IV Domenica di Pasqua – Anno A - 2020
“In ascolto e in sequela del Pastore buono”
(At 2,14.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10)
Pensando al rapporto con Dio e agli appellativi usati per descriverlo, ciò che emerge è quello che di fatto ogni coscienza vive. Solitamente usare semplicemente il nome “Dio”, senza alcun altro termine che identifichi la modalità del rapporto che si vive con Lui, esprime la distanza e la smisurata sproporzione tra Lui e la creatura umana. Una comprensione che favorisce, nella nostra cultura, a tenere distante Dio dalla vita personale.
Quando si fa esperienza di Dio, lo si incontra e si impara a conoscerlo attraverso la sua Parola, la Rivelazione che ha fatto di sé, e le testimonianze di altri credenti sul rapporto che vivono con Lui. Nel vivere la relazione di fede, si arriva ad aggiungere al termine Dio una caratteristica che esprime, non tanto la qualità o la modalità in cui Egli si è presentato, quanto piuttosto il modo in cui la persona comprende e vive la relazione con Dio.
Chiamarlo Padre, Signore, Amore, Onnipotente, Giudice, Misericordioso, Pastore, Medico delle anime, sono tutti termini che esprimono, si una caratteristica di Dio, ma molto di più descrivono l’esperienza personale del fedele.
Il Salmo 22, come ogni altro Salmo, è una preghiera del fedele che si rivolge al Signore descrivendo l’esperienza che vive. Riconosce che il Signore è il pastore della sua anima, la guida per il retto cammino, che conduce alla vera gioia, al benessere integrale della persona.
L’esperienza di fede si fa canto di lode e preghiera; sprono per chiunque legge; condivisione con chi vive la fede.
La pericope della Prima Lettera di San Pietro, attraverso una serie di affermazioni, presenta la figura di Cristo, anche posta in rapporto diretto col servo di Jahvé del profeta Isaia, ma in ogni parola
possiamo rileggere la personale esperienza di Pietro, non semplicemente perché testimone diretto di quanto vissuto da Gesù, ma molto di più per quello che lui stesso ha ricevuto dal Cristo.
Pietro ha fatto esperienza diretta del tradimento e del perdono; ha compreso la profezia di Isaia sulla sua pelle e ha vissuto l’incontro con l’amore rigenerante e misericordioso di Dio, attraverso lo sguardo d’amore del Cristo. Conosce bene cosa significa seguire l’esempio di Cristo, le sue orme, ed affidarsi all’Amore di Dio.
«Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2, 24-25).
Pietro ha fatto esperienza e ci testimonia l’effetto dall’azione salvifica di Cristo: “non vivendo più per il peccato, vivessimo per la rettitudine morale”, letteralmente “giustizia”. Riconoscere Gesù come il Cristo, comporta seguirlo in una via di rettitudine morale, fatta di cambiamento di mentalità, di opere buone, di sentimenti di bontà, lealtà e misericordia.
Avere Cristo come “pastore” significa riconoscere la sua cura amorosa, la sua custodia e la sua guida nella verità, contro ogni iniquità e meschinità.
Il discorso di Gesù, di Gv 10, in cui presenta sé stesso come Pastore bello delle anime, esprime con precisione questo rapporto: “ascoltano la sua voce”; “chiama le sue pecore, ciascuna per nome”; “cammina davanti a esse”; “le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10, 2-4).
Il rapporto è intimo, amorevole, attento a ciascuno nella sua particolarità e unicità. Il Pastore cammina davanti, indicando la Via, dando l’esempio, conducendo verso la Verità e il Bene.
La condizione per seguirlo e vivere nella sua cura è “l’ascolto della sua voce”, che richiede una relazione di intimità, di amicizia, di disponibilità, di accoglienza e di fiducia.
“Ascolto” che comporta orientamento di tutto sé stessi verso il Cristo. Non si tratta quindi di una relazione superficiale, ma che coinvolge tutta la realtà personale: mente, cuore, volontà.
Il dono di questo ascolto fedele e libero è il dono della vita: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10); non intesa come vita fisica, ma come valore e senso da compiere “qui ed ora” nella esperienza terrena, nella consapevolezza della “vita eterna in Dio”, conquistata per il sacrificio d’amore di Cristo, a cui il credente è destinato.
Consideriamo la nostra fede e verifichiamo l’esperienza che viviamo. Liberiamo il cuore, la mente da tutto quello che non è secondo la volontà di Dio, ma soprattutto impegniamoci a vivere la nostra fede nella sequela libera e fedele del Cristo, “pastore” delle nostre vite. Rinnoviamo davanti al Signore la nostra volontà a seguirlo ed amarlo, non vivendo una religione sterile, fatta di devozioni e ritualismi, ma in un ascolto attento e fruttuoso della sua Parola e in una condotta di vita nella “giustizia”, libera da ipocrisia, iniquità e meschinità.
“Signore Gesù, pastore bello delle nostre anime,
che ci conosci nell’intimo e ci guidi alla vera gioia;
che ci sostieni e ci ripari da ogni male;
che vai in cerca di chi si smarrisce;
donaci il tuo Spirito si sapienza e forza
per conservarci nella tua sequela, in amore e verità.
Tante volte, sopraffatti dalla stanchezza,
dalle innumerevoli prove della vita
e dalle delusioni di relazioni umane
sempre più basate su interessi e opportunismi,
viene meno la nostra rettitudine morale
e perdiamo il retto sentiero,
dietro a Te, Parola viva e Pastore bello delle nostre anime.
Allontana da noi la presunzione di essere sicuri
di vivere nella fedeltà a Te;
di essere e conservarci nel tuo recinto.
Illuminaci con il tuo Spirito,
perché ogni giorno liberiamo
il nostro cuore dai sentimenti negativi,
perché sia ricolmo del tuo Amore;
perché orientiamo la nostra volontà
a seguire ed uniformarsi alla Tua;
perché illumini la nostra mente a comprendere,
cercare e testimoniare quello che da Te
ascoltiamo e ci sforziamo di compiere.
A Te salga il nostro canto di lode;
A Te che sei il nostro Pastore,
che guidi e rinfranchi il nostro cammino,
ogni onore e gloria.
Amen”
Il Buon Pastore, Mausoleo di Galla Placidia, eretto nella prima metà del V secolo, Ravenna