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PRIMA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C - 2021

“Vegliare, per vivere appieno il tempo”


 

(Ger 33,14-16 - Sal 24 - 1Ts 3,12-4,2 - Lc 21,25-28.34-36)

 

      “Vigilare, stare attenti, valutare, discernere”. Indicano il senso del tempo, sia quello liturgico dell’avvento sia il tempo della vita quotidiana del cristiano.

         Il cristiano vive il tempo come luogo in cui vivere la sua adesione a Dio nel cammino di fede; come opportunità per attuare l’amore di Dio ricevuto nelle concrete vicissitudini del quotidiano; come presente sempre teso ed orientato alla vita in Dio alla fine della esperienza terrena.

       In questa prospettiva il tempo non è mai caratterizzato dalla superficialità, ma dall’impegno pieno e totale per vivere e donare l’amore incontrato nella persona di Gesù Cristo.

        Oggi questa modalità di vivere il tempo, nella prospettiva della fede, è quasi incomprensibile, anche ai credenti. La logica imperante nella società è quella del “Carpe diem”, “cogli il giorno” il presente, che nell’ideale oraziano, di origine stoico-epicurea, è un invito a vivere la vita goduta nel bene che essa ci dà, anche se è poco, ma oggi è sempre più intesa come “cogliere l’attimo che fugge, cogliere l’occasione che passa e non si ripresenterà”; come invito al vivere gioioso e senza pensieri.

       Gesù esorta a stare attenti perché i cuori «non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita» (Lc 21, 34). Quanto è attuale questa esortazione: la dissipazione è sempre più il “modus vivendi” che caratterizza la nostra società, lo stile di vita dei più, senza ideali, senza speranze. Tesi a gustare il presente senza porsi aspettative, convinti che ad ogni giorno basti la sua pena! La dissipazione non solo intesa come dispersione di denaro, di beni, quanto più di possibilità, di energie, di potenzialità e di capacità. Si vive in uno stile di vita da dissipato, in una oziosità sregolata, senza ideali, senza valori forti di riferimento.

      Le ubriachezze contraddistinguono il modo di concepire il divertimento; l’abuso di alcolici nel fine settimana per i giovani è segno di sballo, di festa, di divertimento. Molte altre forme di ubriachezza sono tipiche della società attuale come l’uso (abuso) di droghe, libertinaggio sessuale, ubriacatura di musica e rumore, tutte forme di fuga dalla realtà e dai suoi problemi, segno di una fragilità e mancanza di punti forti di riferimento.

      Gli affanni della vita, che non si possono evitare, diventano forme di perdita di sé quando assorbono tutto di sé facendo dimenticare il vero senso della vita e perdere il valore dei legami affettivi, familiari, amicali. In altre parole, si vive per il lavoro, per la posizione sociale, per mantenere un tenore di vita alto, puntando sull’essere alla moda, vestire abiti firmati, di lusso ecc.

      La vita, senza la possibilità di vivere secondo lo stile della società attuale, perde di valore! L’animo umano non trova più luce, perde la speranza immerso nelle tenebre del non senso!

       Il tempo non è più possibilità per realizzarsi, esprimere ciò che si è, ma diventa senza senso e un peso, perché manca il valore di ciò che si è e la meta verso cui si è destinati.

     La necessità vigilare, stare attenti, discernere, che Gesù ci ha lasciato come stile di vita della fede, permette di aprire la propria vita al prossimo, al mondo, alle situazioni che viviamo in una prospettiva d’amore, di senso e di speranza.

       San Paolo esorta i Tessalonicesi a crescere “nel modo di comportarsi e di piacere a Dio” (cfr 1Ts 4, 1). Come? Cosa vuol dire?

       Qual è il comportamento corretto che piace a Dio? Cosa significa fare la volontà di Dio e come comprenderla per la propria vita?

      Per conoscere e comprendere la volontà di Dio per ciascuno non bisogna pensare che Dio voglia qualcosa che sia contro il soggetto, opposto alla sua identità e personalità.

       Dio vuole per ogni persona che sia sé stesso, in quanto figlio suo, e che raggiunga la sua vera felicità come persona e figlio suo. Dio vuole per ogni persona la vera felicità, che è rispettare e attuare la dignità di essere persona!

      La vigilanza, il discernimento si compiono quando valutiamo, decidiamo e attuiamo tutto a partire dal rispetto della propria e altrui dignità di persona, di figlio di Dio.

     Così facendo viviamo nell’amore di Dio e compiamo ciò che piace a Dio: «[…] crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1Ts 3, 12-13).

       Vivere il tempo nella logica della fede significa vigilare affinché tutto sia compiuto nell’amore di Dio e generi amore, vivendo da figli di Dio, nella santità di chi si riconosce tale trova la sua felicità nell’essere tale nella sua personale identità, caratteristica e condizione.

      Per compiere ciò occorre, dunque, come ci ha insegnato Gesù, “vegliate in ogni momento pregando” (cfr Lc 21, 36). La preghiera continua e costante non significa recita costante e ripetuta nel tempo di formule, bensì essere e fare ogni cosa a partire da Dio. La preghiera in ogni momento è vivere nella consapevolezza di essere figli di Dio; permette di vivere nell’amore di Dio e generare amore in ogni istante della vita.

     L’avvento, come tempo liturgico in attesa del Natale e come tensione continua verso la vita in Dio nell’eternità, permette: di modellare sé stessi; correggere le cattive passioni; curare e superare le fragilità; rialzarsi dalle cadute e riprendere il cammino nella speranza; saper chiedere perdono a Dio e ai fratelli per il proprio limite ed errore.

“Duc in altum”, conduci te stesso in alto, “Adelante cum iudicio”, camminando con giudizio, avendo sempre il cuore rivolto in alto, “sursum corda”.

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

“Annunciatori della Regalità di Cristo”


 

(Dn 7,13-14 - Sal 92 - Ap 1,5-8 - Gv 18,33-37)

 

       «Pilato disse a Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”» (Gv 18, 33-34).

       Alla domanda di Pilato, se fosse lui il re dei Giudei, Gesù risponde con un'altra domanda, che oltre a indicare da che parte viene l’accusa, esprime il senso profondo del rapporto di fede: riconoscere la regalità di Cristo conduce alla vera “libertà” e alla autentica umanità!

       Il mondo oggi non è in grado da solo di riconoscere la regalità di Cristo, perché come Pilato non conosce la Verità. Celebre la domanda di Pilato, dopo il discorso di Gesù: «Quid est Veritas?», «Cos’è la Verità?» (Gv 18, 38).

       Il mondo non conosce la Verità, non conosce Cristo, perché manca chi lo annuncia, chi lo rende presente con la propria vita, chi lo testimonia. Al mondo manca chi fa conoscere la regalità di Cristo nella propria vita!

       Sembra questa mia affermazione carica di nota polemica e di accusa, ma non vuole affatto essere questo, casomai un “mea culpa”; resta comunque una affermazione corretta perché noi cristiani non siamo consapevoli fino in fondo di essere una minoranza nella società e di dare tropo per scontato che c’è nella nostra società una minima conoscenza del cristianesimo.

       Se ci soffermiamo a considerare con attenzione la realtà del cristianesimo in Europa e in Italia, non possiamo non convenire sul fatto che la fede non è più una realtà condivisa, pubblica, sociale, ma è relegata alla sfera personale, intimistica.

       In una modalità di vita di fede tutta concentrata sulla espressione individuale e intima del rapporto con Dio, la testimonianza e l’evangelizzazione non trovano spazio.

       Di conseguenza manca alla società chi viva con fermezza, autenticità e pubblicamente la fede e non la sola espressione rituale e devozionale.

       Il mondo ha bisogno di cristiani in cui la regalità di Cristo si renda evidente: cristiani che vivano in ascolto della Parola e camminino nella Verità, in un costante e fedele discernimento di ciò che è dalla Verità e conduce alla vera libertà del cuore.

       Riconoscere la regalità di Cristo conduce alla vera “libertà” e alla autentica umanità! Cosa vuol dire questa affermazione?

       Cristo ha detto che Lui è la Verità che rende liberi (cfr Gv 8, 32), perché Lui è la Verità che permette di agire sempre per il Bene e compiere ciò che edifica. In questa libertà, che scaturisce dal suo amore, comprendiamo la vera umanità, perché è nella sua Verità che impariamo a vivere nel pieno rispetto della nostra dignità.

       Nella sua Verità, tutto di noi diventa espressione del suo amore, tutto è orientato a vivere nel suo amore. In questa prospettiva la vita assume un senso che non è nel proprio “ego”, bensì nella capacità di amare e di donarsi!

       Nel riconoscere Cristo Re conosciamo la vera identità della umanità, come creatura di Dio Padre, portatori della sua “immagine e somiglianza”. Una immagine che è il Figlio che ci ama; una somiglianza nella possibilità e capacità di scegliere per il Bene.

       Il mondo ha bisogno di cristiani che esprimono la regalità di Cristo nella propria vita attraverso tutto sé stessi: pensiero, parola, azioni; tutto sé stesso teso alla ricerca ed attuazione del Bene, nel discernimento continuo di ciò permette ad ogni persona di raggiungere la piena realizzazione nella reciprocità d’amore con il prossimo, la vera fraternità!

       «Il mio regno non è di questo mondo […] il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36).

       Gesù afferma con molta forza che il suo regno non appartiene a questo mondo, perché libero da ogni forma di potere, di menzogna, di meschinità, di avidità, di dominio dell’uomo sul suo simile.

       Il Regno di Cristo è Verità! È un regno in cui l’umanità esprime in pienezza la sua realtà e identità, perché il suo Regno è presente nella concretezza della quotidianità in cui vivere l’Amore di Dio.

       Il cristiano che riconosce e vive la regalità di Cristo vive la sua umanità nella espressione più alta e nella condizione di “figlio di Dio”: l’espressione alta di una umanità non ricurva su sé stessa, nella affermazione egoistica ed egocentrica di sé, ma nella apertura all’altro, al prossimo per essere uniti e fratelli edificandosi nella reciprocità.

       «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 37).

       Essere dalla Verità e vivere nella Verità: questa è la condizione del cristiano. Essere dalla Verità significa accogliere la Verità, Cristo, come principio della propria vita. Vivere nella Verità significa generare in sé e attorno a sé relazioni di verità, edificandosi nella reciprocità e allontanando ogni menzogna e meschinità: «il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37).

       Cristo è la voce della Verità, essendo Egli il Verbo Verità. I cristiani sono la voce della Verità, vivendo nella sua regalità e camminando nella Verità. Senza la fedeltà alla Verità non siamo “voce”, la nostra fede diventa vuota e sterile. Nella fedeltà alla Verità, diventiamo “voce” che testimonia e coinvolge nella Verità e genera verità in sé e nel prossimo, testimoni della regalità di Cristo nella propria vita, nella quotidianità del vivere!

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Cristiani consapevoli”


 

(Dn 12,1-3 - Sal 15 - Eb 10,11-14.18 - Mc 13,24-32)

 

       In ogni momento della vita siamo chiamati a valutare le situazioni, gli atteggiamenti, le reazioni, sia personali che altrui.

       La valutazione è un atto necessario ed inderogabile, è l’atto del giudizio che ci permette di raggiungere il bene per la nostra vita, ma non è facile giudicare e perseguire il bene.

       Il discernimento è sempre più difficile per la complessità della vita e delle situazioni, per questo richiede conoscenza, formazione e valori saldi.

       Il corretto discernimento permette di scegliere ciò che edifica, che orienta al bene, e genera relazioni positive e corrette con il prossimo.

       La vita di fede è orientata alla comprensione del Bene secondo Dio e alla sua attuazione nella concretezza della propria ed altrui esistenza. Occorre, pertanto, crescere nella conoscenza e consapevolezza.

       La vita di fede non può essere contraddistinta dalla superficialità, dal pressapochismo: essa richiede continua vigilanza e conoscenza per camminare nella volontà di Dio, per “conformarsi” ad essa e testimoniare l’appartenere a Dio con tutto sé stessi (sentimenti, pensieri, azioni).

       Conoscere la fede che si professa: come si può discernere il bene secondo Dio ignorando la sua Parola? Gli ebrei studiano la Torah, noi cristiani a mala pena la abbiamo letta o ne ricordiamo alcuni brani per averli “sentiti” durante la celebrazione Eucaristica. Le verità della fede, i dogmi, della morale, una pur minima conoscenza della teologia sono conoscenze fondamentali per valutare secondo Dio le situazioni della vita e vivere la fede, altrimenti cadremo nel “relativismo e soggettivismo etico”, in una religiosità solo esteriore e devozionale.

       Occorre crescere nella consapevolezza di essere chiamati alla misura alta del vivere: la santità! Che non è perfezionismo, ma lasciarsi modellare dalla Grazia di Dio; non è azzeramento della fragilità e del limite umano, ma tensione costante della volontà, del cuore e della mente a vivere secondo Dio.

       Diventare cristiani consapevoli di essere destinati alla vita in Dio, che si raggiunge nella quotidianità della vita, nelle relazioni con il prossimo, che devono essere vissute e illuminate dalla Carità.

       Il discorso escatologico di Gesù, riportato nel brano evangelico, e la pericope del profeta Daniele, sono un invito a vivere appieno la fede, nella conoscenza e nella consapevolezza.

       Saper leggere i segni dei tempi, la presenza e la volontà di Dio nella storia umana è una conoscenza non intellettuale, ma di fede. Solo chi vive in ascolto di Dio, conoscendo la fede e nella consapevolezza di essere chiamato ad attuarla nella propria realtà, saprà in grado di leggere il presente e discernerlo alla luce della fede.

       Oggi è frequente l’accusa verso la Chiesa di essere retrograda, non a passo con i tempi e lo sviluppo tecnico-scientifico. Si vuole relegare la fede alla sfera personale ed intima affermando che la vita quotidiana sia regolata da altri valori.

       I temi etici, la valutazione morale dei comportamenti, delle scelte di vita, e i valori a cui fare riferimento per il discernimento, si vogliono sempre più slegati dalla fede e riservati alla comprensione soggettiva, in nome della autonomia e libertà personali.

       I cristiani sono chiamati ad essere segno di contraddizione e portatori della verità di Dio nel mondo; a seminare nelle pieghe della vita la sapienza di Dio con il personale modo di vivere, di essere.

       «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre» (Dn 12, 3).

       La responsabilità del cristiano è di essere portatore della Verità. Essere esempio e guida per vivere nella giustizia di Dio, che deriva dalla Verità e dalla Carità, senza riduzione o compromessi.

       Nella Verità e nella Carità annunciare la fede e discernere le situazioni, senza mai perdere il rispetto della dignità della persona, ma con la consapevolezza di dover “splendere” nel mondo per la fede che si professa.

       Essere cristiani consapevoli di portare la “Luce della Verità di Dio” nella società; di “essere lievito” che fermenta la massa; di “indurre alla giustizia” senza paura di essere avversati, additati, perseguitati.

       Essere consapevoli di essere in questo mondo senza appartenere ad esso, sempre tesi verso Dio, costruendo il suo Regno nelle vicende quotidiane per conformarsi a Cristo e partecipare alla sua Gloria alla fine della vita.

       Saldi e fermi nella conoscenza della Parola eterna di Dio, discernendo il tempo presente con i valori della fede, camminiamo nella consapevolezza di appartenere a Dio e diamo al mondo, sempre più indifferente e ignorante del Vangelo, la testimonianza “bella e vera” della fede che professiamo!

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - 2021

“Mettersi in gioco o giocare con la fede”


 

(1Re 17,10-16 - Sal 145 - Eb 9,24-28 - Mc 12,38-44)

 

       Riflettiamo sul rapporto con Dio e chiediamoci: “quanto sono disposto a dare a Dio della mia esistenza? Fino a quanto sono disposto a compromettermi per il Signore?

       Il brano evangelico di questa domenica ci interpella proprio su questo. La contrapposizione tra il “modus vivendi” degli scribi e quello della vedova a cui Gesù ci invita a porre l’attenzione coinvolge ogni battezzato nella sua specifica identità e vocazione.

       La critica più volte espressa da Gesù nei confronti degli scribi è tutta concentrata nel condannare l’esercizio del loro potere a danno del popolo.

Gesù rimprovera loro il pavoneggiarsi in lunghe vesti, la loro ambizione e abuso di potere, in particolare condanna lo sfruttamento dei beni delle vedove, il farsi pagare per il loro servizio.

       Gesù condanna la loro ipocrisia, il millantare la loro religiosità con lunghe preghiere.

       La comunità cristiana non è esente da questo errore e deve essere pronta a ricevere la stessa critica. Chi vive la fede, chi si pone a servizio dell’annuncio del Vangelo sia come battezzato, che come catechista, consacrato, diacono, presbitero o vescovo non è esente dal pericolo di cadere nella medesima ipocrisia degli scribi se si sottrae ai suoi doveri morali e sociali.

       La relazione con Dio e la testimonianza della fede non è questione di pratiche di culto o impegni pastorali, ma di vita messa a totale servizio di Dio e del Vangelo, cioè di una esistenza che sia guidata e modellata dalla Legge d’amore di Dio.

       La vera religiosità consiste nel donarsi a Dio, nel mettersi a sia totale disposizione!

       Ogni battezzato, nella sua particolare condizione e situazione, deve essere disposto a dare tutto a Dio, a vivere tutto per Dio, a operare in Dio.

       La vedova, nella sua misera condizione, è portata ad esempio di fede autentica e totale. Gesù invita a leggere il suo gesto nel suo valore autentico: non per la quantità dell’offerta ma per la totalità, avendo donato tutto quello che aveva!

       La povera vedova, con la generosità della sua offerta e la sua concreta adorazione a Dio, svergogna chi sfoggia la propria devozione e smaschera l’ipocrisia nella quale sono immersi.

       Nell’atrio del tempio si trovava un corridoio con tredici salvadanai, che servivano a raccogliere le libere offerte e quelle destinate a determinati scopi. L’offerta veniva consegnata al sacerdote incaricato indicando la destinazione d’uso.

         L’offerta presentata dalla vedova era destinata ad offrire un atto di culto a Dio. Essa non ha donato del superfluo, come tanti facevano, (v. 43), ma ha donato tutto quello che aveva per vivere.

       Lei ha donato tutta sé stessa nell’offerta delle due monetine: ha amato Dio con tutte le sue forze, con tutta sé stessa, con l’intera “sostanza” che possiede.

          Le due modalità di vivere la fede (gli scribi e la vedova) possono appartenere anche a noi.

       Una fede fatta di esteriorità, di prestigio, di mettersi in mostra ostentando devozione e cura verso le cose di Dio, ma che poi non coinvolge di fatto nelle scelte della vita, nelle relazioni con il prossimo, nell’esercizio della vera carità cristiana, non è altro che la modalità di vita degli scribi.

     Si tratta di “giocare con la fede”, come gli scribi, cioè usarla per la personale realizzazione, per ottenere vanto, sentirsi “migliori” e “apparire” perfetti.

       Una fede in cui ci si mette a totale disposizione di Dio, come quella della vedova, è “giocarci nella fede”, cioè significa rinunciare a tutto pur di vivere nell’amore di Dio, essere disposti a perdere sé stessi pur di “guadare Dio ed essere a Lui graditi” (cfr Fil 3, 7-11).

      Di fronte ad ogni battezzato si presenta la via della umiltà, della mitezza e povertà di spirito, e la via della ipocrisia, boria e dell’orgoglio spirituale. Tutto dipende se siamo disposti a “metterci in gioco totalmente per Dio” o se preferiamo “giocare con la fede” perdendo Dio pur di guadagnare vanto.


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