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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C) - 2022

“Nella perfetta unità, testimoni di Cristo”


 

(At 1,1-11 - Sal 46 - Eb 9,24-28;10,19-23 - Lc 24,46-53)

 

       La preghiera di Colletta dell’anno C così recita:

       «Padre santo, che hai glorificato il tuo Figlio innalzato alla tua destra, fa’ che il popolo da te redento formi una perfetta unità nel vincolo del tuo amore, perché il mondo creda in colui che tu hai mandato, Gesù Cristo, Signore nostro.»

       In queste parole è sintetizzata l’essenza di questa solennità: uniti a Cristo, elevati alla dignità di figli e resi partecipi del Regno del Padre, siamo chiamati a vivere in unità perfetta, per il dono dello Spirito Santo, per annunciare al mondo la salvezza operata da Cristo e la novità di vita in Lui.

      

       «[…] riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1, 8).

       La testimonianza è opera dello Spirito Santo in noi, che ci rende uniti in Cristo per l’amore effuso nei nostri cuori, e capaci di annunciarlo, non con una elucubrazione e un linguaggio forbito e teologico, ma con la vita rinnovata dall’incontro personale con Cristo.

      Celebrare la solennità dell’Ascensione del Cristo deve stimolare e aiutare a prendere coscienza della grande responsabilità di essere credenti, battezzati in Cristo.

       È la responsabilità di vivere nell’unità perfetta, per l’azione dell’amore di Dio in noi, e di dare testimonianza con una esistenza rinnovata dalla fede.

         Unità perfetta: una affermazione che interpella ogni credente a vario titolo e responsabilità. Nessuno si può sentire a posto in coscienza di fronte a tale condizione di vita, perché essa si raggiunge quando si lascia operare veramente Dio nella propria vita, senza porgli ostacoli con il peccato. L’unità nella cristianità è lontana dall’essere vissuta, ma anche nella Chiesa cattolica, come nelle piccole realtà delle comunità parrocchiali e gruppi ecclesiali. Anche se questa è la condizione, non significa che ad essa non dobbiamo tendere e impegnarci perché si realizzi. L’impegno personale deve essere vissuto al massimo delle proprie capacità e possibilità, lasciando sempre aperta la porta a chi decide diversamente.

       L’unità perfetta è di fatto la santità a cui tendere e aprirsi, che non è una condizione impossibile per la persona umana, per il semplice fatto che è Dio che la realizza in chi si lascia abitare da Lui.

      L’unità in Cristo, resa perfetta dallo Spirito Santo, rende le comunità di fede luoghi di vera crescita e testimonianza della fede. Dove c’è unità di cuori, nella verità e nella carità, la testimonianza di fede è credibile e coinvolge chi la riceve.

       Dare testimonianza: in una società pragmatica come quella attuale, in cui il fatto religioso è sempre più relegato alla sfera privata, Dio è ignorato, non considerato e i sentimenti asserviti alla logica economica e alla ricerca del successo, della ricchezza, della fama, della notorietà, la testimonianza di fede è credibile solo se è espressione di una esistenza tutta centrata su Dio e coerente nelle scelte. Cristo invia i credenti a testimoniarlo al mondo mediante una condotta di vita tutta centrata sull’amore, secondo il suo insegnamento.

      La solennità dell’Ascensione è, dunque, l’occasione propizia per rileggere la propria esperienza di fede, la vita da credenti, e chiedersi in coscienza quanto è rivolta a Dio e basata sull’agape.

      La nostra umanità è innalzata al cielo per l’ascensione del Cristo, pertanto, la nostra vita terrena, nella quotidianità ordinaria e personale, deve essere espressione tangibile del proprio appartenere a Dio e della tensione verso la santità nella disponibilità, accoglienza ed apertura all’azione dello Spirito Santo, sebbene facendo i conti con il proprio limite.

       Nel cammino di crescita nella fede e nell’unità perfetta per giungere alla meta della santità, non dimentichiamo che non siamo stati lasciati soli. Cristo ci ha lasciato la sua presenza nell’Eucaristia per offrire in Lui, con Lui e per Lui noi stessi al Padre, mediante il continuo impegno di conformità a Cristo nella carità e verità.

       Nell’Eucaristia noi offriamo al Padre l’unico, perfetto e gradito sacrificio, Cristo Gesù, pertanto, la partecipazione non può essere da spettatori, ma da coloro che vivono nella fede, nel costante impegno di comunione con Cristo mediante una condotta di vita secondo la sua Parola.

 

       Celebriamo questa solennità tenendo lo sguardo rivolto alle cose del cielo, per impegnarci a vivere una vita di unità perfetta con Dio e con il prossimo nella carità e verità.

       L’impegno deve essere volto nell’avere un cuore sincero, una coscienza retta e un agire secondo la fede, nella carità, tesi nella speranza alla patria del cielo.

       «[…] accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso» (Eb 10, 22-23).

SESTA DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) - 2022

“Agire nell’amore”


 

(At 15,1-2.22-29 - Sal 66 - Ap 21,10-14.22-23 - Gv 14,23-29)

 

          «Se uno mi ama, osserverà la mia parola […] Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14, 23-24)

          Amare Dio! Ogni credente vive nella consapevolezza che credere ed avere fede significa amare Dio, ma cosa vuol dire esattamente?

       Gesù dice chiaramente che amarlo significa osservare la sua Parola, di conseguenza amare Dio non è semplicemente avere una vita religiosa pia, recitare preghiere, avere una moralità il più possibile integerrima.

       Amarlo richiede ascolto attento, confronto costante e studio della Parola. Quanti credenti conoscono la Bibbia? Quanto tempo si dedica all’ascolto, alla meditazione e comprensione del testo biblico?

        Si ignora la Parola e si riduce la fede a pratiche devozionali, a una partecipazione da spettatori all’Eucaristia e a qualche altra celebrazione sacramentale comandata.

       Certamente tutto questo non permette di vivere l’ascolto della Parola di Dio, né tantomeno essere coloro che applicano alle situazioni gli insegnamenti, considerato che si conoscono appena e di conseguenza il discernimento sulle circostanze si riduce ad una interpretazione personale.

          «Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli […]» (Mt 7, 21-29).

       Amare Dio e fare la sua volontà sono due realtà inscindibili: amarlo comporta la conoscenza, la sequela e vivere illuminati dal suo insegnamento. Essere credenti comporta costruire la propria esistenza a partire da Dio, perché tutto della nostra esistenza sia espressione dell’amore per Lui.

         Ciascuno è chiamato a fare la volontà di Dio e questo comporta non fare cose straordinarie, opere eclatanti, ma vivere la quotidianità con la personale e piena volontà di amare Dio e di generare amore in noi e nel prossimo. Fare la volontà di Dio esige fare scelte che non ci escludano dalla relazione con il prossimo, anzi il contrario. La volontà di Dio si realizza nella relazione con il prossimo, con il mondo, con ogni realtà concreta in cui viviamo, mediante l’impegno personale nel “generare amore, vita e reciprocità costruttiva”.

        «Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4, 20-21).

        Amare Dio esige l’amore per il prossimo! Dio ci ha chiamati personalmente in una relazione intima d’amore con Lui, ma ci ha costituiti comunità di credenti, Chiesa. Inoltre, ci ha investiti della responsabilità di essere portatori del suo Amore nel mondo, essendo “sale e luce” (cfr. Mt 5, 13-16). Osservare la Parola di Dio significa attuarla nella vita personale mediante scelte, parole, gesti, impegno costante nell’amore e nella verità.

       Osservare la Parola per amare Dio significa “essere nel mondo senza essere del mondo” (cfr Gv 17, 11-19), cioè vivere da protagonisti la vita concreta, sapendo sempre discernere il bene ed evitare il male. Significa vivere nella Verità, nella Giustizia e nella Carità, perché la Fede sia testimoniata nella fattività del credente, scevro da ipocrisia e vanagloria.

         Essere coloro che amano Dio e osservano la Parola significa spogliarsi del “lievito farisaico”, che spesso connota i cristiani, che inseguono una falsa giustizia e un perfezionismo di facciata e al contempo giudicano, escludono e condannano senza pietà il prossimo.

       Osservare la Parola per amare Dio significa agire nell’amore! La Parola di Dio, che si concretizza nella vita personale, conduce a agire nell’amore, consapevoli che Dio giudicherà l’umanità sull’amore: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito? […] In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me» (Mt 25, 31-46).

      

QUINTA DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) - 2022

“Amare nella Verità”


 

(At 14,21-27 - Sal 144 - Ap 21,1-5 - Gv 13,31-35)

 

       «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).

       Essere discepolo: questa è l’essenza dell’essere credenti!

        Credere significa vivere la sequela di Cristo, della sua persona e del suo insegnamento. Non c’è fede senza sequela; senza la decisione e la piena volontà di camminare selle orme di Cristo.

       Essere discepoli significa avere i medesimi sentimenti di Cristo (cfr Fil 2,5), il quale ha condiviso in tutto con noi, eccetto il peccato, e ci insegnato ad amare e ordinato di vivere nell’amore.

       La fede non è un “dovere”, ma una continua risposta d’amore a Colui che per primi ci ha amato e ci ha invitato a “fare come Lui”: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

       Il discepolo vive, opera come il Maestro, Cristo Gesù. Questa modalità richiede non solo impegno di volontà, attenzione e discernimento per comprende il “come di Cristo” e renderlo presente nella propria condizione, ma soprattutto relazione d’amore, di ascolto, di conoscenza del Cristo, per imparare e attuare il “come” nei confronti del prossimo in ogni occasione e circostanza.

       Questo non è facile! Non è scontato e attuabile senza impegno, senza un costante lavoro interiore per educare il proprio cuore ad amare sopra ogni cosa, nonostante ogni circostanza, mediante la propria persona e propri limiti e difetti.

      

       “Avere amore gli uni per gli altri” non è semplice e naturale e Cristo lo sa bene, ma lo ha ordinato ugualmente perché “quello che non è possibile agli uomini è possibile a Dio” (cfr Lc 18, 27).

       L’amore per il prossimo ed in particolare quello tra coloro che condividono la medesima fede, che amano lo stesso Dio, è un dono della Grazia di Dio, che viene proprio dall’essere discepolo!

       Quando manca l’amore tra i credenti; quando si giudica l’altro; quando si esclude l’altro; quando si emargina, quando si ghettizza, quando si sparla; quando di chiude un rapporto in nome addirittura della fede, non si vive da discepoli di Cristo.

       La testimonianza, l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione ed ogni altra forma di trasmissione della fede e servizio in nome della fede, se non si vive l’amore reciproco, sincero e vero, senza compromessi né interessi, è inefficace e non dà frutto secondo la Grazia.

      

         «Amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

       Non si tratta di un amore di circostanza, ma accoglienza e accompagnamento dell’altro. Gesù ci invita ad amarci reciprocamente come fratelli, nella modalità che Lui ha vissuto: si tratta di amare nella verità!

        Amare nella verità significa non solo che l’amore vero è servizio alla Verità di Dio e che essa illumina il modo di amare da parte nostra, ma che non si ama veramente senza la Verità, cioè senza che ognuno si impegni a comprenderla e scegliere secondo Essa.

       Amarci reciprocamente nella Verità di Dio comporta che mai le scelte e gli errori sono più importanti della persona, ma che essa va amata, rispettata, educata e sostenuta perché ami e si senta amata da Dio e dal prossimo.

       Quanto bisogno d’amore abbiamo! Quanta necessità di amare e riconoscersi amati abbiamo per affrontare con gioia la vita di ogni giorno.

       Nonostante questa sete d’amore, questo bisogno forte d’amore, costatiamo attorno a noi, dentro di noi sentimenti contrari all’Amore e alla Verità di Dio.

       I cristiani sono divisi, non solo per differenze di culto e teologiche, ma anche nella medesima confessione di fede la divisione è presente e semina morte. Si condivide il culto, la partecipazione all’Eucaristia nella divisione, nel pregiudizio, nella esclusione e separazione. Il mormorare, il giudicare, l’escludere sono giustificati e non debellati, presumendo di amare Dio, di servirlo, di onorarlo con culti e celebrazioni in cui ci si mostra devoti, pii, pieni di zelo per il Signore e la sua casa.

      Amare in Verità significa impegnarsi a operare su sé stessi per rimuovere la “trave” dal proprio occhio, dalla propria coscienza, prima di avvicinarsi al prossimo.

      Amare in Verità per costruire relazioni di vera reciprocità in cui edificarsi nel Bene comune, sostenendosi, accogliendosi e impegnandosi insieme per edificare il Regno di Dio, la vera fraternità dei figli di Dio, come il Figlio ci ha insegnato.

      Amare in Verità è attenzione all’altro perché possa incontrare l’Amore di Dio mediante la nostra persona; pertanto, è attenzione a sé stessi perché nulla ostacoli questa trasmissione d’Amore.

 

Signore Gesù, nostro Maestro,

accogli la nostra umile invocazione,

nella consapevolezza che non riusciamo

ad amare “come” Tu ci ami.

 

Donaci il tuo Spirito,

perché ci renda docili, umili,

capaci di saper amare in Verità,

accogliendo il prossimo in nome Tuo,

senza giudizio, nella umiltà e Verità.

 

Senza di Te, senza la tua Grazia,

non siamo capaci di Amare,

tutto roviniamo con il nostro egoismo,

interesse e tornaconto;

con la vanagloria e il bisogno di sentirsi

apprezzati e valorizzati,

dimenticando che solo in Te

dobbiamo trovare vanto e valore.

 

Donaci il tuo Spirito d’Amore,

per amare come Te,

servire come Tu hai servito,

vivere nella Tua pace

e rispettarci e accoglierci

come fratelli e figli del Padre Tuo. Amen!”

QUARTA DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) - 2022

“Ascoltare e condividere”


 

(At 13,14.43-52 - Sal 99 - Ap 7,9.14-17 - Gv 10,27-30)

 

       «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10, 27).

       Questa affermazione di Gesù, che si presenta come “il Buon Pastore”, permette di riflettere su due aspetti fondamentali della fede: la Signoria di Cristo nella vita del credente e la sequela fedele.

       Il primo fondamentale aspetto della fede parte dal Battesimo. Seppure ricevuto da piccoli, per volontà dei genitori, essere battezzati significa riconoscere Gesù come Signore e Re della propria vita e accogliere il suo insegnamento, a fondamento delle scelte quotidiane personali. Per questo occorre un ascolto mediante la relazione intima e profonda con Cristo.

       Da questa adesione deriva il secondo fondamentale aspetto della fede, la sequela, che è attuare nella propria concreta esperienza l’insegnamento accolto, testimoniando la scelta di appartenere a Dio, di averlo posto al centro della personale esistenza.

       “Ascoltare la voce del Buon Pastore” indica, dunque, questa relazione personale e intima con Cristo, che si realizza nella preghiera, nella meditazione della Parola, nel discernimento quotidiano e nell’esame della propria coscienza.

          Non ci si può definire “cristiani”, “credenti”, se non si vive appieno questa relazione di ascolto del Cristo!

       In questa domenica si celebra la 59ª giornata mondiale di preghiera per le vocazioni dal tema: “Chiamati a edificare la famiglia umana”. Papa Francesco, nel suo messaggio per questa giornata, ricorda, citando Evangelii Gaudium 120, che «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione», pertanto la parola “vocazione” non va intesa «in senso restrittivo, riferendola solo a coloro che seguono il Signore sulla via di una particolare consacrazione. Tutti siamo chiamati a partecipare della missione di Cristo di riunire l’umanità dispersa e di riconciliarla con Dio […] siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza».

       Per il Battesimo ricevuto si è costituiti a pieno titolo “soggetti attivi di evangelizzazione”, cioè responsabili di annunciare il Vangelo con la propria vita, il proprio impegno, la propria responsabilità, le scelte, ma anche annunciando le meraviglie che Dio compie nella propria esistenza, la bellezza dell’appartenergli, la gioia che ne deriva camminando secondo la sua Parola.

       Annunciatori del Vangelo per la fede che si professa, corresponsabili della altrui adesione al Vangelo, impegnati a non scandalizzare ma a far innamorare di Cristo. Tutto questo sentendosi responsabili degli altri, della loro adesione o meno alla fede, impegnati a costruire relazioni di condivisione e di amore.

       “Ascoltare la voce del Buon Pastore” deve portare, quindi, proprio a questo: ad essere “custodi gli uni degli altri” e a “costruire legami di concordia e di condivisione”.

       Diversamente non sarebbe fede, non si vivrebbe la sequela di Cristo, ma l’essere cristiani si ridurrebbe ad una pratica sterile, vuota di senso e per nulla incisiva sulla vita concreta. In altre parole, sarebbe una vita religiosa, in cui Dio è assente e al suo posto c’è il proprio ego camuffato dietro a devozioni e morale, espressione di un certo riferimento ai Comandamenti e precetti della fede, ma vissuti per vanagloria e apprezzamento personale.

       “Ascoltare la voce del Cristo, buon Pastore” è crescita nella umiltà del cuore, adesione libera e razionale agli insegnamenti di Dio, ricerca della verità, del bene, nella cooperazione di coscienze, nella condivisione con il prossimo, nella edificazione di tutti nel bene, nell’amore di Dio.

       Dall’ascolto autentico del Cristo nasce, dunque, la cooperazione e la condivisione a costruire il Regno di Dio, consapevoli di essere stati “vocati”, “chiamati”, e “destinati” alla vita in Dio.

       Si è buoni ascoltatori di Cristo quando si è capaci di condividere con il prossimo l’ascolto, perché l’altro sia edificato, rigenerato dalla Grazia di Cristo e si senta parte viva del suo popolo: la Chiesa.

       Ascoltare e condividere: dall’ascolto, frutto di una relazione d’amore con Cristo, riconosciuto come Signore e Re; rigenerati e perdonati nell’Amore misericordioso di Dio; ogni battezzato è “chiamato” ad impegnarsi a rendere visibile la propria fede, l’ascolto del Cristo, in una condivisione umile e autentica, affinché l’altro possa incontrare, accogliere e ascoltare il Buon Pastore, Cristo Signore, Maestro e Re.

       Realizziamo la vocazione battesimale ricevuta impegnandoci a condividere la propria fede e a costruire la famiglia di Dio, la Chiesa, mediante l’ascolto della Parola e la costante ricerca della Verità, in una reciprocità e cooperazione di coscienze, perché la fede sia annunciata e conosciuta mediante l’impegno di ciascuno e secondo i carismi che lo Spirito dà a ciascun battezzato.

       Chiamati alla Vita non possiamo non generare vita! Ascoltare e condividere è generare vita in noi e attorno a noi; è amare e dare vita annunciando Colui che è Vita, Verità e Via.

       Nel rendere grazie a Dio per averci chiamato alla vita, in questa domenica ricordiamo e preghiamo per coloro che ci hanno generato e in particolare le nostre madri.

       In questa domenica, in cui celebriamo anche la “Festa della Mamma”, non possiamo non elevare il nostro grazie a Dio per il dono della vita, per la Madre che ci ha donato, Maria, e per tutte le madri che ci hanno generato e che si aprono al dono della vita.

      


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