XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021
“Determinati nella santità”
(Num 11,25-29 - Sal 18 - Giac 5,1-6 - Mc 9,38-43.45.47-48)
«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Mc 9, 42)
Scandalizzare, nel dizionario Treccani, è spiegato così: Offendere con parole, modi o azioni scandalose, la coscienza, il senso morale, il pudore di altri, suscitando riprovazione e sdegno; Mettere in imbarazzo, turbare la suscettibilità altrui con parole e azioni scandalose, o comunque inopportune, ritenute contrarie alla convenienza.
Parlare nel contesto culturale e sociale di oggi di turbamento della coscienza, di offesa al pudore, di imbarazzo sembra quasi un paradosso. Il senso del pudore, i valori morali sono ridotti al sentire e valutare personale.
Oggi si grida allo scandalo in riferimento ad atti eclatanti, di efferata violenza o commessi da personaggi pubblici, riservando alla libertà personale condotte immorali che non coinvolgono più di tanto altri soggetti, quasi a dire che tutto è lecito se rimane nell’ambito privato e consensuale.
Il riferimento alla morale è, dunque, un discorso soggettivo. La fede stessa è qualcosa di intimo e personale, per cui il riferimento a Dio e alla morale religiosa è altrettanto questione del singolo, che lo vive come può e vuole.
Dio e il prossimo non sono il metro di valutazione della propria condotta. La coscienza personale non valuta e giudica a partire da Dio e dal prossimo, ma dal soggetto; pertanto, la comprensione dello scandalo e la decisione di condotta corretta è determinata dalla persona a partire da quello che ritiene utile, valido e corretto.
Lo scandalo nel linguaggio corrente ha piuttosto un significato sensazionale legato al turbamento che deriva dalla pubblicità di un fatto. Escludendo le situazioni di reato grave, come la pedopornografia e la pedofilia, lo stupro, gli omicidi, la violenza nelle sue svariate forme, lo scandalo generalmente assume connotazioni di pettegolezzo, o come si dice ormai nel linguaggio comune inglesizzato, di “gossip”, posto sotto i riflettori dei vari “talk show”.
In tale contesto culturale, il brano evangelico di Marco rischia di assume connotazioni meno incisive di quello che sono indicate dall’evangelista: lo scandalo indicato da Gesù e riferito ai piccoli si riferisce al porre in pericolo la loro salvezza, ostacolando il loro cammino di fede.
Nella cultura ebraica, lo “scandalo” è inteso come qualcosa che mette in pericolo la salvezza, chiunque ne sia l’autore.
σκανδαλίσῃ (skandalisè) dal verbo σκανδαλίζω (skandalizô), significa mettere una pietra d'inciampo o impedimento sulla via, su cui un altro può inciampare e cadere, metaforicamente offendere; incitare a peccare; istigare qualcuno a diffidare e ad abbandonare una persona di cui dovrebbe avere fiducia e rispetto.
Tra i seguaci di Gesù vi erano sicuramente chi cercavano di dissuadere i “piccoli” nella fede, i semplici, a credere nel suo insegnamento e a diventare suoi discepoli; questo spiega le affermazioni dure di Gesù: «[…] gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (v.42).
Il discorso di Gesù sullo scandalo è riferito al porre ostacoli alla conoscenza della Verità, del Vangelo, e all’insidiare e minare la fede e il cammino di salvezza di coloro che sono “piccoli” nella fede, agli inizi o che non hanno ancora raggiunto la maturità di fede per saper discernere e restare forti di fronte alle tentazioni, agli attacchi, agli insegnamenti erronei.
La fede dei semplici, dei piccoli nel cammino di sequela, è un bene che nessuno può minare, giudicare, valutare. Il cammino di fede va sostenuto, formato, accompagnato, guidato, e non giudicato, ostacolato, impedito, irretendo con inganno verso false dottrine.
Gesù minaccia coloro che, maliziosamente e coscientemente, inducono altri a desistere dal credere in Lui. Di conseguenza, la salvezza non è un dato scontato solo perché si professa di credere in Lui, ma esige un impegno costante, uno sforzo per entrare a far parte del Regno di Dio.
La fede in Cristo e, di conseguenza, la salvezza a cui è destinato il credente, non si vivono con le mezze misure.
Il discorso di Gesù diventa ancora più radicale esigendo da ciascun discepolo la “determinazione della santità”, capace di tagliare con tutto ciò che ostacola l’appartenere a Dio, che non permette di vivere in pienezza nel suo amore.
«Se la tua mano ti è motivo di scandalo […] se il tuo piede ti è motivo di scandalo […] se il tuo occhio ti è motivo di scandalo […]»: Gesù usa la metafora delle membra del corpo che diventano occasione di caduta morale per richiamare alla misura alta della “vita in Dio”, della fede, della santità.
Gesù non indica i tipi di tentazioni e di peccato delle membra “mano, piede, occhio”. È semplicemente indicato che è nella condizione stessa dell’uomo la possibilità di cadere, di allontanarsi dalla Verità, dall’Amore di Dio.
Gesù, quindi, esorta a vivere nel costante discernimento per conservarsi nella comunione con Dio. Esorta a non sopravvalutare le proprie forze, a sentirsi forti e saldi nella fede. San Paolo lo esprime con forza ai Corinti: «Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1 Cor 10,12).
Spesso il peccato che più scandalizza e allontana i “piccoli nella fede” dalla comunità di fede è la “presunzione di perfezione”, che viene spesso riscontrata e denunciata nei cosiddetti “baciapile”, in coloro che “puzzano di sacrestia”, in coloro “sempre attaccati alla tonaca del prete”.
La presunzione di camminare nella fede e di essere ceri credenti, giusti e perfetti, è di fatto l’ostacolo che spesso il credente alza da sé verso l’azione dello Spirito Santo, chiudendosi al corretto discernimento, al saper fare verità nella propria coscienza.
La presunzione di perfezione è lo scandalo che allontana dalla “vera vita”, dalla salvezza, non solo chi è piccolo nella fede, ma il soggetto stesso.
Il cammino di santità autentico è lastricato di umiltà e continua ricerca di allontanare da sé ogni minimo ostacolo all’amore di Dio.
Non c’è nessun Santo che non abbia detto di sé, fino all’ultimo istante della sua vita terrena, di essere un grande peccatore sebbene non avessero commesso peccati mortali. Non c’è nessun Santo che non viveva il costante discernimento della propria coscienza e il costante ricorso al Sacramento della Riconciliazione.
Il cammino di fede è, dunque, un cammino di costante lavoro interiore per lasciare che la Grazia di Dio trasformi la vita, forgi la volontà, educhi la mente, corrobori il cuore.
L’impegno del credente a vivere la sequela di Cristo si traduce nel costante discernimento su sé stessi per evitare ciò che allontana da Dio, che chiude in una visione egoistica e che devii dalla santità.
La vita morale è vita di sequela, si comprende nella relazione con Cristo e si traduce in atti che esprimano l’appartenere a Cristo.
La vita morale non è questione di lecito o illecito, ma di adesione e coerenza alla proposta di vita di amore di Dio: dalla sequela scaturisce il “si” o “no” a scelte, gesti, parole, azioni.
Se manca il riferimento a Cristo, la relazione vitale con Lui, l’osservanza dei comandamenti, dei precetti, delle regole e consuetudini resta sterile.
L’impegno etico a cui Cristo richiama nel brano evangelico è legato alla adesione alla sua proposta di vita, alla sequela, alla vita in Lui.
La perfezione, la santità a cui ogni battezzato è chiamato, consiste appunto nel costante discernimento e lavoro su sé stessi per aderire alla vita di fede in Cristo; richiede umiltà del cuore per abbandonare e allontanare da sé tutto quello che ostacola la personale sequela di Cristo.
Evitare lo scandalo significa tenere sempre desta la propria coscienza: in una costante formazione; in un continuo processo di conversione; in un discernimento sempre più attento e maturo.
Essere cristiani credibili è possibile solo nel costante lavoro su sé stessi, per evitare di cadere nella “presunzione della perfezione”, creando scandalo nei “piccoli della fede”.
Essere “profeti” e “servitori di Cristo”, attenti ad evitare ogni forma di “scandalo” in umiltà e nella “determinazione della santità”: di questo il mondo di oggi ha bisogno!