelo di Giovanni, che presenta il processo tra luce e tenebre che si compirà con Gesù, quale “luogo” della “testimonianza” del Cristo. L’incontro con Cristo è il passaggio dalle tenebre alla luce («Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» Gv 1, 9): è l’esperienza di Nicodemo (Gv 3), della Samaritana e dei suoi concittadini (Gv 4), dell’adultera (Gv 8), del cieco nato (Gv 9).

       È il processo a cui ogni cristiano è sottoposto nella quotidianità del suo vivere. La domanda che viene fatta in modo diretto o indiretto è la stessa rivolta a Giovanni il Battista: Chi sei?

       È la domanda che il cristiano deve di fatto porsi da solo in ogni momento per poter scegliere, agire in retta coscienza, amare e servire secondo l’insegnamento del Cristo.

       Chi sei? Cosa vuol dire per te essere cristiano? Cosa comporta per la tua vita essere cristiano?

       Se queste domande non sono presenti in ogni circostanza, soprattutto quelle difficili, che richiedono scelte fondamentali di coscienza, la fede viene ridotta ad una religiosità sterile e rituale, intrisa di ipocrisia, tanto condannata dal Cristo quando accusava i farisei (Mt 23, 27-32) ed invitava i suoi discepoli a guardarsi dal lievito dei farisei (Mt 16, 6; Lc 12, 1).

       Cristiano chi sei?

       Come Giovanni il Battista, dobbiamo essere coscienti di chi siamo. Innanzitutto “non siamo” per merito nostro, ma per “dono di Dio”, quindi non dobbiamo dimenticare che è per la Grazia di Dio che siamo cristiani. La prima consapevolezza, da non dover mai dimenticare e tenere ben presente, è che siamo e restiamo peccatori, ma per Grazia di Dio siamo quello che siamo, credenti, cristiani, come afferma di sé San Paolo in 1Cor 15, 10.

       Come Giovanni siamo “voce” (Gv 1, 23), cioè coloro che sono stati chiamati a “gridare” la Parola di cui dobbiamo essere testimoni con la vita. Quindi, prendere coscienza e operare perché tutto della nostra vita sia riconducibile alla fedeltà alla Parola perché, sebbene resti forte la nostra condizione di peccatori, proprio mediante noi Cristo parla al prossimo, perché sia compreso come “possibile” vivere secondo il suo insegnamento.

       Giovanni si identifica con la “voce” del Libro di Isaia (Is 40, 3) di chi “grida nel deserto”; di fatto oggi i cristiani sono “voce gridano nel deserto” del mondo senza la vera conoscenza di Dio. Basta soltanto riflettere a come viene oggi presentato il Natale: un giorno magico! Si parla della “magia del Natale”, riferendosi ad un Babbo Natale, che ormai non ha alcun riferimento a San Nicola o conservando appena il nome (Santa Claus, nome olandese di S. Nicola), ma non si fa alcun riferimento a Cristo e alla sua Incarnazione. Il mondo è il deserto in cui annunciare Cristo, ma non con manifestazioni, eventi, celebrazioni e meno che mai con apologetica, pensando di dover difendere qualcosa, che di fatto non è più presente nella società: la fede e il riferimento ad essa!

       L’annuncio ne deserto del mondo va fatto con la forza dell’amore di Dio, che non distrugge e opprime, ma libera e porta a pienezza. Solo chi è rinnovato dall’amore di Dio riuscirà a parlare ai cuori. Di conseguenza prima di tutto il cristiano occorre che parta da sé, dal lasciarsi rinnovare e modellare dall’Amore di Dio. Occorre partire dalla propria conversione, che di fatto è quotidiana! Ogni giorno siamo chiamati a convertirci perché ogni giorno facciamo i conti con la nostra fragilità! Solo nell’umiltà e nella consapevolezza di chi è amato e perdonato l’annuncio diventa efficace. San Paolo lo afferma nelle sue lettere, riconoscendo la sua debolezza e parlando della sua lotta interiore per vivere la piena conformità a Cristo (cfr. 1Cor 9, 24-27; 2Cor 12, 7-10; Gal 2, 16-20).

       La testimonianza di fede in Cristo è “martirio”. Il termine martire, in greco μάρτυς (martus), μάρτυρός: gen. sing., indica il testimone. Oggi la fatica dell’annuncio risiede nella paura di perdere il prestigio, la socialità, l’appartenenza al gruppo, le relazioni e, di conseguenza, si vive la fede in modo “privato”, riservato, facendo fatica a rendere visibile la nostra adesione a Cristo.

       La testimonianza del Battista è stata totale, fino alla morte. L’evangelista usa due verbi, “confessare” e “rinnegare”, per indicare la testimonianza autentica, che non è invece fatta dai genitori del cieco nata (Gv 9, 22) e da molti capi che, benché avessero creduto in Gesù, non professavano pubblicamente la fede per paura dei farisei (Gv 12, 42ss).

       «Egli confessò e non negò. Confessò» (Gv 1, 20). Il Battista ci sprona a non temere di perdere davanti agli occhi del mondo, ma di temere di perdere Cristo. Per “essere” cristiani e saper rispondere alla domanda “chi sei?”, occorre professare senza paura la fede, in ogni occasione opportuna e non opportuna la Parola e la nostra adesione ad essa (2Tm 4, 2).

       Cristiano chi sei?

       La risposta, dunque, la dobbiamo dare ogni giorno e in ogni momento prima di tutto a noi stessi, ricordando che “siamo” solo se Cristo è “presente in noi” ed “opera in noi” con la sua Grazia.

       “Siamo” solo in piena umiltà, riconoscendoci fragili, peccatori, ma amati e perdonati.

       “Siamo” se testimoniamo con coraggio preoccupati di non perdere Cristo e di “essere trovati” fedeli a Lui alla fine della vita.

       Sull’esempio del Battista e dei Santi, diamo la nostra bella testimonianza di fede con la vita semplice, con la fedeltà all’Amore di Dio e con la disponibilità del cuore a leggere nella storia la “bellezza” di Dio nel prossimo e nelle creature.

Seconda Domenica di Avvento – Anno B - 2023

“Annunciatori di Cristo”


(Is 40,1-5.9-11 - Sal 84 - Mc 1,1-8 - 2Pt 3,8-14)

 

       «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1, 3)

       L’avvento è il tempo favorevole per verificare come stiamo vivendo la nostra adesione al Cristo. È il tempo per verificare se tutto di noi (mente, cuore e volontà) annuncia la fede in Lui.

       Essere cristiani oggi è difficile, perché viviamo in un contesto in cui nulla ha più riferimento a Dio, neanche la festività che stiamo per celebrare: il Natale! Esso non è la memoria dell’Incarnazione, ma la festa “magica” in cui sperimentare la bontà; è la festa del consumismo.

       Oggi l’essere cristiani si riduce a vivere la fede nella sfera privata, a celebrare feste popolari e devozioni ai santi. Gli stessi Sacramenti sono vissuti per routine o tradizione. Sono in forte calo le celebrazioni dei matrimoni religiosi, sostituiti da quelli civili o da convivenze. Il battesimo dei bambini, pur tenendo conte del forte calo demografico, di fatto viene poco richiesto perché i genitori ritengono che la scelta debba essere lasciata al figlio quando ne avrà consapevolezza.

       Dato di non poca rilevanza è la partecipazione alla vita della comunità cristiana e la frequenza alla Celebrazione Eucaristica domenicale e festiva, che risulta sempre più scarsa con una media dell’età dei praticanti assidui molto alta.

       Essere cristiani oggi, a mio parere, è più difficile del periodo delle persecuzioni. Il contesto sociale non è ostile alla fede, ma indifferente.

       Tutto questo diventa uno stimolo a riconsiderare il modo in cui viviamo la nostra adesione a Cristo per poter essere testimoni credibili nella società in cui viviamo.

       “Preparare la via al Signore” è innanzitutto disporre il cuore all’ascolto e all’incontro con Cristo. Ciò vuol dire che è Lui il centro e l’attore principale del dialogo. Preparare il cuore richiede disponibilità alla conversione, al cambiamento di rotta, di mentalità.

       Dall’edonismo in cui siamo immersi, che vede il piacere quale bene sommo dell'uomo e il suo conseguimento il fine esclusivo della vita, occorre ritornare al fondamento dell’esistenza, alla ricerca di senso dell’esistere per vivere nel pieno rispetto della vita in sé e dell’essere umano come “persona”.

       “Raddrizzare i suoi sentieri” significa dunque camminare nella Verità, avere un parlare secondo Verità, sapendo riconoscere e scegliere il “Bene” e denunciare il “Male”.

       Centrare la propria vita in Cristo e riconoscere nel prossimo la sua presenza, perché tutti siamo “figli di Dio nel Figlio” (vedi Gv 1, 12-13; Rm 8, 14-30; Gal 4, 6; il tema lo si trova ben esposto nelle lettere paoline), sono i pilastri fondamentali perché il nostro cammino sia “diritto” nella fedeltà al Cristo, alla sua Parola.

       Nella realtà odierna siamo chiamati ad essere “messaggeri” come Giovanni Battista, il quale era tutto proteso verso Gesù. Lo stesso Giovanni Battista, senza Cristo resterebbe incomprensibile la sua figura. Egli è l’uomo che trova senso in Gesù; è “più che un profeta” (Mt 11,9) che introduce la novità assoluta del Vangelo, che i profeti dell’A.T. avevano solo da lontano annunciato.

      Nella società, il cristiano è il “messaggero”, l’annunciatore, l’γγελος (aggelos) l’angelo, colui che con la parola e il comportamento annuncia la “novità” del Vangelo, la sua fede nel Cristo, il rinnovamento interiore che l’incontro con Gesù comporta.

      Il mondo, da sempre, ha bisogno di chi annunci la salvezza, la misericordia, la speranza, il senso della vita e della storia, il cammino da seguire per vivere nella vera gioia, nella vera pace e felicità, nell’amore di Dio.

 

      «vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione» (Mc 1, 4).

 

       Il battesimo di conversione è un cambiamento di mentalità, un ri-orientamento globale dell’atteggiamento interiore ed esteriore, di conseguenza una totale rivoluzione della vita.

      Nel contesto culturale odierno, i cristiani hanno la responsabilità morale di annunciare il Vangelo e di indicare la novità di vita mediante la loro testimonianza di vita, la scelta fondamentale per Cristo, rendendo fattibile e concreta la possibilità di vivere un “nuovo” battesimo di conversione in una realtà sociale così scevra e schiva dal trascendente e da ciò che appartiene alla vita cristiana e alla Chiesa.

       Ovviamente l’annuncio del cristiano deve essere tutto orientato a Cristo, come ha fatto il Battista: «E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”» (Mc 1, 7).

       Per essere un annuncio credibile e coinvolgente deve condurre alla piena adesione a Cristo e alla sua sequela e non creare legami e dipendenze con chi annuncia.

       Spesso, invece, l’annuncio è inefficace perché lega a colui che annuncia: al parroco, al catechista, al gruppo, al movimento laicale, al carismatico di turno, all’esperienza fatta in parrocchia o in altra sede. Un tale annuncio, sebbene abbia come punto di partenza Cristo e il suo Vangelo, non produrrà una vera conversione di rotta e una maturità di fede.

       Il mondo ha bisogno di cristiani che vivano con maturità, responsabilità e piena consapevolezza la propria adesione a Cristo. L’annuncio, così, troverà adesione perché sarà visto come una reale possibilità per la persona che lo riceve. L’appartenenza alla comunità di fede, alla Chiesa, sarà libera, responsabile, efficace e viva.

         Soffermandoci a meditare sulla Parola di questa seconda domenica di Avvento, sulla figura del Battista, chiediamo al Signore nostro Dio di essere “veri messaggeri” del suo Vangelo con la nostra vita; chiediamo che le comunità parrocchiali ed ogni altra espressione di vita ecclesiale siano luoghi in cui incontrare Cristo e ognuno si senta pienamente e autenticamente appartenente ad essa trovando il proprio posto in quanto “figlio nel Figlio”.

Prima Domenica di Avvento – Anno B - 2023
“Vigilare per vivere nella Verità secondo Carità”


(Is 63,16-17.19; 64,2-7 - Sal 79 - 1Cor 1,3-9 - Mc 13,33-37)

            Dovendo individuare la caratteristica che distingue l’essere “umano” da tutti gli altri esseri viventi immediatamente si fa riferimento al raziocinio, cioè alla capacità e alla facoltà di fare uso della ragione, di riflettere, ragionare e argomentare, con equilibrio e buon senso.

       Avere questa capacità, però, richiede anche impegno e attenzione; studio e conoscenza; analisi e valutazione; tutte attitudini che si affinano nel tempo e con grande senso di responsabilità e maturità. Infatti, ciò che distingue un adulto da un bambino è la sua capacità di analisi, valutazione e assunzione di responsabilità.

         L’età matura non sempre coincide con l’età anagrafica, cioè si è adulti perché si è raggiunta la maggiore età stabilità dalla legge, per cui si diventa personalmente responsabili dei propri atti, ma non è scontato che si è raggiunta la maturità di vita.

       Oggi molti adulti vivono come degli eterni giovani. Si cerca in tutti i modi di sfidare gli anni che passano, il tempo e la vecchiaia che incalza.

        A causa della cultura odierna, basata sull’efficientismo e sull’individualismo, la vita umana è sempre più apprezzata a condizione di ciò che si può fare e se si è in perfetta efficienza fisica.

       Oggi i “saggi” sono gli “influencer”, i “realizzati”, sono i “VIP”; se “non ci si sballa”, non ci si diverte e se non si vive la “movida” si è considerati ai margini della società.

       In questo contesto culturale, parlare di “Vigilanza”, del “Vegliare” è quasi incomprensibile. Vegliare è inteso come passare la notte del sabato fuori casa a divertirsi fino all’alba, dopo una settimana di lavoro.

       “Vegliare”, “vigilare” inteso come capacità di discernimento, di analisi attenta e precisa sulla vita risulta difficile e incomprensibile, perché i riferimenti categoriali e valoriali sono cambiati.

       Le categorie di “Bene” e di “Male” sono sempre più soggettive e, di conseguenza, la valutazione delle circostanze, delle situazioni e degli atti risulterà sempre più legata ai criteri individuali e alle letture soggettive delle circostanze.

       In questo contesto culturale, la proposta di vita evangelica trova sempre più difficoltà ad essere compresa ed accolta, perché basata su valori assoluti e non relativi, sulla sequela di Dio e non sull’affermazione della soggettività.

       Come cristiani siamo, dunque, caricati di una maggiore responsabilità e gravati dall’urgenza di testimoniare il valore alto e liberante della fede, della sequela di Dio con una condotta di vita “vigile” e “attenta” nel discernere per vivere la fedeltà alla Verità nella piena realizzazione del Bene.

       Iniziare un nuovo Tempo di Avvento deve essere uno stimolo a riconsiderare con attenzione la propria vita di credenti a partire dalla capacità di vivere la quotidianità illuminata dalla Verità di Dio, dalla sapienza della sua Parola e dalla costante costruzione del Bene di tutti, quindi, del Regno di Dio.

       In questa Prima domenica di Avvento, la Parola di Dio ci viene in aiuto per rinvigorire la nostra adesione al Signore e liberare il cuore da ciò che non ci permette di discernere il bene dal male e ritenere ciò che è buono e valido per l’edificazione comune.

       Soffermiamoci sui versetti 35 e 36 del brano evangelico di Marco capitolo 13. I capitoli 11-13 sono definiti come il «discorso escatologico» e costituiscono l’ultima parte del lungo insegnamento di Gesù impartito nel o davanti al tempio. Gesù in questi versetti esorta a tenere vigile la coscienza ed essere pronti all’incontro con Dio. Parla del padrone di casa e di servi: il padrone è Cristo e i servi siamo noi che abbiamo scelto di seguirlo. Gesù esorta alla fedeltà a Lui e per questo ad una costante vigilanza su sé stessi per non deviare dal cammino di sequela, per essere testimoni del Vangelo e “sentinelle” per il prossimo per saper aiutare a discernere il Bene dal Male.

      

       «35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati». (Mc 13, 35-36)

 

        Il termine Vegliate in greco è γρηγορεῖτε (2° persona presente attivo imperativo plurale), del verbo γρηγορέω (grêgoreô) guardare (da ἐγείρω, svegliarsi, levare, produrre), metaforicamente indica prestare attenzione, essere cauto, attivo, vegliare affinché, per disattenzione o indolenza, non giunga improvvisamente una calamità distruttiva.

      

       Il vegliare a cui ci invita Gesù è della coscienza che deve essere capace di discernere con correttezza. L’impegno deve essere rivolto ad una formazione costante perché nelle complicate situazioni in cui oggi viviamo non sempre è facile e immediato il corretto discernimento per scegliere effettivamente il bene.

       Il pericolo poi che le coscienze siano sempre più indolenti è concreto per tante ragioni, in primis per la cultura nichilista che ormai è ben radicata nella mentalità comune, per cui nulla ha valore e le istituzioni hanno perso la loro funzione di educatori, formatori e di strutturazione della vita sociale.

       Nell’indolenza si cade anche per l’essere assoggettati alla comunicazione mediatica, rinunciando all’approfondimento e alla ricerca della “verità”.

       La stessa proliferazione di “fake news”, che difficilmente sono riconosciute come tali e a cui si fa fatica a dissentire, è il segnale forte che le coscienze sono spesso “indolenti”, “erronee” e “lasse”, usando termini propri della morale cattolica.

       Da qui la raccomandazione finale di Gesù a non “essere addormentati” (v. 36).

   L’aggettivo “Addormentati” in greco καθεύδοντας (presente attivo participio accusativo plurale maschile), καθεύδω (katheudô) addormentarsi (da κατ e heudo, dormire) indica, in senso metaforico, il cedere alla pigrizia e al peccato, essere indifferente alla propria salvezza.

       Questo monito di Gesù deve stimolare i credenti a vivere nella “Verità” secondo la “Carità” sia verso sé stessi che verso il prossimo.

       Cosa comporta questo?

Vivere nella “Verità” secondo la “Carità” significa imparare a leggere la vita a partire dalla fede, cioè dalla Parola come fondamento e criterio di valutazione delle situazioni e scegliere sempre ciò che genera “amore”, “vita”.

       Essere cristiani si connota, dunque, nel vivere la quotidianità leggendo ogni cosa alla luce della Parola di Dio!

       Di conseguenza essere cristiani comporta una conoscenza della Parola di Dio e una vita secondo essa, che San Paolo definisce “conformità a Cristo” (Rm 8,29).

      Vivere nella “Verità” secondo “Carità” è ricercare e costruire “verità” e “amore” in sé e attorno a sé; è agire in verità perché il Bene vinca sul Male; è annunciare la “Verità” perché ogni persona possa esprimere il meglio di sé e realizzare sé stessa in pienezza; è scegliere ciò che è vero, giusto anche se non “popolare”, condiviso dalla logica del mondo.

      Il “così fan tutti” e il “che male c’è” non appartiene al cristiano perché il “fare” per il credente è sempre espressione “dell’essere in Cristo”: "non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20) è la vera identità del credente, che vive a partire da Cristo e agisce secondo Cristo, cioè da “testimone”, da “martire”!

   In questo inizio di Avvento impegniamoci a ridestare la nostra coscienza e a formarla per saper essere “vigili”, “capaci di attento discernimento” nelle sempre più complesse situazioni della vita quotidiana.

     Chiediamo al Signore la sua Grazia per crescere nella adesione a Lui ed impegniamoci con rinnovato slancio di amore per Lui e il prossimo “a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1 Pt 3, 15).


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