IV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
“CHIAMATI ALLA SANTITÀ E NON ALLA NOTORIETÀ”
(Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28)
«La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea» (Mc 1, 28).
La fama, il successo, la notorietà, i follower, sono i punti cardini della vita di oggi. Nulla a che vedere con la fama di cui parla il Vangelo, ma di fatto è il male di questa generazione, che non riesce a comprendere il senso e il valore della vita se non nel bisogno di notorietà.
Viviamo in una piazza virtuale in cui mettere a nudo le nostre vite, i momenti della quotidianità, come se questi non avessero senso se non venissero pubblicizzati sul social.
Una fama che di fatto genera ancor più vuoto esistenziale e disorientamento, incapacità anche di una vera relazione con il prossimo.
Una fama a cui, senza comprendere le conseguenze il più delle volte nefaste, permettiamo anche ai minori di entrare e abusare, senza limiti, senza controlli e senza sostenere la loro crescita umana con esempi e valori solidi.
La fama di cui parla l’evangelista Marco, è la conseguenza di un evento straordinario a cui il popolo assiste: una Parola detta con autorità, a differenza di quella degli scribi!
Gesù sarà seguito e cercato per i prodigi che compirà, per i suoi insegnamenti, ma alla fine per divenire suoi discepoli occorrerà accogliere il suo insegnamento fino in fondo, accettando di mettere in gioco se stessi e cambiare vita.
La fama, di fatto, è una conoscenza superficiale, fatta di un parlare che passa da persona a persona, ma è carente di esperienza personale e di relazione profonda che permette la vera unione di intenti e di cuori e che costituisce la “sequela”.
Nella vita di fede spesso accade che ci si ferma alla fama piuttosto che impegnarsi nella sequela. Si va alla ricerca del miracolo, del sensazionale che genera il sentimentalismo sterile della religiosità.
Si pretende e si preferisce un Dio che intervenga per derimere le situazioni difficili, per compiere miracoli, per togliere il male, che spesso è generato dal nostro egoismo.
Non si accetta facilmente un Dio che responsabilizza e invita ad una condotta di vita basata sulla carità e sulla verità, sulla giustizia e sulla corresponsabilità per il bene di tutti.
Non è accettabile un Dio che ci indica la sua Via, di amore e di condivisione, di responsabilità e di impegno per edificare il suo Regno, perché richiede una conversione radicale. È più facile accettare un Dio, che abbia la fama di compiere miracoli, di togliere di mezzo il male fisico e morale, di fare giustizia secondo le nostre valutazioni e comprensioni, ma non che chieda il personale coinvolgimento e la responsabilità di seguirlo.
Gesù, il Cristo, la Parola fatta carne, non è il Dio secondo questa logica umana, ma è Via, Verità, Vita, che interpella nell’intimo della coscienza e chiede la conversione!
La sua autorità è riconosciuta e accolta solo da un cuore disposto a fare verità e libero dalle logiche umane e di egoismo.
È venuto ad annunciare il Regno di Dio, a chiamare alla conversione e alla adesione al Vangelo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1, 15).
L’Evangelista Marco pone la guarigione dell’indemoniato subito dopo questo annuncio. Sebbene a prima vista sembra che i due brani abbiano uno stretto nesso cronologico, di fatto Marco lo inserisce per mettere in luce l’autorità di Gesù, la potenza della sua Parola, che libera e permette all’uomo di realizzarsi in pienezza.
La guarigione avviene di sabato e nella sinagoga: due particolari posti in evidenza da Marco per evidenziare che Gesù è il compimento di tutte le parole dei profeti e della promessa di Dio. In questo giorno solenne per gli ebrei, in cui ogni membro dell’assemblea poteva alzarsi a leggere e commentare il testo sacro, Gesù parla e la sua parola genera liberazione e guarigione.
L’insegnamento di Gesù è nuovo, fatto con un’autorità che nessuno ha, perché è Lui la Parola, il Verbo che illumina, la Via da compiere per vivere in comunione con Dio.
La sua Parola è luce che dirama le tenebre; è potenza che spezza le catene; è Verità che squarcia ogni durezza ed egoismo.
Il contrasto tra l’indemoniato e Gesù è evidenziato dall’affermazione: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» (Mc 1, 24).
Gesù viene a distruggere l’egoismo, a scardinare le false sicurezze in cui spesso ci barrichiamo, a spezzare le catene dell’interesse personale a cui la società sempre più ci condiziona e strumentalizza.
La liberazione dell’uomo dalle sue alienazioni, dall’egoismo, dall’egocentrismo, dalla ricerca spasmodica della propria affermazione e successo, a scapito del resto della società e a volte dei nostri stessi affetti, è possibile solo dando spazio alla sua Parola.
La sua Parola è autorevole, lontana dalla logica umana del potere che si impone e domina. La sua Parola è una parola che rinnova, trasforma, edifica, libera e responsabilizza.
La sua Parola edifica perché è parola di amore. A differenza delle parole degli uomini, che sebbene finalizzate a generare una forma di comunione e di condivisione, legano a sé, perché sempre cariche della componente egoistica, connaturale con l’essere umano, la Parola di Gesù libera e apre alla vera comunione e condivisione perché parte dal donarsi, in una logica di servizio e di amore: «il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45); «[…] ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10, 43-44).
La sequela di Gesù non si basa, dunque, sulla sua fama, sul riconoscere il suo parlare con autorità e compiere miracoli, ma nel lasciare che la sua Parola ci interpelli nel profondo e compia la liberazione del cuore, della mente e della volontà, perché la nostra vita diventi sorgente di liberazione per gli altri (cfr Gv 7, 37-39).
Ogni battezzato, nell’obbedienza alla Parola, è chiamato ad illuminare e sanare le varie situazioni di sopruso, di ingiustizia, di umiliazione, di egoismo, ma sempre partendo dalla personale e costante verifica ed impegno di vita. Non si tratta di denunciare il male, ma di lottare contro esso con il servizio di verità nella carità, secondo il Vangelo, con un costante discernimento perché il bene vinca sul male. Bisogna operare in uno spirito di servizio alla Parola e al prossimo, perché sia Cristo a regnare nei cuori e a liberare.
Il credente vive in pienezza la sequela: se la sua esistenza si fa parola che esorcizza i segni di morte e proclama la vita liberata e redenta dall’amore di Dio in Cristo; se la sua fede diviene prassi di liberazione totale dalle tante forme di schiavitù ed egoismo, attraverso la Parola meditata e attualizzata nella quotidianità della sua vita, affinché ogni istante sia vissuto nella logica di Dio.
Liberiamo la nostra religiosità da quelle forme sterili legati alla logica della “fama”, cercando ed inseguendo situazioni di sensazionalismo, miracolismo, sentimentalismo e devozionismo.
Fondiamo e radichiamo la nostra sequela in Cristo nella sua Parola che rinnova, trasforma e opera, che libera il cuore e permette di agire nell’amore, per la comune edificazione e realizzazione nel bene.
Siamo chiamati alla Santità e non alla notorietà; al servizio e non alla fama e al protagonismo!