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La Luce Negli Occhi

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XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“Testimoni della salvezza”


 

(Sap 11,22-12,2 - Sal 144 - 2Ts 1,11-2,2 - Lc 19,1-10)

 

«Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).

       Nella nostra società occidentale questa affermazione del Cristo che valenza ha? Parlare di salvezza ha senso per la cultura odierna? Il soggettivismo etico che contraddistingue la nostra cultura può mai riconoscere il bisogno di essere salvati e l’errore commesso? I termini “peccato” e “purezza del cuore”, “perdizione” e “salvezza”, hanno senso per l’oggi, in una cultura in cui tutto è subordinato al sentire individuale?

         Come annunciare oggi la fede cristiana, la centralità di Cristo e il dono della salvezza che Cristo ci ha conquistato con la sua obbedienza a Dio Padre?

          La testimonianza resta la via più attendibile e credibile!

       La Chiesa intera, quindi ogni singolo battezzato, nella diversità di ministeri e carismi, ha il compito di rendere credibile il dono della salvezza e ciò è possibile solo nell’umiltà e vivendo il servizio della verità nella carità.

        All’orgoglio dell’individualismo esasperato e all’esaltazione della libertà individuale, che non riconosce il limite personale, annulla il senso di colpa e annichilisce la coscienza, solo una testimonianza di vita carica di umiltà e libera da ogni potere e superbia di giustizia può far porre il corretto interrogativo sulla propria vita e aprire il cuore ad ascoltare e accogliere la proposta d’amore e di salvezza di Dio.

       «Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45).

       Il cristiano non ha altra via da seguire se non il “servizio”, sull’esempio di Cristo. Il servizio da vivere è “fare la carità della verità, espressione cara al Beato Giacomo Alberione, che probabilmente ha ripreso da Antonio Rosmini. Benedetto XVI, nella sua Enciclica “Caritas in Veritate”, afferma: «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera» (n.1).

       La carità della verità è: aiutare le persone a discernere qual è la felicità che dura in eterno; aiutare a capire che questa vita è bella e vale la pena viverla appieno, proprio perché è unica; annunciare che siamo destinati alla vita eterna e che Dio vuole la nostra felicità, che viviamo contenti.

       La nostra società ha bisogno di cristiani felici, che annuncino la gioia di vivere secondo il Vangelo con gesti di carità, con spirito di servizio; che vivono la piena comunione con Cristo, in ascolto costante della Parola e nell’umiltà di chi si sente amato e perdonato per la propria fragilità.

       Una cristianità vissuta nella autorefenzialità, presentandosi in una giustizia “legale” per l’osservanza sterile di tradizioni e per azioni di culto che non incidono sulle scelte quotidiane, poco o nulla ha da dire alla cultura odierna e in particolare ai giovani, sempre più immersi nel mondo virtuale alla ricerca di follower e like per sentirsi accettati e valorizzati, ma deboli, fragili nell’affrontare la realtà e le difficoltà della vita reale.

       I battezzati, nella diversità di ministeri e carismi, hanno la responsabilità e il dovere morale di rendere visibile la salvezza operata da Dio per il suo Amore misericordioso donato in Cristo Gesù vivendo, come afferma San Paolo in Colossesi (Col 2, 7), “radicati e fondati” in Cristo, “saldi nella fede” conosciuta e vissuta e “abbondando nell’azione di grazie” per il dono costante d’Amore da parte di Dio.

 XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) - 2022

“Peccatori o Puri?”


 

(Sir 35,15-17.20-22 - Sal 33 - 2Tm 4,6-8.16-18 - Lc 18,9-14)

 

        «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18, 13).

        Il cristiano che vuole camminare nella Verità e raggiungere la meta della Santità deve conservare la consapevolezza di essere “peccatore”, bisognoso della misericordia di Dio per vivere nella vera “umiltà del cuore”.

       La fede cristiana non è questione di purità esteriore e osservanza di una Legge fatta di minuziose pratiche e ritualità, ma è sequela e conformazione a Cristo Gesù, che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 8).

       Il cristiano, che decide di vivere la vera sequela, deve imitare l’umiltà e l’obbedienza di Cristo: ciò consiste nell’essere consapevoli della caducità, della fragilità e fallibilità del proprio essere, della propria volontà, che non rinuncia mai alla propria affermazione.

       Essere umili e obbedienti come Cristo significa, dunque non dimenticare mai di essere peccatori e crescere nell’impegno e nella determinazione di essere “presenza” di Cristo vivendo nel suo amore!

       Se la pratica di fede, la preghiera quotidiana e la vita sacramentale non ci permettono di crescere nell’umiltà del cuore e nella verità, ci allontaneranno da Dio e la nostra sarà una crescita nell’orgoglio e nella presunzione di giustizia.

       È la condizione del fariseo che lodava Dio ringraziandolo per non essere come gli altri: un peccatore! Si presenta davanti a Dio nella sua giustizia legale, nella sua purità e perfezione per assolvere ad ogni precetto con meticolosità e devozione, ma schivo verso il prossimo e attento a non contaminarsi per la relazione con il prossimo considerato inferiore, immondo e lontano da Dio.

       La novità e unicità del cristianesimo consiste proprio nel non essere una religione fatta di precetti e pratiche da assolvere per avvicinarsi a Dio ed entrare nelle sue grazie.

         Il Dio cristiano non è lontano, ma è vicino all’uomo: è l’Emmanuele, il Dio con noi!

       Pertanto, il cristianesimo è un cammino di sequela, di imitazione, di conformità, di disposizione di tutto il proprio essere a vivere la relazione d’amore con Dio e, di conseguenza, con il prossimo.

       Questo cammino si realizza solo nella piena consapevolezza di essere nulla senza Dio, senza la comunione vera e piena con Lui, senza ascolto e apertura alla sua Parola, senza disponibilità piena a lasciarsi cambiare dal suo amore, dal suo Spirito.

       Solo conservandosi nell’umiltà del cuore, riconoscendosi peccatori, imperfetti, limitati ed egoisti, possiamo vivere nella logica dell’amore gratuito e pieno: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).

       Gesù chiama i cristiani a camminare nell’amore che libera; chiama a vivere secondo l’amore e solo in questo impegno di vita la preghiera non sarà una sterile devozione, una espressione delle labbra che non coinvolge le varie dinamiche della vita, ma una costante apertura del cuore e della mente perché la volontà determini un agire secondo l’amore di Dio.

       «Questo popolo si avvicina a me solo con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me, e il loro timore di me è solo un comandamento insegnato da uomini» (Is 29, 13).

       Gesù cita questo passo d’Isaia per condannare la pratica esteriore che non coinvolge il cuore e non conduce a Dio (cfr Mc 7, 1-13). Le tante pratiche di fede, le tradizioni religiose, le stesse celebrazioni eucaristiche, se non vissute nella costante conversione del cuore e nella umiltà diventano “giudizio di condanna” e non “via di salvezza” per il credente.

       È nella consapevolezza di essere indegni e peccatori, bisognosi di misericordia, assetati dell’amore di Dio che la fede cristiana trasforma l’essere umano e lo rende “presenza” di Dio nella storia dell’umanità.

       San Paolo nella seconda lettera ai Corinti afferma: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5, 21). Cristo si è fatto “peccato” perché noi peccatori potessimo divenire “presenza sua nel mondo”, ma questo solo se ci liberiamo dall’egoismo, dalla presunzione e dall’orgoglio di essere giusti per essere umili di cuore, consci della propria fragilità e bisognosi di perdono.

       Il mondo non ha bisogno di “perfetti”, di “puri”, ma di cristiani che hanno incontrato l’amore di Dio, assetati del suo amore e consapevoli di essere deboli e peccatori e annunciano la misericordia di Dio e la sua giustizia al mondo nella semplicità del loro essere e nella umiltà del cuore.

 

Signore Gesù,

come il pubblicano al tempio,

ci rivolgiamo a te dicendo: “abbi pietà di noi peccatori”!

 

Siamo consapevoli che senza di Te

non possiamo amare pienamente;

non siamo in grado di accogliere e perdonare;

non sappiamo discernere il bene ed evitare il male.

 

Abbiamo sperimentato la tua misericordia,

ci siamo sentiti rialzare dal tuo Amore,

rendici testimoni umili e veri di Te,

operando sempre secondo il tuo insegnamento,

annunciando il tuo Amore non con la superbia

di chi si riconosce “perfetto” e “puro”,

ma con l’umiltà di chi è stato rigenerato nell’Amore

e cammina nella tua Verità.

 

Aiutaci a vivere nella costante ricerca del bene,

nell’umiltà e semplicità del cuore,

perché Tu cresca in noi e il nostro “ego” diminuisca

e chi ci incontra possa riconoscere in noi

i segni della tua Grazia, del tuo Amore misericordioso. Amen!

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (ANNO C) - 2022

“Credenti che amano in Verità”


 

(Es 17,8-13 - Sal 120 - 2Tm 3,14-4,2 - Lc 18,1-8)

 

          Spesso mi chiedo se ho fede e cosa significhi per me credere. Non mi pongo la domanda perché dubito sulla esistenza di Dio, ma perché sento l’esigenza di verificare se il mio modo di pensare, di agire e i sentimenti che abitano nel mio cuore sono conformi alla Parola di Dio nella quale dico di credere e dalla quale affermo di trarre insegnamento e guida per la mia vita.

       Credo sia una verifica necessaria e costante che ogni credente deve sentire l’esigenza di fare per non cadere nella presunzione di perfezione e ritenersi un corretto e fedele cristiano per il solo affermare di credere.

        Sono sempre più consapevole di quanto sia facile cadere in atteggiamenti incoerenti, lontani da quanto si insegna, si annuncia e si professa. Credere non è una cosa naturale e avere fede non è affatto scontato. Si può accettare l’idea di Dio e della sua esistenza, ma non credere necessariamente in un Dio che si è rivelato all’uomo; si può credere e accettare che Dio esista e si sia manifestato all’umanità, ma non si è disposti a farlo entrare nella propria vita; si può credere, accogliere il suo insegnamento e vivere una relazione con Lui, ma non percorrere un cammino di vita orientato a Dio e fedele al suo insegnamento.

          Dunque, chi è il credente perfetto? Cosa significa credere? Cosa significa aver fede?

          È questione di pratiche di fede, di gesti di pietà devozionale da vivere? Certamente non solo o non esclusivamente.

       Credere è adesione della mente, del cuore e della volontà a Dio e accogliere il suo insegnamento, ma la fede non è conseguenza immediata e diretta del credere, perché la fede è vivere l’adesione in una relazione d’amore profonda con Dio.

        Si può aderire a Dio, dunque credere, con l’intelligenza, riconoscendo che è razionale e valido accettare la sua esistenza, accogliere le Sacre Scritture come Parola di Dio rivelata; con il cuore, vivendo l’insegnamento secondo la religione con attenzione e premura, partecipazione e passione piena; con la volontà, impegnandosi a seguire pedissequamente ogni minimo precetto e regola della religione; ma non avere fede, perché tutto è vissuto per una perfezione personale; per una riconoscenza e premio da ricevere; per una esaltazione di sé e una lode da parte degli altri.

          La fede è una risposta d’amore piena e libera a Dio e alla sua proposta d’amore!

       Se ci soffermiamo a vedere la frequenza all'Eucaristica domenicale; al modo di vivere dei giovani e la loro assenza maggioritaria dalla comunità di fede; la sempre maggiore disgregazione della cellula familiare; la perdita del riferimento ai valori della fede in ambito sociale, politico ed economico; non possiamo che concludere che la fede cristiana non è più un pilastro fondamentale della vita della nostra società italiana, o meglio la fede non ha più la sua espressione comunitaria, ma è relegata ad una dimensione soggettiva e individuale.

         Possiamo ancora parlare di fede? Possiamo ancora affermare di essere una società cristiana?

        Forse occorre che ogni credente cristiano, nella diversità di ruoli, responsabilità e carismi, si soffermi a riflettere sulla domanda che Gesù si è posta: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).

        A questa domanda, sempre attuale, ogni singolo credente è chiamato a dare risposta con la propria vita, perché la fede per restare viva nel cuore dell’umanità occorre che sia trasmessa con la testimonianza e la coerenza dei credenti.

       Si potrà continuare a credere nella religione cristiana, ad accettare i suoi insegnamenti e a vivere le attività di pietà e di culto, ma sarà sempre più svuotata di senso e poco influente sulla vita sociale, relegata sempre più alla sfera individuale, intimistica e soggettiva.

        L’unico rimedio è e sarà la conoscenza della Parola, il confronto con essa, lasciando che essa penetri nel profondo e generi vita nuova. Solo per la Parola, ascoltata, meditata, pregata e vissuta, il cuore si apre alla relazione d’amore con Dio e la fede diventa contagiosa e passa di mano in mano a chi si incontra e fa parte della nostra realtà sociale.

      L’esortazione di San Paolo al suo discepolo Timoteo è rivolta ad ogni battezzato perché possa conservarsi nella fede vera e dare testimonianza contagiosa e coerente al suo prossimo.

       «Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente» (2Tm 3,14): rimanere saldi nella fede è possibile solo in una relazione diuturna con Dio nell’ascolto, nella preghiera e nell’impegno di vita conforme alla fede.

        «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3, 16-17): è dalla Parola che nasce il cristiano testimone coerente e credibile; è dalla Parola che la pratica di fede diventa sostegno e forza per l’impegno nella quotidianità seguendo i comandamenti; è dalla Parola che la vita quotidiana è vissuta con discernimento per operare secondo il Bene ed educare al Bene!

      «[...] annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tm 4, 2): è dalla Parola accolta, meditata e pregata che il credente dà testimonianza con uno stile di amore e con una parola che tocca il cuore e genera vita.

       Per il battezzato ogni situazione della giornata è da vivere come un atto d’amore per Dio e il prossimo, l’occasione unica e irrinunciabile per dire il proprio “Si” d’amore a Dio e donarlo al prossimo.

        Vivere la vita come un continuo atto d’amore a Dio e al prossimo è fare della propria esistenza una preghiera continua e costante.

       La preghiera rivolta a Dio con la mente, le labbra e con il cuore diventa autentica ed efficace se resa concreta e viva nella quotidianità della propria concreta esistenza; non mediante gesti eroici o straordinari, ma nella semplicità e ordinarietà del proprio ruolo nella società.

        Non bisogna essere credenti perfetti, ma essere credenti che vivono nell’amore e donano amore.

        La fede non è questione di perfezione, ma è impegno di amore!

        È vivere da Credenti consapevoli di essere fragili e peccatori, che amano e operano nella carità e in verità.

 

Accresci, Signore, la mia fede!

Illumina il mio cuore e aiutami a fare della mia vita una risposta d’amore a Te e ai fratelli che poni sul mio cammino.

La tua Parola, letta e meditata ogni giorno, sia luce nelle scelte, forza nella prova, conforto e sprono in ogni occasione della mia esistenza.

La tua Parola sia l’ancora per restare unito alla tua volontà e il vincastro per non farmi mai deviare dal tuo amore.

Sostienimi con il tuo Amore, perché nutrito della tua Parola e dell’Eucaristia,

possa darti testimonianza credibile al prossimo

perché la fede sia condivisa e vissuta

e non venga meno fino al giorno della tua venuta. Amen!


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