Privacy

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando tali servizi accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra Clicca qui per ulteriori informazioni




La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
  • Occhi


Germogli della Parola



×

Errore

Strange, but missing GJFields library for /home/utxxpkem/public_html/plugins/system/notificationary/HelperClasses/GJFieldsChecker.php
The library should be installed together with the extension... Anyway, reinstall it: GJFields

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“LUMINOSI NELLO SPLENDORE DELLA VERITÀ”


 

(1Re 19,16.19-21 - Sal 15 - Gal 5,1.13-18 - Lc 9,51-62)

 

          «Cristo ci ha liberati per la libertà! […] siete stati chiamati a libertà» (Gal 5,1.13).

       “Libertà” è uno dei termini più usati e rivendicati degli ultimi decenni. Libertà di fare, di essere, di pensare, di parlare, di giudicare! Si afferma una libertà individuale che spesso si pretende di affermarla ed imporla sulle altre libertà individuali.

       Se è vero che ognuno ha diritto alla sua libertà, questo non deve significare non considerare e tener conto di quella altrui. Per vivere la libertà è l’importante il rispetto reciproco e il riconoscimento della pari dignità personale.

       Ma siamo certi di parlare lo stesso linguaggio del Vangelo, ragionando sulla libertà intesa secondo la cultura odierna? In linea generale possiamo affermare di si, ma la libertà evangelica è molto di più e supera la prospettiva individualista esigendo una identità profonda in Dio e in relazione con Lui.

       La libertà evangelica è dono di Cristo! Va accolto Lui e il suo Vangelo per comprendere il significato profondo ed esistenziale della libertà da Lui donata.

       San Paolo afferma che è una chiamata di Cristo, quella alla libertà (Gal 5,13), dono del battesimo, con il quale si è inseriti nella vita in Dio.

       È una libertà di chi si riconosce figlio di Dio e decide di vivere da tale, per cui non è libero di fare ciò che vuole per il semplice fatto che è un essere umano razionale, ma con il “di più” di vivere la relazione d’amore con Dio. Pertanto, il suo essere libero comporta non assecondare semplicemente i suoi bisogni, desideri, ideali come persona umana, ma con il “di più” che deriva dalla fede che professa, che non è contro la persona umana e i suoi desideri, ma li eleva perché siano espressione dell’amore agapico di Dio.

       Vivere la libertà evangelica significa, dunque, vivere nella Verità del Vangelo, cioè in una profonda relazione d’amore con Dio, che vuol dire molto di più di una osservanza legale, morale di precetti, ritualità e di culto.

       Altro non è che ciò che Gesù presenta nel brano evangelico di questa domenica. Vivere secondo il Vangelo è una esigenza vitale totale che è alla base e dà senso ad ogni realtà dell’uomo.

       Il suo Vangelo viene incontro ai desideri più profondi dell’umanità; Gesù sa bene che siamo fragili e incostanti, ma offre il suo amore, la sua mitezza, la sua pazienza. Alle nostre incostanze e cadute non risponde come vorrebbero i discepoli Giovanni e Giacomo, con il fuoco che castiga, ma con l’attesa paziente dell’amore misericordioso.

       Cristo ci ama e ci rispetta, non si irrita di fronte ai nostri tradimenti, alle nostre scelte meschine, ma risponde con l’amore fino alla donazione totale di sé sulla croce, in una piena libertà di amore, alla quale ci chiama a rispondere e a viverla sul suo esempio.

        Nelle tre risposte Gesù non afferma che non si deve amare sé stessi, i familiari, ma questo amore deve essere rigenerato e purificato in Dio, liberandolo dalle logiche umane, dagli interessi, tornaconti e meschinità.

        L’ego personale, con il quale misuriamo le relazioni affettive e calcoliamo la quantità di amore da investire, deve cedere il posto a Dio e la misura diventerà molto più grande.

       Quando si accoglie questa logica di vita secondo il Vangelo, nella grazia dello Spirito, si vive nella libertà evangelica, per la quale la ristrettezza della logica umana, limitata da interessi e vantaggi personali, si converte ad una logica di donazione e offerta con la quale rinnovare il mondo.

       «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9, 62).

         Questa espressione forte di Gesù esprime proprio la condizione per appartenere al Regno di Dio: pensare ed operare secondo il Vangelo.

       Spesso questo versetto è interpretato come la condanna di Cristo verso chi abbandona la consacrazione religiosa, ma è una errata interpretazione perché il Regno di Dio è per i figli, i battezzati e non esclusiva del clero e dei religiosi, per cui mettere mano all’aratro e volgersi indietro significa scegliere di vivere nella logica del Vangelo e rimpiangere o rimanere legato alla logica umana di interessi e tornaconti, di meschinità e ipocrisie.

       Scegliere Dio, vivere il Vangelo significa cambiare mentalità, stile di vita, interessi, modo di amare, non più legati al personale interesse, ma nella donazione di sé secondo l’amore agapico di Dio.

        Se la fede è ridotta a legalismo, ad una morale, a leggi e tradizioni umane, per quanto con riferimenti alla fede, di fatto non è vita secondo il Vangelo.

          La morale cristiana non è legalismo, ma sequela di Cristo, Legge nuova e fonte di ogni moralità.

         Il culto cristiano non è una offerta di cose esteriori, come il culto dell’A.T., o parole elevate a Dio, sebbene con afflato e devozione, ma è unione al sacrificio di Cristo con una vita tutta immersa nella Verità per la Fede operante nella Carità.

        Vivere nella libertà secondo il Vangelo è appartenere al Regno, operare nel mondo da testimoni di Cristo, essere luminosi nello splendore della Verità.

      

O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione,

fa' che non ricadiamo nelle tenebre dell'errore,

ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità.

(Colletta della XIII domenica del T.O.)

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C) - 2022

“Essere presenza di Cristo”


 

(Gen 14,18-20 - Sal 109 - 1Cor 11,23-26 - Lc 9,11-17)

 

       «Ogni volta, infatti, che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11, 26).

       La Solennità del Corpus Domini, in cui ci soffermiamo a riflettere sulla presenza reale di Cristo nelle specie del pane e del vino consacrate che diventano suo corpo e suo sangue, è una espressione della fede in Dio e della appartenenza a Cristo, come membra del suo corpo mistico.

       Le parole di San Paolo affermano con chiarezza il senso e l’impegno derivante dell’accostarsi e ricevere l’Eucaristia: diventiamo testimoni viventi del mistero della salvezza e portatori del suo amore redentivo nel mondo.

       Accostarsi al sacramento dell’Eucaristia è un atto di fede e un impegno a vivere secondo Cristo.

       “Fare la comunione” significa vivere in comunione con Dio e i fratelli nella sequela di Cristo.

       Non è un momento devozionale o magico, ma un impegno di vita, una scelta profonda del Vangelo.

       Ricevere il Corpo di Cristo inserisce il fedele nel corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, la comunità dei fedeli. Questo comporta una scelta di vita di comunione, di unione, di fraternità.

       Le divisioni nella Chiesa, le fazioni nelle comunità, i sentimenti negativi e le rotture di relazioni tra fedeli sono di scandalo e in contraddizione con ciò che si celebra e si riceve.

       Purtroppo, dov’è l’uomo là ci sono divisioni e discordie, gelosie e invidie, maldicenze e calunnie. San Paolo ricorda ai Galati: «Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» (Gal 5, 15).

       Per evitare le divisioni e il far del male al prossimo, fino a cancellarlo dalla propria vita o, peggio, arrivare a distruggere la sua reputazione e rendergli invivibile la vita, basta fissare lo sguardo su Cristo e sulla sua presenza nell’Eucaristia.

       Gesù si è immolato per l’umanità quando questa non aveva nessuna intenzione di ascoltarlo e cambiare vita. Ha donato sé stesso umiliandosi fino alla morte di croce, tra sofferenze e insulti. In tutto questo è rimasto fedele all’Amore, che ha donato e continua a donare all’umanità.

       Questo dono di amore, perpetuato ogni giorno nell’Eucaristia celebrata e nella presenza reale nel Sacramento, è la sostanza e l’impronta vitale della fede e dell’operato del battezzato.

       Senza Eucaristia non si vive; senza l’Eucaristia non esiste la Chiesa; senza l’Eucaristia non ha valore la fede nel Dio Uno e Trino.

       Mediante l’Eucaristia il battezzato trova la forza per vivere nell’amore di Cristo e nella fraternità autentica verso il suo prossimo.

       Dall’Eucaristia deve nascere e sgorgare ogni gesto, attenzione e supporto verso il prossimo. Dall’Eucaristia il battezzato opera nella carità e cammina nella Verità.

       Al centro della fede del battezzato deve esserci l’Eucaristia, celebrata, adorata e vissuta nella comunione autentica e sincera tra credenti.

       In questo nostra società scristianizzata, in cui il riferimento a Dio è vissuto sempre più come un atto di sentimentalismo e devozione, occorre che i battezzati ripartano dalla celebrazione, dalla adorazione e dalla testimonianza della presenza reale di Dio nell’Eucaristia. Essere per il mondo testimonianza vivente del mistero di salvezza operato da Cristo, mediante una vita di vera comunione con Dio e con il prossimo, vincendo ogni divisione e giudizio, operando con fede nell’amore e nell’accoglienza del prossimo.

       Essere presenza di Cristo mediante una vita di comunione e testimonianza dell’amore di Dio, sostenuti dalla sua presenza reale nell’Eucaristia, celebrata, adorata, pregata e vissuta.

SANTISSIMA TRINITA' (ANNO C) - 2022

“Educare all’amore trinitario”


 

(Pr 8,22-31 - Sal 8 - Rm 5,1-5 - Gv 16,12-15)

 

           Cosa vuol dire essere cristiani? In quale Dio crede il cristiano?

        Sono domande a cui ogni credente “deve” saper rispondere, darne ragione a tutti! Per dare una risposta che sia esistenziale, che coinvolga il vivere personale, non può essere una risposta da catechismo, ma una piena esperienza personale.

        La solennità della Santissima Trinità, istituita per la Chiesa cattolica da Papa Giovanni XXII nel 1334, è motivo per ogni credente di soffermarsi a chiedersi e comprendere in chi si crede e quanta conoscenza si ha del Dio cristiano.

         Riconoscersi credenti nel Dio cristiano significa credere nel Dio uno e trino, rivelatosi in modo definitivo con l’Incarnazione di Cristo, che ci ha svelato il vero volto del Padre ed ha portato così a compimento le promesse d’amore di Dio per l’umanità.

         Il Dio cristiano è Amore, afferma San Giovanni (1Gv 4, 7-16). Le persone della Trinità vivono nella relazione d’amore, che si apre, si dona e coinvolge chi la accoglie, aprendo la persona ad una relazione di amore con Dio e il prossimo.

          Papa Benedetto XVI, all’Angelus del 07 giugno 2009, affermò: «La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati»[1].

         La nostra società occidentale è sempre più agnostica e indifferente alla fede, in particolare a quella cristiana, proprio perché ha perso la corretta relazione con l’amore. Aver posto enfasi sulla individualità e assoggettato tutto alla decisione e valutazione della soggettività esasperata, ha fatto perdere di fatto la relazione d’amore con Dio e con i fratelli: si è persa la speranza, che apre a Dio e sprona a vivere in Dio. Urge rieducare alla corretta concezione e attuazione dell’amore.

          Educare all’amore è necessario e urgente per la nostra società al fine di superare l’individualismo e recuperare le sane e corrette forme di solidarietà, di condivisione e di sostegno.

        Educare all’amore è esigenza vitale per recuperare il valore della dignità della persona umana, ormai dipendente delle logiche economiche, dal possibilismo e dall’efficientismo.

           Educare all’amore per far conoscere il corretto volto di Dio e aiutare la persona ad aprire il proprio cuore alla proposta di amore di Dio.

          Per questa educazione all’amore e per far conoscere il vero volto di Dio, è necessario che i cristiani vivano la fede e non l’immagine di essa espressa in forme stantie di pietà popolare, in stereotipi di vita cristiana slegata dalla concretezza della vita.

           I cristiani devono recuperare la missione propria e identificativa comandata da Cristo di “vivere nell’amore”: «amatevi come io vi ho amato» (Gv 15, 12); «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).

           Il mondo ha bisogno di cristiani che siano con la loro vita il volto e l’essenza della Trinità: l’amore!

           La fatica e l’ostacolo che spesso si contrappongono nella testimonianza e condivisione della fede sono generati dalla mancanza di amore autentico tra cristiani. Le divisioni, le fazioni, gli odi, le gelosie, le rivalità, le mormorazioni producono allontanamento dalla vita di fede e certo non sono espressione dell’appartenenza alla Santissima Trinità.

           È urgente recuperare la corretta e autentica realtà dell’amore cristiano!

           La Santissima Trinità è Amore in relazione. È Amore di comunione. È Amore di donazione.

         Amare e credere nel Dio cristiano, nel Dio di Gesù Cristo, esige una rivoluzione totale della propria esistenza imparando ad amare non solo per esigenza personale, ma per necessità esistenziale!

          Il cristiano non può vivere senza amare! Non può perché il cristiano è per sua identità “abitato dall’amore, da Dio”: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

          La primaria e fondante vocazione del battezzato è l’amore, perché appartiene, per il Battesimo, a Dio Uno e Trino.

         Santa Teresa di Lisieux lo ha compreso e vissuto in pieno: «La mia vocazione è l'amore. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà»[2].

         Non occorre avere posti di prestigio per essere credenti autentici, bravi cristiani; è necessario e fondamentale essere “l’amore”, cioè amare autenticamente e in libertà perché si è credenti!

          Come essere l’amore? Come amare se non si è perfetti? Come amare sapendo di essere peccatori?

          Credere è camminare nell’amore di Dio, non è uno stato di perfezione raggiunta o innata, come spesso si ostenta tra credenti.

        Credere è una costante crescita educativa nell’amore trinitario. Credere è, appunto, educarsi ad amare ad immagine dell’amore trinitario. Questo cammino si compie con una coscienza retta, capace di riconoscere il proprio limite ed errore, sempre pronta a rialzarsi confidando nella Grazia di Dio.

         È un cammino tra prove, tribolazioni, cadute, ferite, ma sempre con lo sguardo fisso su Dio; sempre in ascolto della sua Parola; sempre in preghiera contemplativa di Dio Amore.

       San Paolo lo afferma con chiarezza e fermezza, nel suo stile comunicativo, espressione della sua profonda esperienza di fede in Dio Amore: «ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 3-5).

        In questo cammino di “educazione all’amore trinitario” non siamo soli: Dio cammina con noi e in noi ed opera in noi mediante i Sacramenti e la vita nella sua Chiesa.

 

 

 

[1] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/angelus/2009/documents/hf_ben-xvi_ang_20090607.html

[2] Autobiografia di santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux); Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, pp.227-229

DOMENICA DI PENTECOSTE - MESSA DEL GIORNO (ANNO C) - 2022

“Abitati dall’Amore”


 

(At 2,1-11 - Sal 103 - Rm 8,8-17 - Gv 14,15-16.23-26)

 

             «Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra»

           Il ritornello del Salmo responsoriale di questa solennità della Pentecoste è l’anelito del cuore che si eleva a Dio perché il mondo viva nell’amore di Dio. Il Salmo 103 è un inno di lode e benedizione al Signore per le sue opere, per il creato, per la vita: nulla di tutto questo splendore esiste senza lo Spirito di Dio, ma diventa morte, tenebre, oppressione, schiavitù.

             È la continua lotta tra bene e male, tra luce e tenebra, tra amore e odio, che tutti sperimentiamo nella vita.

             Chi non cerca l’amore? Chi non desidera la felicità? Chi non anela alla serenità e pace interiore?

          Tutto questo senza Dio è effimero ed impossibile. Senza Dio la ricerca del bene, dell’amore, della felicità diventa illusione e utopia perché non basata su valori assoluti, ma su cose caduche e passeggere.

       La bellezza fisica, oltre ad essere relativa, è passeggera, sottoposta al segno del tempo. Cercare questa come valore fondante porta inevitabilmente a vivere una relazione affettiva a tempo e destinata a stancare.

          La ricerca dell’amore e della felicità deve basarsi su valori assoluti ed eterni, che portano a divenire “belli” dentro, nell’anima, nel cuore e, di conseguenza, non soggetti ai segni del tempo, ma all’azione vitale e sempre nuova dello Spirito Santo.

           Il mondo, la terra, ha bisogno di Dio. L’umanità per essere “bella e buona” ha bisogno di elevare lo sguardo oltre la realtà del mondo e imparare a guardare la vita con gli occhi dello stupore e della contemplazione, propri di un innamorato, di chi ha incontrato l’Amore vero: Dio!

         In Dio tutto ha senso e valore oltre il contingente, perché in Lui tutto ha un altro e alto valore. Le questioni umane, che generano conflitti, rancore, odio, guerre, diventano relative, effimere, prive di senso quando rilette alla luce di Dio.

       La Solennità di Pentecoste segna l’inizio della evangelizzazione a tutti i popoli; l’opposto della Babele, simbolo della dispersione e divisione; la novità di vita fondata sull’amore di Dio.

         Dalla Pentecoste nasce la Chiesa, la comunità dei credenti abitati dallo Spirito e resi testimoni credibili e coraggiosi per l’azione dello Spirto in loro.

        A duemila anni dall’incarnazione di Cristo, dalla sua passione e risurrezione, dal dono dello Spirito Paraclito, il mondo ha bisogno di credenti innamorati di Dio, abitati dallo Spirito, capaci di vincere le passioni ingannatrici per vivere nell’Amore di Dio.

       San Paolo contrappone la “carne” allo “spirito”, intendendo con “carne” tutto quello che non rende schiavi e non liberi: le passioni, i desideri che non aprono alla vera reciprocità e al rispetto dell’altro e di sé stessi come persone, come creature di Dio chiamate ad Amare in Dio.

       Tutto ciò che siamo è stato creato per amore ed è in sé buono, ma nella nostra libertà e determinazione può degenerare in male, innescando il vortice della dipendenza, della schiavitù, della morte interiore.

        «Così, dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8, 12-13).

        Vivere secondo lo Spirito significa lasciarsi guidare, scegliere e perseguire il bene, che è sempre oltre l’interesse personale e genera libertà e felicità vera.

        Vivere secondo lo Spirito significa vivere da “figli di Dio”, cioè da coloro che ricercano la volontà di Dio in ogni cosa, in ogni minima azione, discorso, decisione, desiderio e passione personali: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 15).

        La vita secondo lo Spirito è vita quotidiana vissuta in piena responsabilità, in cui agire cercando di operare sempre nell’amore e per amore, evitando di generare dolore, male, divisione, morte in noi e nel prossimo.

          Per vivere secondo lo Spirito occorre mettersi in ascolto di Lui: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26).

        Senza una vita di preghiera, di adorazione, di contemplazione, di ascolto e meditazione della Parola, non può esserci vita secondo lo Spirito di Dio.

        Vivere secondo lo Spirito comporta lottare contro le passioni e i desideri della carne e affidarsi a Dio per lasciarsi guidare, sostenere e condurre nella via del Bene, dell’Amore vero e liberante.

          In questa lotta non siamo soli, ma Dio è accanto a noi, con la grazia del suo Spirito. Di questo ce ne dà testimonianza forte e precisa San Paolo, il quale descrive con queste parole la lotta interiore, che è di ciascun credente:

        «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.  Dunque, io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.  Infatti, nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. […] Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io, dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato» (Rm 7, 18-25).

        Seguendo la testimonianza di San Paolo e di tanti altri Santi nessun credente deve sentirsi solo o incapace nel vivere la fede, secondo lo Spirito Paraclito, perché Dio è consapevole della debolezza dell’umanità, ma occorre che il credente si affidi a Dio continuamente nella preghiera, formi e verifichi la propria coscienza, e si nutra della Grazia sacramentale costantemente.

        Il credente, che si affida a Dio e si lascia abitare dallo Spirito, non è mai solo e Dio lo guiderà sempre nel vivere secondo l’Amore, per questo occorre vivere nella Verità e fare verità in sé stessi.

        Concludo con le parole di San Giovanni nella sua prima Lettera, in cui ci ricorda l’essenza della vita di fede in Cristo: vivere nell’amore, guidati dallo Spirito Paraclito!

        «Dio è luce e in lui non c'è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. […] Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. […] Chi invece osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. [..] Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. […] Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo - la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita - non viene dal Padre, ma viene dal mondo. […] In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»

         Buona solennità di Pentecoste!


Passa alla modalità desktopPassa alla modalità mobile