PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) - 2022
“Umanità redenta”
(Dt 26,4-10 - Sal 90 - Rm 10,8-13 - Lc 4,1-13)
Abbiamo iniziato il nuovo cammino quaresimale in preparazione alla Pasqua di resurrezione. Questo tempo forte del cammino di fede è segnato quest’anno anche dalla guerra in Ucraina e la minaccia di un conflitto mondiale. Tensioni a livello politico, sociale e religioso vanno contraddistinguendo questi giorni facendosi passare, quasi in modo automatico, dalla tensione emotiva della pandemia a quella di una guerra mondiale (nucleare) presentata come imminente.
Le emozioni, i sentimenti, la speranza unite alla paura dovrebbero aiutare a comprendere il vero aspetto della vita e il suo valore; dovrebbero aiutarci a leggere la storia in chiave di fraternità universale imparando dai tanti momenti bellici che si sono succeduti nei secoli; dovrebbero spronarci a crescere nei valori autentici di condivisione e di pace.
Nel tempo della pandemia si gridava da ogni angolo, da ogni finestra o balcone, che tutto sarebbe andato per il meglio, convinti che l’umanità sarebbe migliorata.
Ora una nuova tensione e calamità sta muovendo a pietà i cuori di coloro che aborriscono la guerra e sentono compassione per le vittime del conflitto. Si prega per la Pace, si sfila per le piazze, si cerca di far sentire la propria voce contro la guerra.
Si desidera una umanità migliore!
La prima domenica di quaresima ci pone di fronte alla contrapposizione tra “bene e male”, presentando l’episodio delle tentazioni da parte del demonio a Gesù nel deserto.
Questa contrapposizione, o conflitto, tra il bene e il male è alla base della qualità della vita che si determina concretamente nelle scelte quotidiane.
La Pace o la Guerra sono realtà che si generano dalla scelta di bene o di male: a nessuna delle due si arriva come per magia, ma attraverso un processo costante di scelta fondamentale e particolare della vita.
Una umanità migliore non è utopia, ma frutto di concreto discernimento e valutazione a partire dal bene o dal male.
La quaresima non è il “tempo della penitenza”, ma è il “tempo della conversione”.
Tempo di conversione che parte appunto dalla considerazione su cosa e da cosa siamo spronati nella vita: dal bene o dal male?
Istintivamente risponderemo con convinzione e forza che siamo spronati dal bene, rifiutando il male. Non è una risposta a priori errata, ma non è del tutto vera se proviamo a leggere la nostra vita a partire dal brano evangelico.
Le tentazioni, rivolte a Gesù dal demonio alla sua umanità, evidenziano la realtà della nostra vita e le tentazioni a cui siamo costantemente sottoposti per soddisfare la naturale esigenza dell’uomo di fame: “di avere”, rispetto alle cose; “di potere”, rispetto alle persone; “di volere”, rispetto a Dio.
Chi si può dire esente da queste tre tentazioni?
Tutto ciò non significa che non bisogna possedere cose, avere responsabilità o scegliere liberamente, ma vuol dire non assolutizzare nulla di tutto questo; vuol dire non fondare la propria esistenza su queste tre realtà.
La prima tentazione sull’avere, a cui Gesù risponde: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”» (Lc 4,4), si basa sul bisogno, sulla necessità, sull’affidamento alle cose per realizzarsi nella vita.
Gesù con la sua risposta non condanna il possedere cose, né nega l’aver bisogno di sostentamento, di pane, di beni materiali, ma afferma che il bisogno primario è e deve essere Dio, per imparare a non diventare schiavi dei beni, a non essere avidi di beni materiali.
I beni materiali devo essere al servizio dell’uomo e non viceversa. In una logica consumistica, in cui possedere è sinonimo di benessere e di prestigio, Dio non ha spazio e con lui il rispetto del prossimo e di conseguenza la condivisione, la carità e la pace non saranno valori di riferimento assoluti, ma relativi al personale benessere: “nella misura in cui sono nella possibilità di possedere, condivido, amo e vivo in pace, altrimenti l’altro è rivale, nemico, usurpatore”.
La seconda tentazione del potere evidenzia l’indole naturale del comando sulla propria vita, su quella degli altri e sulla natura: è l’idolatria di sé stesso; è la bramosia di potere e di gestire tutto. L’uomo vive l’idolatria ponendo i mezzi come fine del proprio esistere e sé stesso al posto di Dio: si vive per il potere, unico fine e senso della esistenza!
L’uomo non è di fatto mai ateo, bensì idolatra perché sostituisce Dio con sé stesso, con il bisogno di potere. Nella nostra cultura in cui Dio è sempre più assente, l’uomo prende il posto di Dio con la bramosia di potere e con l’egocentrismo sempre più esasperato.
Gesù risponde al tentatore: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”» (Lc 4,8), volendo indicare, così, che solo se si adora Dio e si dà a Lui il primato sulla propria vita si può vincere la bramosia del potere. Quando Dio è al centro del proprio esistere, quando tutto è a Lui riferito, l’autorità che si può rivestire a vario titolo sarà vissuta come “servizio” e non come “potere”. Di conseguenza non ci saranno sudditi, sottoposti, schiavi, ma sempre “persone” con diversi compiti, ma con uguali diritti e dignità.
Senza Dio l’uomo diventa “dio” di sé stesso e il suo prossimo un inferiore o un rivale. Con Dio l’uomo vive nella piena consapevolezza di dover agire per il bene di tutti e quindi il potere che si esercita con la responsabilità che ne deriva sono vissuti nella logica di un servizio per la comune crescita e benessere dell’umanità.
La terza tentazione del volere, a cui si arriva a sottomettere anche Dio, è molto comune soprattutto nella cultura individualista. È di fatto la tentazione che capovolge il rapporto uomo-Dio: non è più l’uomo ad obbedire a Dio, ma è Dio che deve essere a servizio dell’uomo. Molto di più il volere dell’uomo è assoluto e inconvertibile.
È l’arroganza e la presunzione di essere sempre nel giusto, per il semplice fatto che è una decisione personale, liberamente voluta e determinata, oppure perché ci si riconosce “credenti osservanti e praticanti”.
Quando la libertà della persona e la sua scelta di volontà sono concepiti come valori assoluti, il pensiero degli altri e i loro bisogni possono facilmente diventare ostacoli e riduzioni, limiti da superare e/o eliminare. In questo contesto culturale Dio è il limite assoluto alla libertà personale e la sua volontà ostacolo di quella individuale; perciò, viene estromesso in modo definitivo dal proprio vissuto.
Per il credente questa tentazione si realizza cadendo nella “presunzione religiosa” di chi, forte della sua pratica di fede, dimentica che è in cammino verso la santità e non già nella condizione di perfezione. In questo contesto la libertà e la grazia diventano il paravento per il peccato, di fatto non si progredisce nella obbedienza alla volontà di Dio, alla sua Parola, e non si cresce nella fedeltà a Lui, ma Egli diventa motivo di ostentazione della propria “presunzione di giustizia e di santità” cadendo in una religiosità ipocrita.
Gesù risponde con la citazione di Dt 6,16: «“Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”» (Lc 4,12), ribadendo così che il credente deve obbedire a Dio: la salvezza dell’uomo sta nella sua obbedienza alla Parola, al volere di Dio, all’insegnamento del suo Cristo.
Quando l’uomo si apre alla volontà di Dio e gli obbedisce, impara a riconoscere il suo prossimo come fratello e a cercare ciò che unisce e edifica. La propria volontà non perde di valore, ma si apre ad un valore più grande perché non più ridotta a soddisfare i bisogni personali in modo egoistico, ma a realizzarli nella condivisione e nella cooperazione. La volontà di Dio non elimina quella individuale, ma la apre alla reciprocità riconoscendo che la vera realizzazione del singolo si compie nella possibilità di realizzazione dell’intera umanità.
In questa visione la Pace, la cooperazione e la condivisione sono indispensabili per ciascuno e da ciascuno perseguiti. Se si esclude la volontà di Dio per affermare quella personale non ci potrà essere spazio per nessuno se non sottomesso.
Solo in Dio e nell’obbedienza alla sua volontà si potrà costruire la vera Pace e una umanità migliore.
Il cammino quaresimale, dunque, è il tempo forte di “conversione” in cui riconoscere che il vero volto dell’umanità è quello di essere amata e redenta da Dio in Cristo.
La penitenza quaresimale deve essere tutta orientata a favorire questa presa di coscienza e consapevolezza di essere stati redenti.
Nella consapevolezza di essere amati da Dio e stati redenti in Cristo si potranno effettivamente costruire relazioni fraterne e una umanità migliore, dove nessuno è sottomesso e giudicato, ma tutti cooperano alla crescita e realizzazione comune.
Per una umanità migliore occorre riconoscersi e vivere da umanità redenta!