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La Luce Negli Occhi

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XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“Innamorati di Cristo”


 

(Gn 18,1-10 - Sal 14 - Col 1,24-28 - Lc 10,38-42)

 

       «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42).

       Su questa affermazione di Gesù sono stati usati fiumi di inchiostro in commenti, dispute tra pastorale e teologia. Resta certamente una affermazione che è sempre attuale e descrive chiaramente le modalità di rapporto con Dio nella pratica della religione.

        Oggi è declinabile per indicare la situazione delle comunità di fede cristiana, in particolare quella cattolica.

       Dopo le forti restrizioni causate dalla pandemia di Covid si registra un forte calo di frequenza e una sempre maggiore distanza dalla fede da parte della fascia giovanile/adulta del nostro Paese.

       Si continua a registrare una pastorale sacramentale che non coinvolge già da appena dopo la Prima Comunione e con il Sacramento della Confermazione si arriva alla chiusura e abbandono della vita comunitaria e sacramentale.

       Resiste soprattutto nel centro-sud della nostra penisola una affezione alla tradizione cristiana da parte degli adulti (40-60 anni), ma uno scollamento tra fede e vita: non c’è di fatto posto nel loro cuore per il cristianesimo.

       Questa realtà è causata dalla rottura della trasmissione generazionale della fede da parte di adulti che vivono da “Peter Pan”: eterni giovani, affascinati ed attratti dal potere, dal denaro, dalla prestanza sessuale, dalla libertà infinita, dal bisogno struggente di “movida” (basti pensare ai talk show con protagonisti adulti over 50 che offrono un esempio tangibile della cultura del vuoto imperante).

        La vita pastorale appare viva perché c’è una certa frequenza alla catechesi in preparazione ai Sacramenti, una partecipazione “sentita” alle feste e processioni, ma una sempre più scarsa partecipazione alla celebrazione Eucaristica domenicale e quasi inesistente a quella feriale.

        Ci verrebbe quasi naturale rivolgerci a Gesù e chiedergli cosa sta facendo, perché tutto questo accade senza che intervenga. Potremmo domandagli se è meglio “fare” attività per coinvolgere, secondo lo stile di Marta, o “essere” secondo lo stile di “Maria”.

       La risposta di Gesù resta la stessa: il «fare» di Marta è necessario, ma senza l’«essere» di Maria è inutile e faticoso, poco efficace e coinvolgente.

         Non bisogna dimenticare che la fede si trasmette per attrazione, per contagio, per riflesso, “di mano in mano”.

         Cosa è necessario, dunque, per la realtà odierna delle nostre comunità, per ogni battezzato che vive nella cultura di oggi?

         Come “essere” e “fare” perché si edifichi il Corpo di Cristo, la Chiesa?

        Occorre essere innamorati di Cristo. Occorre che le comunità siano composte da adulti innamorati di Cristo, capaci di trasmettere la fede, testimoniando l’amore per Cristo.

        Ogni battezzato ed ogni comunità deve esprimere nella quotidianità, nella ordinarietà della vita l’essere innamorati di Cristo e uniti a Lui in un legame profondo di amore, di ascolto, di adesione.

         San Paolo una l’espressione “perfetto in Cristo” (Col 1, 28).

        È una espressione che può incutere timore, inadeguatezza e provocare rifiuto, allontanamento, soprattutto perché la cultura odierna esalta l’essere umano e la sua possibilità di scelta e di affermazione.

        “Perfetto in Cristo” esprime la realtà del credente che si lascia abitare da Dio e rinnovare interiormente per il rapporto di amore con Lui, sullo stile di Marta che si è seduta in ascolto orante di Gesù, e nello stesso tempo agisce nella ordinarietà della vita secondo l’amore che vive per Cristo nel pieno rispetto della sua volontà, della sua Legge d’amore, sullo stile di servizio amorevole di Marta.

        A questo punto possiamo provare a rispondere alla domanda posta prima: come “essere” e “fare” perché si edifichi il Corpo di Cristo, la Chiesa?

       Le comunità devono essere e agire sempre in modo che chiunque le attraversi, anche solo per pochi momenti o occasioni sporadiche, possa innamorarsi di Gesù incontrando degli innamorati di Cristo.

         Essere comunità dove si viva la vera fraternità in Cristo!

       Ogni battezzato sia innamorato di Gesù e cammini per diventare santo, “perfetto in Cristo” e, quindi, donato agli altri sull’esempio di Cristo.

        Ogni battezzato deve agire in modo da poter spezzare quel vincolo tra depressione e fede che tanto spesso si riscontra. Basta con cristiani musoni, cupi nel cuore e nel volto, ossessionati dal perfezionismo di una pietà devozionale piuttosto che incamminati verso la perfezione in Cristo.

        Come credenti, siamo chiamati, sull’esempio di Paolo, a unirci ai patimenti di Cristo, offrendo la propria vita, le sofferenze e le gioie per il bene della Chiesa. 

       Per “essere” e “fare” da testimoni di Cristo è necessario essere innamorati e agire da tali, per vivere l’essere perfetti in Cristo, abitati da Lui, ed operare nella donazione gratuita di sé agli altri.

        Dio che ha iniziato questa opera, per il Battesimo ricevuto, la porti a compimento in ogni battezzato perché il mondo sia contagiato da veri “innamorati di Cristo”!

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“Prendersi cura”


 

(Dt 30,10-14 - Sal 18 - Col 1,15-20 - Lc 10,25-37)

 

         «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10, 27).

          Questa è l’essenza della fede ebraico-cristiana. Gesù ci ha insegnato come attuare questo comandamento.

         Amare Dio significa vivere nella sua volontà, cercarla, comprenderla, viverla. Ci ha insegnato a pregare chiedendo proprio questo nella preghiera del Padre nostro: “sia fatta la tua volontà”!

         Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza significa amarlo con tutto sé stessi educando mente, cuore e volontà a compiere ciò che è gradito a Dio, superando il naturale egoismo, decentrandosi per centrarsi in Dio.

       Amare Dio non è seguire una religione, ma una Persona. È una relazione personale che coinvolge interamente orientando tutta la vita perché la relazione d’amore con Dio sia la ragione di esistere del credente.

         Amare il prossimo come sé stessi!

        Può sembrare una eresia, ma può risultare più facile amare Dio che il prossimo, proprio perché la relazione con Dio appare gestita dalla persona. Non è così!

         L’amore per Dio orienta e comporta l’amore per il prossimo e per sé stessi.

        Quando si ama veramente Dio si impara ad amarsi nel senso più pieno, perché non ci si limita a valutare la vita nella sua realtà terrena, ma la si comprende nella sua espressione più alta: destinata alla vita eterna in Dio!

       Da qui non ci si limita a cercare ciò che soddisfa e realizza secondo la logica umana, ma tutto è vissuto nella prospettiva di Dio, tutto dovrà concorrere a realizzare la volontà di Dio e l’amore di Dio.

         Comprendendosi e amandosi in Dio, l’amare il prossimo sarà vissuto nella stessa direzione, modalità.

         Amare il prossimo significa “prendersi cura”!

        Nella parabola Gesù evidenzia l’atteggiamento del buon samaritano, che si differenzia da quello dello scriba e del sacerdote evidenziando perché egli «si prese cura di lui» (Lc 10, 34).

       Prendersi cura del prossimo significa avere attenzione alla realtà dell’altro. Amare il prossimo è cercare il suo bene nella sua identità e condizione.

          Amare il prossimo è assicurare l’aiuto per l’emergenza, ma anche garantire il benessere completo dell’altro.

       Il buon samaritano non solo si ferma a curare le ferite, ma si prende cura affidandolo al locandiere, che al tempo era la forma di ospedale di oggi e rappresenta la comunità dei credenti, la Chiesa, l’insieme di coloro che sono chiamati per fede a vivere l’amore del prossimo.

         Il prendersi cura, l’amare il prossimo, è superare l’egoismo, la vanagloria, il tornaconto, il plauso e la fama. Non a caso non è menzionato il nome del Samaritano. L’amore secondo Dio non porta al successo, alla fama, al prestigio perché è gratuito, fuori dalla logica dell’amore umano che cerca il proprio interesse e tornaconto.

           Amare il prossimo, prendersi cura significa amarsi e amare l’altro nella modalità di Cristo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).

        Per amare il prossimo è necessario imparare a conoscere, ad ascoltare e a non esprimere giudizi di condanna. La valutazione che necessita per amare è tutta orientata a comprendere il bene da compiere nel vero bene dell’altro e di sé stessi, fedeli sempre all’amore di Dio.

         Il cristiano vive la virtù della Fede quando il suo agire è espressione della virtù della Carità, nella comprensione della vita secondo la virtù della Speranza.

          In questa prospettiva l’amore per Dio e per il prossimo sarà autentico e sempre orientato al bene secondo Dio, nella sua volontà.

       Nella reciprocità di vita le relazioni umane saranno un autentico “prendersi cura”, senza egoismi, senza interessi, nel pieno rispetto reciproco e nella solidarietà perché ognuno realizzi nella sua vita la volontà di Dio Padre.

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - (ANNO C) - 2022

“Vivere la Gioia”


 

(Is 66,10-14 - Sal 65 - Gal 6,14-18 - Lc 10,1-12.17-20)

 

       Parlando con i ragazzi e i giovani sul perché si è cristiani mi sento rispondere spesso perché siamo nati in Italia, perché è la nostra religione più diffusa, perché fa parte della nostra cultura e tradizione.

       Risposte che in fondo non sono sbagliate perché il cristianesimo è la religione più diffusa in Italia, perché fa parte del nostro patrimonio culturale con tutte le tradizioni e devozioni annesse.

Resta, però, sospeso il senso profondo dell’essere cristiani!

       La fede non è cultura, tradizioni che distinguono un paese da un altro, usi e costumi. La fede è identità e di conseguenza cultura!

       San Paolo usa l’espressione “nuova creatura”: «Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura» (Gal 6,15).

          Non sono le consuetudini, i riti, le devozioni, i culti che fanno il credente, ma l’essere rigenerati, l’appartenere a Dio!

          La fede è un incontro con la persona di Cristo, con Dio, che sconvolge, rinnova, trasforma, rigenera la vita, il modo di pensare, di agire.

          La fede nasce da un incontro!

       Un incontro che si realizza tramite un annuncio, una testimonianza di chi vive la fede, ma per diventare fede in chi riceve l’annuncio occorre che incontri Cristo, ne faccia esperienza!

       L’annuncio è il primo approccio alla fede. Sentire parlare di Cristo, ascoltare le esperienze, vedere come è cambiata la vita di chi annuncia il Vangelo, dispone il cuore a conoscere e comprendere.

       Gesù invia ad annunciare la sua venuta: «[…] designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi», invitandoli a pregare perché il Padre celeste susciti altri disposti ad annunciare (Lc 10,1-ss).

       L’annuncio non è facile, perché esige un cambiamento di rotta in chi annuncia e in chi ascolta. L’annuncio suscita ribellione, ostilità, rifiuto perché contrario alla logica del mondo, all’interesse umano, alle dinamiche egoistiche dell’uomo.

       L’annuncio del Regno esige un cambiamento di prospettiva, una conversione radicale, per questo è fondamentale che chi annuncia debba aver compiuto ciò per essere credibile, testimone della “novità di vita” che deriva dall’incontro con Cristo.

       L’annuncio del Vangelo, del Regno di Dio, non comporta gioia e soddisfazione per le opere che si compiono, per il prestigio che ne deriva davanti agli uomini.

       La gioia dell’annuncio è vivere in Dio, vivere di Dio, vivere per Dio!

       «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10, 20).

       Si tratta di una gioia che non è legata a interessi, a piaceri, a potere, a successi.

       Si tratta della gioia di essere figli di Dio, di aver incontrato chi è il senso e il fine del proprio esistere, in cui il tutto della vita umana trova significato, senso e scopo.

       Gioia vera, gioia santa, gioia profonda ed eterna.

       È uno stato d’essere non un sentimento passeggero. È la novità di vita del Vangelo, che fa vivere nella speranza, nella certezza dell’amore di Dio e nella tensione verso di Lui.

       Il credente è colui che vive nella gioia di appartenere a Cristo e di annunciare la novità di vita derivante dall’incontro con Lui.

       Il credente è colui che vive la gioia dell’essere amato e perdonato da Dio, non per merito, ma per Amore gratuito.

       Il credente è colui che vive la gioia di testimoniare l’Amore incontrato perché il prossimo possa farne esperienza.

       Preghiamo perché questa gioia sia vissuta da tutti i battezzati.

       Preghiamo perché questa gioia caratterizzi la vita delle comunità cristiane.

       Preghiamo perché si annunci con la vita la gioia del Vangelo, di appartenere a Cristo, a Dio.


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