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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Rinnovati dalla Parola”


 

(Dt 4,1-2.6-8 - Sal 14 - Giac 1,17-18.21-22.27 - Mc 7,1-8.14-15.21-23)

 

         Sappiamo bene che la religione cristiana è una religione rivelata, cioè Dio ha preso l’iniziativa di farsi conoscere, di rivelarsi agli uomini. Dio ha iniziato la sua rivelazione con il popolo di Israele e in Cristo Gesù si è conclusa.

        Cristo, Logos di Dio, Parola vivente, ha rivelato il vero volto di Dio, tant’è che, parlando di Dio, possiamo usare l’espressione “il Dio di Gesù Cristo”, nel senso che Egli lo ha definitivamente rivelato e i cristiani riconoscono che il Dio di Abramo, di Isacco e di Mosè è il Dio Uno e Trino che in Gesù ha portato a compimento tutte le promesse.

         La fede è, dunque, relazione con Dio, affidamento, appartenenza al Dio che si è fatto conoscere. La sua Parola è per il credente la strada da percorrere per vivere e raggiungere la piena unione con Dio, realizzare la vera relazione a tu per tu con Dio.

        La Parola di Dio è la fonte da cui attingere i tesori della rivelazione ed è il “testamento” dell’Allenza sancita da Dio. Senza la Parola non può esserci relazione vera con Dio.

         Il Concilio Vaticano II, nella «Dei Verbum», afferma: «Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale» (DV 21).

       La Parola di Dio è, dunque, la sorgente della vita spirituale e il credente non può dirsi tale ignorando la Parola. Il cristiano che non conosce la Parola non può affermare di conoscere Dio.

        Si è credenti perché generati dalla Parola e questo per raggiungere la piena comunione con Dio, la partecipazione alla sua Gloria.

        Divenire santi, perfetti come Dio, è possibile solo grazie alla Parola accolta, meditata, praticata, attuata nella vita.

       San Giacomo lo afferma chiaramente: «Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Giac 1, 21-22).

       Interessante notare che Giacomo invita ad accogliere la Parola che è stata “piantata” nel credente. Il verbo usato è μφυτος (emfutos), che significa innato, piantato per natura, impiantato.

        La Parola è posta nel cuore del credente per il dono del Battesimo, della fede ricevuta, ma questa va accolta con docilità, perché essa è in conflitto con l’egocentrismo innato di ogni persona, esigendo uno sradicamento da sé per innestarsi in Cristo.

        San Paolo parla di una lotta interiore tra il bene e il male: «Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato» (si veda Rm 7, 18-25).

         La lettera agli Ebrei dice che «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 12-13).

          La Parola di verità, accolta con docilità, genera necessariamente una conversione profonda, un rinnovamento totale, perché penetra nel profondo e scruta sentimenti e pensieri del cuore, per questo l’apostolo Giacomo invita a mettere in pratica la Parola e non solo ascoltatori, cioè essere docili e lasciare che essa cambi la mente, il cuore e la volontà.

         Gesù, Parola vivente, richiama al vero culto gradito a Dio, citando il profeta Isaia 29, 13, «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini».

         Un culto che non è fatto di ritualità e prescrizioni, come i farisei erano soliti praticare, ma consiste nell’avere un cuore puro: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7, 21-23)

         San Paolo ricorda che il culto gradito a Dio è l’offerta di una vita vissuta nel suo amore portando frutti di bene e di pace, avendo mani pure e scevre da ogni male (cfr. Rm 12, 1-2; 1Tm 2,8).

          Dalla Parola di verità, innestata in noi per il dono del Battesimo, veniamo rinnovati nel cuore e nella mente, per operare nell’amore di Dio in un servizio di carità al prossimo, come ci ricorda Giacomo: «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo» (Giac 1,27).

           La Parola di verità, accolta con docilità, ci guida a liberarci da ciò che ci rende incapaci di vivere nella volontà di Dio. Da essa impariamo a correggere e dominare quelle passioni negative che ci corrompono e ci allontanano dall’amore di Dio.

         La Parola accolta e praticata ci libera dall’ipocrisia, il lievito farisaico denunciato tante volte da Gesù, che fa porre attenzione e valore all’esteriorità trascurando l’interiorità.

          Tante volte viene vissuta con scrupolosità ogni tradizione e devozione, mancando al contempo di attenzione verso il prossimo; spesso si lotta per non perdere le consuetudini e le tradizioni popolari, vivendo senza rimorsi sentimenti di odio, rancore, maldicenza, chiudendo il cuore al prossimo; tante volte si cura con attenzione e amorevolezza la chiesa, si partecipa ad ogni incontro, preghiera, celebrazione, ma non si fa nulla per recuperare i rapporti lacerati da incomprensioni, tradimenti, ferite; si moltiplicano celebrazioni eucaristiche, si celebrano eventi di fede, si venerano i Santi, senza preoccuparsi di chi è nel bisogno, di chi non è più in pace con noi o abbiamo escluso dalla nostra vita: tutto questo è in netta contrapposizione con l’accoglienza docile della Parola, produce una religione sterile e il culto offerto a Dio non è gradito e non porta frutti di salvezza.

          «Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna?» (Sal 14 (15), 1).

          Il Salmo ci ricorda quali condizioni ci permettono di stare alla presenza di Dio: camminare senza colpa, praticare la giustizia, vivere nella verità, non spargere calunnie, non offendere e non danneggiare il prossimo.

       Fermiamoci davanti a Dio ed esaminiamo senza paura la propria coscienza; lasciamo che la Parola faccia verità in noi e apriamoci all’azione dello Spirito, per essere rinnovati interiormente e poter offrire il nostro culto spirituale a Dio, nella carità e nella verità.

 

O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto,

suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede,

perché la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita,

si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.

(Dalle preghiere di Colletta)

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Schiavi o liberi?”


 

(Gs 24,1-2.15-17.18 - Sal 33 - Ef 5,21-32 - Gv 6,60-69)

 

        «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire […] Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore» (Gs 24, 15).

        Soffermandosi a valutare lo stile di vita nella società attuale, in cui si esalta la libertà individuale e l’indipendenza da ogni servitù e potere esterno, scopriremo che l’individuo è meno libero di quanto crede, basti pensare a quanto influisce la pubblicità, la moda, gli influencer vari, per non considerare quanto si è schiavi della tecnologia e dei social.

        Valutando con obiettività lo stile di vita odierno, si può affermare che la persona è veramente libera nelle scelte? Si può ritenere che non si vivano forme di servilismo, rivendicando la piena autonomia di giudizio, scelta, comportamento?

       Oggi la religione è vista come una schiavitù, una riduzione della libertà personale di fronte ai precetti, ai comandi della divinità. Nella società occidentale si sta facendo di tutto per rinnegare le origini cristiane e i valori trasmessi dal cristianesimo.

        Il cristianesimo, in particolare la Chiesa nella sua componente ministeriale, è visto come fuori dalla realtà, un retaggio culturale passato e chiuso, che limita il progresso, lo sviluppo della scienza e il benessere dell’umanità.

       Questo quadro, che può sembrare esagerato e negativo, emerso dalle indagini sociologiche varie, di fatto evidenzia che l’umanità vive il costante conflitto di affermare sé stessa, rispondere alle proprie domande esistenziali e trovare soluzioni al proprio limite naturale, alla propria caducità.

        Il bisogno di affermare la propria identità porta l’uomo a ricercare il senso della vita e della morte, di dare risposte al male e assecondare la propria sete di bene, di amore, di pace e realizzazione di sé.

       Solo un incontro personale, sincero e profondo con Dio può liberare l’uomo di oggi dalla visione errata sulla religione come limite della libertà.

       La società umana, nella successione degli eventi e sviluppi che ha raggiunto, per aprirsi a Dio, accogliere la sua rivelazione e vivere nei suoi insegnamenti, ha bisogno di sperimentare quanto è “bello e giusto” seguire il Signore e servirlo.

        Giosuè richiama il popolo alla scelta tra Dio e gli dèi, aiutandoli a considerare cosa Dio ha fatto per loro.

       La testimonianza di fede è la via preferenziale perché la società viva la sua adesione a Dio: senza di essa la religione sarà sempre più ignorata e valutata come non necessaria.

       La testimonianza semplice, ma coerente, schietta, libera ed onesta è una esigenza e responsabilità che derivano dalla fede stessa, dal battesimo ricevuto, a cui nessun credente si può sottrarre.

       Di fatto ogni credente, sebbene in modo indiretto, testimonia la propria fede nella quotidianità, per cui è necessario avere cura e attenzione nelle relazioni con il prossimo, per non scandalizzare.

      

       «Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore»: questa espressione di Giosuè deve contraddistinguere la vita di ogni credente, di ogni battezzato. La scelta di vivere la fede deve essere consapevole, libera e determinata, per cui occorre ascoltare la Parola di Dio.

         Il popolo, di fronte al discorso di Giosuè, risponde con queste parole: «Noi serviremo il Signore, nostro Dio, e ascolteremo la sua voce!» (v. 24) e Giosuè gli diede “uno statuto e una legge a Sichem” (v. 25).

         Ascoltare la voce di Dio e seguire i suoi comandi sono scelte libere e fondamentali, perché la sequela di Dio richiede una relazione vitale e autentica.

         Essere credenti significa seguire Dio e non avere un dio a propria disposizione per rispondere alle personali esigenze.

         Non è Dio che deve compiere la volontà dell’uomo, ma il contrario. L’uomo scegliendo di seguire Dio, dopo averlo incontrato ed ascoltato, decide in coscienza di fare la sua volontà, senza “se” e senza “ma”.

        Il brano evangelico di Giovanni (6, 60-69), evidenzia con molta chiarezza la necessità di accogliere e mettere in pratica la Parola di Dio, fondamentale per vivere la sequela.

        Dopo che Gesù si presenta alla folla come il “Pane vivo disceso dal cielo”, molti dei discepoli di Gesù dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (v. 60).

     La Parola di Dio è esigente e può apparire dura perché richiede conversione, abbandono della propria prospettiva e valutazione, cambiamento di mentalità e valori di riferimento.

         Gesù, Parola del Padre, non riduce la verità e, senza timore, dice ai dodici: «Volete andarvene anche voi?» (v. 67).

         La fede non accetta compromessi e riduzioni della verità, perché la Verità è Dio stesso, è Cristo Signore.

        La difficoltà di credere risiede proprio nell’accettare la Parola di Verità, di rinunciare alle proprie prospettive e accogliere Dio come Signore della propria vita: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv. 6, 68-69).

        Senza l’accoglienza della Parola di Dio, parola di Verità che rivoluziona il personale modo di valutare e di agire, non si vive la fede, ma una religiosità in cui, di fatto, Dio non è presente, perché manca la relazione intima con Lui, l’imitazione di Dio!

        Senza l’accoglienza della Parola non si vive la fede libera, fedele e responsabile, ma una religiosità che di fatto è schiavitù, perché non è sequela vera del Dio vivente, ma espressione di sentimentalismo personale, di devozioni che appagano sé stessi.

        Il Dio cristiano è un Dio che libera e chiama a vera libertà l’umanità da tutto ciò che lo lega al male, da ciò che non produce vera vita.

        La sua Parola può risultare dura, perché esige di uscire da sé, di rinnegare ciò che è contrario a Dio e di innestarsi in Lui, di “rimanere” in Lui, nella sua parola, e vivere nella vera libertà, nella realizzazione della propria esistenza accogliendo Lui, che è Via, Verità e Vita.

        «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).

        Dio ci chiama alla libertà vera scegliendo di ascoltare e accogliere la sua Parola, a noi la scelta: “Schiavi o Liberi?”.

 

O Dio nostra salvezza, che in Cristo tua parola eterna ci dai la rivelazione piena del tuo amore,

guida con la luce dello Spirito questa santa assemblea del tuo popolo,

perché nessuna parola umana ci allontani da te unica fonte di verità e di vita. (Colletta Anno B)

      

Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria - 2021

“Rivolti al cielo per vivere appieno il presente”


 

(Ap 11,19; 12,1-6.10 - Sal 44 - 1Cor 15,20-26 - Lc 1,39-56)

 

       «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto» (Ap 12, 1-2).

       I versetti di Apocalisse ci spronano alla contemplazione del cielo, alla realtà alla quale siamo destinati perché battezzati e credenti in Dio Uno e Trino.

       La solennità dell’Assunzione di Maria al cielo è un invito a contemplare l’opera di amore di Dio per l’umanità. Siamo amati da Dio e destinati alla piena comunione con Lui nel suo Regno: a questa realtà della nostra vita di fede di figli amati e destinati alla partecipazione alla Gloria di Dio, Maria ci ha preceduti per dono di Dio stesso.

       Maria è il modello dell’umanità redenta, la serva umile che ha aperto il cuore all’amore di Dio e si è posta a pieno servizio della sua volontà.

       Nel “Si” di Maria dobbiamo essere pronti a dire il nostro “Si” a Dio, a compiere la sua volontà, senza riserve, senza timori, senza tentennamenti.

       La Vergine Maria ci indica come attuare la volontà di Dio: umiltà e servizio.

       Lei, la donna umile, ha accolto la volontà di Dio nella semplicità del suo essere, nella piena disponibilità del cuore, vincendo ogni timore e riserva.

       L’umiltà è la condizione fondamentale per accogliere Dio e la sua volontà. Solo nell’umiltà c’è fede vera e sincera, sequela e imitazione di Cristo.

       Maria ci insegna che nell’umiltà diventiamo ricchi, perché Dio può elargire nel cuore il suo Spirito, che genera in noi la vita di Dio, rendendoci capaci di camminare nella volontà di Dio e vivere nella carità.

       Maria ci insegna a vivere il vero servizio a Dio e ai fratelli. Lei è la “serva del Signore” perché si è lasciata plasmare dalla Verità: «Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19).

          Il servizio a Dio e ai fratelli nasce dalla docilità alla Verità, dal mettersi alla scuola della Parola, del Cristo.

       Maria ha accolto la Parola e in Lei si è fatta carne. Ponendoci alla scuola della Vergine dobbiamo imparare ad accogliere la Parola e renderla presente con la nostra condotta di vita.

         Maria ci insegna come fare: «Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»» (Gv 2, 5). Il credente deve ascoltare ciò che Dio dice e operare secondo la sua Parola.

       Il servizio che nasce dalla Parola ascoltata e meditata è accoglienza e disponibilità al prossimo; è attenzione e premurosa cura del prossimo.

       Contemplare Maria nella gloria del cielo ci deve stimolare a vivere il presente, il quotidiano, senza mai dimenticare che la nostra destinazione è il Regno di Dio.

        Vivere il quotidiano con la costante tensione verso il cielo significa vivere nell’agape di Dio, nel suo amore di donazione, cioè significa vivere appieno ogni cosa della nostra vita, ma nella carità, che permette di avere senza possedere, di saper condividere e servire senza riserve.

        Maria ci insegna a lottare contro il male, contro tutto quello che ostacola l’appartenere pieno a Dio, con l’amore di Dio, con umiltà e servizio.

       Maria ci educa a vivere nell’amore di Dio gioendo per le opere che ha compiuto in Lei, per le quali tutti hanno ricevuto misericordia e grazia: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 2, 49-50).

       Contemplando Maria Assunta in cielo, consapevoli di essere destinati alla stessa meta del Regno di Dio, viviamo il presente appieno in Verità e Carità, in umiltà e servizio.

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Camminare nella carità”


 

(1Re 19,4-8 - Sal 33 - Ef 4,30-5,2 - Gv 6,41-51)

 

       «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51).

 

       L’Eucaristia, presenza reale di Cristo, è il viatico, il sostegno per il nostro cammino di fede, ed è pegno della vita eterna in Dio.

       Cristo, pane vivo, che si è offerto in sacrificio per la salvezza dell’umanità, si dona realmente in ogni celebrazione eucaristica.

       Accostarsi a questo Sacramento è, dunque, vitale ed essenziale per vivere in comunione con Dio e per una sequela autentica del Cristo.

       Come accostarsi a questo “pane vivo”, al dono di salvezza, al Corpo di Cristo?

       Occorre innanzitutto riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia, il Cristo di Dio: può sembrare una cosa scontata, ma così non è, perché non basta dirsi cristiani, praticare, pregare e vivere atti di culto e di devozione.

       Riconoscere Gesù come il Cristo, il Signore, significa dare a Lui il “primato”, il “primo posto” nella propria vita e per questo occorre aprire il cuore e la mente ad accogliere la Parola di Dio; significa superare ogni reticenza e pregiudizio, lasciarsi incontrare dalla Parola di Dio e permettere ad essa di illuminare e educare i personali costrutti mentali.

       «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?» (Gv 6,42)

       Gli ebrei, i compaesani di Gesù, non riescono a comprendere chi è Gesù, il senso delle sue parole, perché sono accecati dal pregiudizio, dalla presunzione di conoscere e sapere chi sia.

       A volte anche ai fedeli più assidui e devoti succede di non riconoscere Gesù e comprendere la sua Parola, soprattutto quando essa esige la rinuncia a preconcetti, sicurezze, status quo consolidato.

       Riconoscere Gesù “pane disceso dal cielo”, realmente presente nell’Eucaristia, comporta un radicale cambiamento di prospettiva e di vita; pretende uscire da sé per vivere in Cristo!

      

       «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5, 1-2).

         San Paolo ricorda la condizione del credente: essere figlio di Dio! Da questa condizione deriva l’imperativo dell’imitazione di Dio, un tema già presente nell’A.T., ma che in Paolo è statuto dell’essere figli ad immagine del Figlio. Uno statuto che consiste nel vivere l’agape, l’amore di donazione, che Cristo ci ha insegnato a vivere donando sé stesso.

        Essere figli, per gratuito amore di Dio Padre in Cristo, comporta vivere nell’amore di Dio, l’agape, che deve caratterizzare tutto l’essere del credente.

       La vita del credente, a imitazione di Cristo, deve essere, esplicita Paolo, una donazione di sé al prossimo. Il verbo usato da Paolo è παραδδωμι (paradidômi), che esprime il consegnarsi, mettersi nelle mani di un altro. Il servizio, che deriva dal vivere in Cristo per il dono dell’Eucaristia, è un consegnarsi a Dio e ai fratelli nell’amore, nella donazione di sé gratuita ed umile.

         Solo in questa logica di donazione il culto è gradito a Dio, il Sacramento ricevuto degnamente, il servizio compiuto appieno nella santità di vita.

           È una misura alta? È la misura dell’amore di Dio, Uno e Trino.

           Camminare nella carità è la condizione per accostarsi al Pane del cielo, all’Eucaristia e vivere nella comunione con Cristo.

           La vita cristiana è vita di carità, di donazione, ad imitazione di Cristo, del “come ho fatto io” (Gv 13).

         L’amore di donazione, l’agape, si raggiunge con un costante impegno di conversione interiore; con l’ascolto e la meditazione della Parola; con la preghiera, l’adorazione e la vita sacramentale.

         L’agape eleva la naturale capacità di amare umana a livelli alti, liberandola da interessi, egoismi e rancori. Aprendo il cuore alla fraternità vera, in cui è bandita la falsità, l’ipocrisia, la maldicenza, il pettegolezzo, il giudizio e l’esclusione del prossimo.

       «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4, 31-32).

          “Imitatori di Dio nella carità” significa avere relazioni basate sulla Verità, sull’amore di donazione gratuita, sul servizio e sul perdono.

        Accostarsi al “Pane vivo”, al Corpo di Cristo, all’Eucaristia, esige una disposizione di animo, di cuore, di mente tutte rivolte a Cristo, all’imitare il suo amore, la sua disponibilità, la sua donazione di sé.

        Significa avere cuore, mente, mani libere da ciò che è contrario all’amore di Dio. Significa umiliare sé stessi dinanzi a Dio perché “Lui cresca ed operi nel proprio cuore”.

        Significa essere liberi da tutte quelle dinamiche tipicamente umane di interesse, tornaconto, potere. Significa avere un cuore libero da rancori, divisioni, fazioni, rivalità, contese, pregiudizi, giudizi e condanne.

         Accostarsi al “Pane vivo”, Cristo Eucaristia, richiede occhi limpidi, coscienza retta, cuore puro, mente e volontà orientate a bene secondo Dio.

         Impegniamoci nel cammino di Imitazione di Cristo, lasciando che lo Spirito ci insegni l’umiltà vera del cuore, ad amare gratuitamente e a servire con gioia.


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