SETTIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022
“Misericordiosi: Amare senza misura”
(1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23 - Sal 102 - 1Cor 15,45-49 - Lc 6,27-38)
Si parla tanto di amore; si desidera l’amore; si chiede amore, ma cosa è amore? Cosa vuol dire amare? In che misura amare?
L’amore umano è certamente un sentimento positivo che coinvolge e genera felicità, ma fa i conti con la persona, con il suo bisogno naturale di “possedere”, di sentire “proprio”, assoggettando l’altro al proprio amor proprio: l’egoismo.
Quando non si entra nella reciprocità della relazione, della accoglienza dell’altro, l’amore diventa “possesso”, “gelosia”, “proprietà”. Non si vive più nella donazione di sé, ma nella schiavitù.
L’amore non è più un sentimento positivo, aperto alla vita, ma segna la perdita della dignità e genera morte interiore.
Amare in funzione di sé stessi porta inevitabilmente a vivere sentimenti contrastanti l’amore: diffidenza, arroganza, presunzione, facilità di giudizio di condanna, rancore, risentimento, odio.
Costruire relazioni a partire dall’individualità, basate sulla visione del soggettivismo, difficilmente si vivrà appieno la reciprocità, perché essa sarà sempre condizionata dalla valutazione soggettiva e partirà sempre dal sé e dal suo interesse e valutazione. L’altro sarà sempre un altro “Io” con il quale confrontarsi e scontrarsi, e non diventerà mai il “noi” che genera reciprocità e amore pieno.
La proposta di vita cristiana rivoluziona la comprensione dell’amore umano e presenta una modalità di amore che non parte mai dall’IO ma dall’altro.
Il brano evangelico di Luca riporta l’insegnamento di Gesù sull’amore cristiano, l’amore secondo Dio: l’agape!
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro» (Lc 6, 27-30).
In questi tre versetti è espresso ciò che opposto al soggettivismo. Amare chi è opposto a me, contro di me, chi mi usa, mi deruba, mi fa del male: tutto questo è contrario alla visione e comprensione dell’IO, impossibile secondo la logica umana.
Gesù propone, quindi, una vera e propria rivoluzione di mentalità, di volontà, di cuore!
Una “rivoluzione copernicana” che deponga l’IO e ponga al centro di tutto Dio! L’unica modalità per vivere nell’amore cristiano e operare secondo la fede è aprire il cuore, la mente e la volontà a Dio e lasciare che Lui sia il centro del nostro esistere, operare, volere.
Per arrivare a questo occorre incontrare, accogliere e seguire Gesù Cristo! Riconoscersi “figli nel Figlio”, amati e destinati alla vita in Dio. Occorre riconoscersi amati e perdonati da Dio, quali peccatori, egocentrici e incapaci di donare senza ricompensa ed interesse: «Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6, 35).
Amare senza interesse, senza tornaconto, senza gratitudine, senza misura: questo modo di amare è oltre la capacità umana, il modo naturale di amare secondo la logica dell’essere umano. Appena capaci di esprimere il concetto e il sentimento, l’essere umano si esprime con il “mio”: papà è “mio”, mamma è “mio”, il giocattolo è “mio”. Gli stessi capricci sono espressione dell’amore egocentrico. Impariamo a provare sentimenti a partire da noi stessi! L’altro è in funzione di noi.
La comprensione dell’amore secondo Dio è partire dall’altro, da Dio, dal prossimo per superare il limite naturale della nostra capacità di amare.
“Amare i nemici” è contrario ad ogni logica umana: è innaturale!
“Fare del bene e donare senza tornaconto” è irrazionale!
Solo nella comprensione di sé a partire da Dio tutto questo si può realizzare, sebbene non nella massima espressione, perché l’IO scalpiterà sempre per essere ascoltato e considerato!
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6, 36).
Il tema della misericordia è oggetto di continua riflessione teologica. Soffermiamoci brevemente a comprendere questo versetto nel testo greco.
Il versetto in greco è: «γίνεσθε οἰκτίρμονες καθὼς ὁ πατὴρ ὑμῶν οἰκτίρμων ἐστίν».
Il verbo γίνεσθε da γίνομαι (ginomai) significa “; divenire, cioè iniziare ad esistere; divenire, essere fatto”, indica uno “stato”, una “condizione” in divenire. Il processo di crescita interiore verso “l’essere misericordioso”, come “è misericordioso il Padre”, è un cammino nella fede sotto la guida dello Spirito.
La misericordia si vive solo in un continuo e costante cammino di crescita interiore e di rinnovamento interiore per l’azione della Grazia di Dio, dello Spirito Santo che è Amore.
Il termine οἰκτίρμων (oiktirmôn) misericordioso deriva da οἰκτίρω (oiktirô) compatire, avere compassione. La compassione di Dio a cui tendere è amore senza riserve, senza limiti, senza tornaconti. È amore gratuito, compassionevole, pronto a rialzare nella difficoltà e perdonare perché prende in considerazione solo la persona e non il suo atto.
Essere misericordiosi significa amare il prossimo in quanto persona, prendersi cura a partire dalla sua persona e non dai suoi atti. Significa essere pronti ad amare perché consapevoli di essere amati e perdonati continuamente da Dio, pertanto, amare il prossimo è rispondere all’amore di Dio verso noi stessi.
Essere misericordiosi è di fatto un processo di continua conversione interiore, un operare in primis su sé stessi per arrivare ad amare il prossimo con la “misura di Dio”.
Divenire misericordiosi è lasciarsi amare da Dio e amare con l’amore ricevuto da Dio, liberi da logiche di interessi, calcoli matematici di misure d’amore, perché Dio ama sempre in misura maggiore.
Gesù esplicita la modalità di essere misericordiosi nei versetti seguenti: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6, 37-38).
Assenza di giudizio: che non è assenza di valutazione, ma di condanna. Non si tratta di non riconoscere l’errore, ma non ridurre la dignità della persona all’errore commesso. Questo richiede umiltà di cuore, apertura a Dio e piena consapevolezza del proprio limite e capacità di errore. Richiede essere capaci di scandalizzarci del proprio peccato piuttosto che di quello altrui!
Assenza di condanna: possibile solo se si ha la piena consapevolezza del proprio limite e dei propri errori; consapevolezza e coscienza di quanto bisogno personale abbiamo di essere accolti, perdonati e non condannati! Solo partendo da una forte e profonda esperienza di perdono da parte di Dio e avendo una coscienza morale formata e matura si potrà evitare di condannare!
Capacità di perdonare: il perdono non è una possibilità e capacità naturale dell’essere umano, proprio per la sua naturale egocentricità. Il perdono è “dono” di Dio gratuito e rigenerante. Solo se si è fatta una profonda esperienza di perdono da parte di Dio si è capaci di perdonare. Per questo occorre un cammino di fede serio, nell’ascolto della Parola, lasciando che essa illumini la propria coscienza e divenga il criterio di valutazione e discernimento della vita.
Usare la misura alta e grande dell’amore: questa è la specificità della fede cristiana! L’amore, l’agape come misura del vivere, del relazionarsi con il prossimo.
Il cammino di fede autentica, dunque, non consiste nelle pratiche religiosi, nelle devozioni, ma in un continuo e costante lavoro interiore per raggiungere l’essere misericordioso, nella misura e modalità di Dio Padre.
La preghiera e la vita sacramentale, se non sono vissute come apertura all’amore, cammino di conversione e presa di coscienza del bisogno di perdono da Dio, restano solo pratiche religiose vuote e diventano esse stesse “giudizio di condanna” per la propria vita.
La specificità della vita cristiana è vivere nell’Amore di Dio incontrato, ricevuto e donato; è un cammino in divenire per giungere alla pienezza dell’essere “misericordiosi”, partendo dalla esperienza personale di perdono ricevuto.