XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021
“Battezzati: Pastori del prossimo”
(Ger 23,1-6 - Sal 22 - Ef 2,13-18 - Mc 6,30-34)
Il termine ricorrente nelle letture della Liturgia di questa domenica è “il Pastore”: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo […] contro i pastori […] pastori che le faranno pascolare» (Ger 23, 1-6); «[…] erano come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34).
Immediatamente si associa questo termine alla gerarchia ecclesiale rischiando che la Parola di Dio non venga accolta.
Il termine “pastore” è sicuramente riferito a chi ha la responsabilità di guida del popolo, di istruirlo e correggerlo affinché segua la Parola di Dio, eppure, soffermandoci a considerare il dono della fede, non possiamo non evidenziare la responsabilità che ogni battezzato ha di “rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui” (cfr 1Pt 3,15).
Pertanto, ogni battezzato è di fatto “pastore” del proprio prossimo, sebbene non per ministero istituito: i genitori verso i figli, i figli maggiori verso i minori, i docenti verso i discenti, i catechisti verso i neofiti, ognuno per la sua particolare missione e vocazione ha il dovere morale di trasmettere la fede, educare alla fede, correggere, sostenere, indicare, guidare.
Per il battesimo ricevuto, per la comune chiamata alla santità, la Parola di questa Liturgia interpella la coscienza e invita alla verifica del proprio vissuto in merito alla personale responsabilità di testimoni della fede.
«Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore» (Ger 23,2).
Il profeta Geremia evidenzia un errore che possiamo spesso registrare nella quotidianità: non prendersi cura del prossimo. Quante volte, di fronte al prossimo, alla società, al gruppo, restiamo indifferenti evitando di esporci per richiamare i valori della fede o, addirittura, scacciando coloro che riteniamo “indegni”, “peccatori”, “reprobi”, “traditori di Cristo”.
Se anche il giudizio fosse corretto, l’atteggiamento da assumere deve essere quello di “prendersi cura”, “avere a cuore”, “accostarsi per condurli al ravvedimento”.
Nulla mai potrà giustificare l’abbandono a sé stesso del prossimo!
Cristo ci insegna quale deve essere lo sguardo da avere e l’atteggiamento da assumere: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34).
“ἐσπλαγχνίσθη”, dal verbo “σπλαχνίζομαι” (splagchnizomai), significa essere commosso nelle viscere, essere commosso con compassione, avere compassione.
Non si tratta di provare qualcosa restando distanti, come spettatore inerme, ma essere coinvolto nel profondo di sé, nelle viscere.
La compassione per il popolo da parte di Gesù è un “prendersi cura”, “farsi carico della loro condizione e porre rimedio”.
Gesù insegna che essere suo discepolo significa vivere in comunione con il prossimo, cioè lasciarsi coinvolgere nell’intimo, perché nessuno sia indifferente, nessuno sia escluso, nessuno sia emarginato.
La “compassione” non è un sentimento statico, ma dinamico, perché “muove verso” e impegna in prima persona: “si mise ad insegnare”, in greco, “ἤρξατο διδάσκειν”.
ἤρξατο è l’aoristo del verbo ἄρχω (archô): essere il principale, condurre, governare. L’azione dell’insegnare (διδάσκω (didaskô)) da parte di Gesù scaturisce dal “prendersi cura” del popolo riconosciuto senza guida, senza insegnamento, senza conoscenza.
Come discepoli di Cristo, battezzati, non possiamo non sentire questa “urgenza” di servire il prossimo indicando loro con la parola e l’esempio la via per camminare nella comunione con Dio.
Essere “pastori del prossimo” nel contesto culturale odierno significa comunicare alle coscienze la Verità di Cristo.
“Pastori del prossimo”, nella diversità di ruoli, carismi, ministeri, servizi, significa non giudicare, non escludere, ma “farsi carico” e impegnarsi in prima persona perché nessuno si senta escluso.
Essere “Pastori”, “prendersi cura”, “avere a cuore”, non è attivismo, impegno senza formazione e crescita interiore, ma richiede un cammino personale di ascolto, di condivisione, di comunione piena con Gesù Cristo.
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6, 31). Per dare al prossimo, per prendersi cura secondo il cuore di Cristo, è necessario alimentarsi alla fonte di questo modo di amare, di prendersi cura. È necessario e vitale, per una vita di fede matura e impegnata, imparare a “stare con Gesù”, a “fare deserto”, a “riposare con Gesù”.
Nessuna azione pastorale, catechetica, testimoniale sarà vitale e coinvolgente se non scaturisce dall’ascolto di Cristo, dal lasciarsi plasmare dalla sua Parola e dal saper far tacere tutto ciò che ci distrae e ci allontana da Cristo.
Vivere la fede, la vita comunitaria, l’evangelizzazione non è “fare”, ma “essere”; non è “attività”, che si riduce ad un “attivismo sterile”, ma è “lasciare che Cristo si prenda cura di me perché io possa prendermi cura del prossimo”!
Vivere la fede significa “appartenere a Dio e al prossimo” in una relazione di amore, di servizio, di “cura” perché “tutto Cristo abiti in tutto l’uomo”, cioè ogni parte di sé sia “cristificata”.
«Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef 2, 17-18).
Non ci sono lontani e vicini, perché Cristo ha vinto e distrutto ogni divisione. Cristo ci invita a vivere da fratelli e ad impegnarci in un vero servizio di carità nella verità, sentendoci responsabili del prossimo, “prendendoci cura” e “avendo a cuore” ogni persona.
Non giudichiamo nessuno “lontano da Dio”, ma guardiamo ogni persona come un fratello ed una sorella da amare come l’ama Dio.
Viviamo nella “Pace” che Cristo ci ha conquistato, sentendo la responsabilità di farlo conoscere, incontrare, seguire.
Preghiamo perché ogni comunità cristiana, ogni battezzato/a viva l’attenzione, l’accoglienza, il servizio al prossimo, affinché nessuno venga escluso, emarginato, considerato reprobo o traditore.
La “compassione” e “il servizio” siano il distintivo di ogni credente per “prendersi cura” e “avere a cuore” il prossimo.