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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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Germogli della Parola



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NATALE DEL SIGNORE – ANNO C - 2021

“Natale è …”


 

       Eccoci a festeggiare un nuovo Natale … immersi nella atmosfera magica ed emozionante delle luci, dei festoni, dei regali, degli addobbi, degli alberi pieni più vari e suntuosi. Babbo Natale ed elfi pronti a elargire regali ai piccoli ed esaudire i loro desideri.

       Pronti a prepararci per cenoni, pranzi, tombolate e giochi in famiglia. Pietanze sempre più elaborate o della tradizione, dolci fatti in casa, panettoni o pandori, cioccolatini e spumanti vari. Tutto concorre a creare bello questo giorno in cui sentirsi “più buoni e pronti ad amare”.

       Questo è il Natale del consumismo, del laicismo e quanto viene proposto dalla cultura americana.

       Il Natale secondo la fede cristiana?

       Natale è avere lo sguardo pieno di amore di Maria verso suo figlio e l’umiltà riconoscendolo suo Dio. Natale è acquisire questo sguardo carico d’amore e umile per imparare a riconoscere in ogni persona il volto del Cristo; per vivere il quotidiano riconoscendo in ogni situazione la presenza di Dio; per fare del presente l’impegno costante nel testimoniare l’amore di Dio, la sua Parola, il suo Regno.

       Natale è imparare da Giuseppe, uomo giusto e fedele, a camminare nella volontà di Dio e attuarla nella routine quotidiana; abbandonarsi e fidarsi a Dio con la certezza e consapevolezza che Dio è fedele sempre, anche quando tutto sembra dire il contrario.

       Natale è riconoscere che quel bimbo è Dio, che si è abbassato assumendo la natura umana per farci comprendere la nostra vera identità, che non si realizza nella individualità, ma nella fraternità, nella condivisione, nell’amore vicendevole. Riconoscere che quel bimbo è la Luce che rischiara le tenebre dell’animo umano, quando si chiude nel proprio egoismo e limite; è la Luce che rischiara le tenebre dell’egoismo e dell’odio, che spesso connotano le relazioni umane.

       Natale è imitare lo stupore dei pastori nel riconoscere che quel bimbo avvolto in fasce è il Messia annunciato. Natale è imparare lo stupore difronte alla vita per accoglierla, rispettarla, conservarla, custodirla, guarirla, accompagnarla fino al suo naturale termine, consapevoli che è dono. Imparare lo stupore che permette di mettersi in cammino secondo la Parola di Dio, in piena fiducia e consapevolezza che si è chiamati a realizzare il progetto d’amore di Dio.

       Natale è accogliere l’Incarnazione del Verbo per vivere appieno la nostra umanità da redenti, imparando a realizzarci non secondo le regole del mondo, ma nella attenzione al prossimo, nella carità, nella disponibilità, nell’ascolto e nella donazione di sé senza interessi e tornaconti.

       Natale è vivere nella umiltà del Cristo che si è fatto uomo per partecipare alla sua Gloria da redenti, per il suo sacrificio sulla croce. È riconoscersi amati e perdonati da Dio per l’incarnazione del suo Figlio e vivere da redenti nel mondo, testimoniando l’amore di Dio operando nella umiltà vera e nella carità verso il prossimo.

       Natale è annunciare all’uomo di oggi, ricurvo nella propria individualità, che la vera realizzazione di sé si raggiunge quando ci si apre alla reciprocità e cooperazione; quando si riconosce che l’altro non è un ostacolo, un limite, ma la vera affermazione dell’umanità, perché siamo stati creati per la reciprocità, la condivisione e comunione.

       Natale è l’espressione vera e piena della nostra umanità, creata ad immagine e somiglianza di Dio, perché nell’incarnazione di Cristo essa è definitivamente posta nella possibilità di vivere nell’amore che libera e edifica.

       L’augurio per questo Natale, ancora segnato dalla pandemia, è di soffermarci a contemplare in quel bimbo il Dio che si è fatto carne per amore nostro, la vera immagine della nostra umanità che solo se vive nella vera comunione fraterna potrà realizzarsi in pienezza.

Auguro che il Natale possa essere una nuova occasione per acquisire lo sguardo e l’umiltà di Maria, la docilità di Giuseppe e lo stupore dei pastori.

Adoriamo il Bambinello con alcune strofe del canto di Sant’Alfonso, “Quando nascette Ninno”:

(Testo originale)

Quanno nascette Nínno a Bettlemme

Era nott' e pareva miezo juorno.

Maje le Stelle - lustre e belle

Se vedetteno accossì:

E a cchíù lucente

Jett'a chíammà li Magge all'Uríente.

 

Non c'erano   nemmice pe’ la terra,

La pecora pasceva co’ lione;

Co’ e’ caprette - se vedette

‘O liupardo pazzea’;

L'urzo e ‘o vitiello

E co’ lo lupo 'npace ‘o pecoriello.

 

Se rrevotaje   nsomma tutt'o Munno,

Lu cielo, ‘a terra, ‘o mare, e tutt'i gente.

Chi dormeva - se senteva

Mpiett'o core pazzea’

Pe la priezza;

E se sonnava pace e contentezza.

 

Restajeno   ‘ncantate e boccapierte

Pe’ tanto tiempo senza di’ parola;

Po’ jettanno - lacremanno

Nu suspiro pe’ sfoca’,

Da dint' ‘o core

Cacciajeno a migliara atte d'ammore.

 

Doce, doce pe’ te fare

‘Ss'uocchíe bell'addormenta’.

Ma si Tu p'esser'amato

Te sí fatto Bammeníello,

Sulo ammore è o sonnaríello

Che dormire te pò fa’.

 

Ment'è chesto può fa nanna,

Pe Te st'arma è arza e bona.

T'amo, t'a’... Uh sta canzona

Già t'ha fatto addobea’!

T'amo Dio - Bello mio,

T'amo Gíoja, t'amo, t'a’...

 

Lo ‘nfierno   sulamente e i peccature

‘Ncoccíuse comm'a isso e ostinate

Se mettetteno appaura,

Pecchè a scura - vonno sta’

Li spurteglíune,

Fujenno da lo sole li briccune.

 

Io pure   songo niro peccatore,

Ma non boglio esse cuoccio e ostinato.

Io non boglio cchiú peccare,

Voglio amare - voglio sta’

Co’ Nínno bello

Comme nce sta lo voje e l'aseniello.

 

Nennillo   mio, Tu sí sole d'ammore,

Faje luce e scarfe pure ‘o peccatore

Quanno è tutto - níro e brutto

Comm'a pece, tanno cchiú

Lo tiene mente,

E ‘o faje arreventa’ bello e sbrannente.

 

(traduzione)

 

Quando nacque il Bimbo a Betlemme

Era notte ma sembrava mezzogiorno

Mai furono viste le stelle così luminose e belle.

E la più splendente andò ad oriente a chiamare i Magi

 

Non vi erano nemici sulla terra;

la pecora pascolava con il leone.

Si vide il leopardo

giocare con le caprette.

Ci fu pace tra orso e vitello

e tra lupo e agnello.

 

Insomma, tutto il mondo fu scombussolato:

il cielo, la terra, il mare e tutta la gente.

Chi dormiva si sentiva

il cuore balzargli in petto

per la felicità

e sognava pace e gioia.

 

Restarono incantati a boccaperta,

per lungo tempo, senza dir parola.

Poi, gettando, in lacrime,

un sospiro per dare sfogo (ai   loro sentimenti).

Dal profondo del cuore manifestarono

con mille gesti il loro amore.

 

Ma se Tu, per essere amato,

ti sei fatto Bambinello,

solo amore è quel dolce sonnellino  

che può farti dormire.

 

Se è così, puoi fare la nanna,

per Te quest’anima è   bell’e arsa.

Ti amo, ti amo… o!

questo   canto già ti ha fatto appisolare.

Ti amo, Dio, bello mio, gioia mia,

Ti   amo, Ti amo.

 

Solo l’inferno e i peccatori,

che sono, come l’inferno,

testardi e ostinati, ebbero paura,

poiché nelle tenebre vogliono

stare i pipistrelli, fuggendo,

i bricconi, dalla luce del sole.

 

Anche io sono nero peccatore,

ma non voglio essere testardo ed ostinato;

non voglio più peccare;

voglio amare, voglio stare con il Bimbo bello,

come ci stanno il bue e l’asinello.

 

Bambino mio, Tu sei sole d’amore,

illumini e riscaldi anche il peccatore:  

quando è tutto nero e brutto come la pece,

tanto più tu lo guardi e lo fai  

diventare bello e splendente.

QUARTA DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C- 2021

“Umili, accoglienti ed esultanti”


 

(Mi 5,1-4a - Sal 79 - Eb 10,5-10 - Lc 1,39-45)

 

       Siamo al termine del cammino di Avvento, alle soglie della celebrazione del Natale del Signore. Fervono i preparativi, le luminarie sono sempre più diffuse, i negozi pieni per gli acquisti di vettovaglie e regali, Gli alberi di Natale addobbati, i presepi, forse, allestiti. I palinsesti televisivi e le pubblicità orientati ad accompagnare a vivere la magia del Natale dove “tutti si è più buoni”.

       Cosa volere di più? Forse un’atmosfera ancora più magica e sentimentale, libera dalle restrizioni ancora in vigore a causa della pandemia che ci sta colpendo da quasi due anni?

       In tutto questo dov’è il Cristo? Dov’è la fede?

       Forse si parteciperà alla Messa della notte di Natale e del giorno di Natale, ma basta per celebrare il Natale del Signore?

       L’evangelista Luca ci pone di fronte due atteggiamenti fondamentali per accogliere Cristo, per vivere pienamente l’incarnazione di Cristo ed essere uniti a Lui. Maria, “la madre del mio Signore”, ed Elisabetta, “la madre del precursore del Signore”, ci insegnano questi due atteggiamenti per vivere appieno il Natale, cioè l’Incarnazione di Cristo e l’essere uniti a Lui: l’umiltà e l’accoglienza di Maria e l’esultanza nello Spirito di Elisabetta.

       Maria, scelta da Dio per accogliere l’Incarnazione di Cristo, è il modello di ogni cristiano. Ella ha accolto in umiltà e docilità alla Parola il volere di Dio, facendo così di sé stessa il tabernacolo di Cristo.

       Solo nell’umiltà e nella docilità Cristo può abitare nel cuore dell’umanità. Dio oggi è assente nella vita delle persone perché viviamo nella esaltazione dell’IO individuale. Non c’è posto nel cuore, nella mente e nella vita della persona per Dio se essa è piena di sé, tutta orientata alla soddisfazione del proprio ego.

       Maria ci insegna l’umiltà del cuore, che è riconoscersi creatura, fragili, caratterizzati dalla caducità, dall’imperfezione e per questo bisognosi di essere rialzati, guidati, sostenuti, amati da Colui che è perfetto e misericordioso.

       Maria ci insegna la docilità alla Parola di Dio, che non è rinuncia alla propria intelligenza, razionalità, volontà, ma scelta di vita, orientamento consapevole e razionale di sé stessi verso Dio e attuazione del suo progetto di amore per l’umanità.

       Essere docili alla Parola vuol dire aprirsi a Dio e scegliere di camminare nel suo Amore. Vuol dire fare della sua Parola la risposta al proprio desiderio di realizzazione, riconoscendo che Dio non annulla l’essere personale, ma lo eleva. Vuol dire riconoscere che la Parola di Dio è la via, la verità e la vita che permette a ciascuno di vivere appieno la propria esistenza nell’amore vero. Vuol dire prendere coscienza del proprio limite, della propria fragilità e riconoscere che solo in Dio trova ristoro, sostegno e guarigione profonda.

       Prepararsi e Celebrare il Natale, sull’esempio della Vergine Maria, in umiltà e docilità di cuore alla Parola, significa fare posto a Dio nel proprio cuore, senza rinunciare al proprio essere, ma al proprio egocentrismo. Riconoscere che Dio non è venuto per “condannare ed umiliare”, ma per “elevare e salvare l’umanità”.

       Elisabetta esulta nello Spirito, riconosce la presenza di Dio e la beatitudine di Maria, che ha creduto nella Parola del Signore (cfr Lc 1, 39-45). La gioia, l’esultanza di Elisabetta è data dallo Spirito che le permette di riconoscere l’azione di Dio nella storia, la Salvezza che si rende visibile in Cristo.

       Il Natale è la manifestazione dell’amore di Dio e della sua Salvezza donata a tutti coloro che l’accolgo con docilità e buona volontà. Natale è gioia vera, è amore visibile e tangibile per chi riconosce che Dio è Amore ed è presente nella storia dell’umanità e personale, per indicare il vero modo di “essere umani”: non nell’egoismo ma nella fraternità dei figli di Dio.

       Natale non è un giorno, non è un “momento magico”, non è una ricorrenza o un ricordo storico. Natale è accogliere Dio nella propria esistenza, in umiltà e docilità, e vivere nella gioia di riconoscersi amati e salvati da Dio, che si è “abbassato, umiliato” facendosi “carne”, facendosi “uomo”.

       Con Maria, “docile alla Parola”, ed Elisabetta, “esultante nello Spirito”, disponiamo il cuore, la mente e la volontà a vivere da redenti, “abitati dall’Amore” per l’Incarnazione di Cristo, vero Dio e vero Uomo.

        Facciamo della nostra vita di credenti un Natale continuo, consapevoli che la nostra umanità, fragile e limitata, è stata redenta e elevata alla piena comunione con Dio per sua volontà e amore misericordioso.

        Rendiamo visibile la nostra appartenenza a Cristo “incarnando” il suo amore incontrato nei gesti, nelle parole, nelle scelte di vita, affinché tutta la nostra esistenza sia “presenza” di Dio nella storia dell’umanità, vera “ecclesia”, vera espressione dell’essere popolo dei redenti in Cristo!

TERZA DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – 2021 - GAUDETE

“Lieti e amabili”


 

(Sof 3,14-18 - Is 12 - Fil 4,4-7 - Lc 3,10-18)

 

       «siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4, 4).

       La fede non è vivere in uno stato cupo, triste, di afflizione e paura. La fede è gioia, letizia, amabilità che derivano dall’aver incontrato Dio e fatto esperienza del suo amore misericordioso.

       San Paolo esorta i Filippesi ad essere sempre lieti nel Signore. Non si tratta di una letizia sciocca e ipocrita, ma derivante dalla certezza che nulla e nessuno può separare il credente dall’amore di Dio, se non sé stesso, con le proprie scelte e chiudendo il cuore a Dio.

       La letizia nel Signore è espressione della virtù della speranza, oltre che della fede, perché il credente vive il quotidiano sempre teso verso la meta finale: la vita in Dio.

       La sua gioia nasce dall’amore di Dio che lo ha rialzato dalla sua condizione di fragilità ed elevato alla dignità di figlio per l’offerta di amore del Cristo.

       La gioia del cristiano è alimentata dalla comunione con Cristo nell’eucaristia, partecipazione alla sua offerta d’amore per l’umanità. Dall’eucaristia riceve la linfa della vera gioia, che permette di amare il prossimo come Cristo e guardare ogni cosa con speranza.

       Essere lieti nel Signore, dunque, significa imparare a leggere tutto con gli occhi di Dio, con speranza, sapendo riconoscere e scegliere ciò che è amore e genera amore.

       Essere lieti nel Signore è un esercizio di costante adesione alla volontà di Dio e di modellamento del proprio essere attraverso la Parola e la preghiera.

       La letizia nasce così nel cuore del credente quando si lascia abitare dalla Grazia di Dio grazie ad un cammino di conversione e di rinnovamento nello Spirito (cfr. Tito 3,5).

       La letizia, frutto della rigenerazione nell’amore di Dio, nella sua misericordia, si traduce in amabilità verso il prossimo. Chi si riconosce amato e perdonato, rialzato dalla sua miseria ed elevato alla dignità di figlio di Dio, non può che vivere nell’amabilità verso tutti, sapendo che Dio è pronto ad accogliere e a donare a chiunque si dispone a ricevere da Lui il suo Amore.

       L’amabilità è amore per la Verità; attenzione all’altro; servizio di carità. L’amabilità è accoglienza dell’altro senza eccezioni, ma nella Verità e disponibilità.

       L’amore, però, non è mai senza Verità: non si può amare senza la verità e non c’è Verità senza amore. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. […] La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale.» (Caritas in veritate, 3).

       Traspare nella personale vita del cristiano la letizia e l’amabilità?

      

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C - 2021

“Profeti nel tempo presente”


 

(Bar 5,1-9 - Sal 125 - Fil 1,4-6.8-11 - Lc 3,1-6)

 

       In questa seconda domenica di Avvento, la liturgia ci presenta la figura di Giovanni Battista, ultimo dei profeti, precursore del Messia.

       «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» (Lc 3, 4).

       Volendo dare una rappresentazione dell’epoca in cui viviamo, mediante parole-chiave, sicuramente ciò che meglio descrive la realtà odierna sono transito, precarietà, provvisorietà e individualismo.

       In questo contesto culturale i credenti devono sentire l’urgenza evangelica e morale di essere “profeti nel tempo presente”, sull’esempio di Giovanni Battista.

       Oggi la religiosità è sempre più una questione personale e privata. Moltissimi individui rifiutano le modalità proposte dalla religione cattolica per entrare in contatto con la dimensione soprannaturale (fede, preghiera, ascetismo) e mettono in atto modalità di rapportarsi al soprannaturale che sono contrarie alla religione cattolica.

       Ad esempio, molti individui ricorrono alle pratiche magiche, allo spiritismo, al satanismo, all’evocazione dei componenti del “piccolo popolo” nonché alla adorazione di divinità pagane quali Gaia e la Grande Madre.

Nel mondo occidentale, come molti studiosi affermano, si è verificata la grande rivincita del paganesimo, che ha determinato una profondissima crisi della religione cattolica.

In questo contesto “pagano”, dove la religione cristiana è piuttosto un retaggio della tradizione e della pietà popolare, soprattutto nel centro-sud dell’Italia, essere “profeti” è una urgenza evangelica e morale che richiede impegno, formazione e grande esercizio di carità.

Essere profeti oggi è un impegno che deve caratterizzare tutto il proprio stile di vita. La complessità della società, data dalla globalizzazione e dal costante incontro con le diverse culture e religioni, esige un impegno di evangelizzazione e testimonianza continue non solo con l’annuncio verbale, ma molto di più con la testimonianza di uno stile di vita evangelico.

Essere profeti oggi è un impegno anche culturale, quindi richiede una conoscenza e una formazione intellettuale, teologica, spirituale e morale, alta per saper rispondere in modo corretto a chiunque chieda ragione della fede professata. Non bisogna più dare per scontato che la fede sia un substrato comune della cultura odierna. Il contesto culturale non ha più alcun riferimento con la cristianità.

Essere profeti per il mondo odierno richiede uno stile caritativo concreto, che non va ridotto al solo accogliere e servire i “poveri”, ma la prima grande forma di carità è quella di dare ragione della fede, annunciare la Verità in ogni occasione opportuna e inopportuna, essere liberi in coscienza da ogni compromesso, evitando di identificare la fede con altre ideologie, soprattutto di carattere politico. La fede è sempre altro e di più di ogni situazione e ideologia umana! La fede è “oltre”, è “sopra”, è “il di più” che deve illuminare, guidare e orientare, ma non va mai ridotta a questioni ideologiche umane.

Per essere profeti oggi, per vivere un servizio evangelico, caritativo e formativo serio per il tempo e la cultura odierna, è necessario che la fede “pervada” e “modelli” l’essere del credente. Occorre essere “radicati e fondati nella carità” (Ef 3, 17).

La preghiera di San Paolo per i Filippesi è anche per ogni credente di ogni tempo: «la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Fil 1, 9-11).

Non si tratta di una carità semplicemente fatta di gesti, elemosina, attenzioni al prossimo, ma di una carità che contraddistingue tutto l’essere a partire dal pensiero, dalla valutazione delle circostanze, per determinare una vita tutta orientata a Dio.

Il mondo ha bisogno di credenti che siano profeti credibili, convinti, formati e radicati nella carità.

Giovanni il Battista ci indica la modalità corretta per essere profeti: «Egli (Cristo) deve crescere ed io invece diminuire» (Gv 3, 30).


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