II Domenica di Pasqua – Anno A - 2020
“Missionari della misericordia ricevuta”
(At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31)
«siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà» (1Pt 1, 6-7).
Siamo nella ottava di Pasqua ed ancora una volta la Parola di Dio, viva ed attuale, illumina e dona speranza.
L’apostolo Pietro ci esorta ad essere ricolmi di gioia nonostante le prove. Come può essere possibile gioire quando siamo provati; quando le situazioni della vita sono difficili e tutto sembra preludere alla fine, senza alcuna speranza?
La gioia del cristiano nasce dalla certezza di ciò che l’attende: la vita eterna! Non si tratta di una emozione, di uno stato d’animo, ma di una condizione di vita. Il cristiano è nella gioia perché conosce la meta della sua esistenza e vive il presente nella continua tensione verso il futuro eterno in Dio.
La gioia è un modo di vivere, dove le prove, il dolore, la malattia, la morte non sono vissute inconsciamente o non interessano il cristiano, ma in pienezza senza perdere la speranza.
Il dolore e il pianto, la malattia e la morte sono realtà che toccano nell’intimo ogni persona, cristiani compresi. Sono prove che non devono e non possono essere eluse, e per chi vive la fede vera, non producono sconfitta, ma diventano occasione per crescere nell’abbandono a Dio, confidando in Lui e trovando senso nella sua Parola.
La fede viene provata e raffinata dalle prove della vita; trova forza e guida nella meditazione della Parola, nell’Eucaristia, nella preghiera e nella vita comunitaria.
«[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2, 42).
La fede va vissuta nella comunità ecclesiale e non può mai essere una questione intimistica e privata: non sarebbe fede, ma religiosità!
Nella vita comunitaria si comprende il senso profondo della Parola e si realizza la vera comunione con Dio: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).
Eppure non sempre le comunità ecclesiali, le parrocchie sono luoghi favorevoli per la crescita della vera fede. In esse si fanno i conti con tutte le fragilità umane e le dinamiche che si riscontrano in ogni ambito della nostra vita.
Divisioni, fazioni, gelosie, invidie, cattiverie e, purtroppo, anche molto peggio, si riscontrano nelle relazioni tra credenti che frequentano le parrocchie. Quante persone sono state scandalizzate, quanti altre hanno abbandonato la frequenza ai sacramenti per aver fatto esperienze negative nelle parrocchie.
Eppure, nonostante tutte queste negatività, che appartengono alla nostra umanità, il luogo per incontrare Dio e vivere la piena comunione con Lui è la Comunità di fede, la Chiesa!
Come fare delle nostre comunità luoghi in cui vivere la vera comunione tra noi? Come superare tutte le negatività che spesso riscontriamo?
La via è quella indicata dal brano di Atti 2, 42-47: preghiera, condivisione, umiltà di cuore e tanta misericordia. San Paolo aggiunge: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12, 10).
Amare e stimare: è possibile vivere questo? Significa che tutto ciò che l’altro fa va giustificato? Che tutto va accettato? Certo che no! Stimare non significa giustificare, ma riconoscere che l’altro ha valore in quanto persona; in quanto figlio di Dio. Non stimo gli atti, ma l’essere, la persona, pertanto quando sbaglia la riprendo con carità, la perdono, la riaccolgo!
Questo è ciò che Dio fa con noi; questa è l’essenza della misericordia di Dio. Non ci ama per quello che compiamo, ma per quello che siamo. Quando abbiamo commesso peccato e ricorriamo alla sua misericordia, Lui continua a vederci come figli, ad amarci e ci ridona tutta la sua fiducia.
Credere e vivere nella misericordia di Dio, non significa semplicemente confidare nel suo perdono, ma impegnarsi a conservare sé stessi nel suo amore ed evitare di ricadere nella colpa, nell’errore.
Il cristiano non è perfetto, ma vive accogliendo la perfezione di Dio in sé, conservando il dono della misericordia ricevuta ed attuando così la misura alta della fede: la santità!
Questa è l’esperienza di Pietro, che pur amando il Signore, lo ha tradito e sperimentata la sua misericordia ha cercato di conservare in sé questo dono facendolo fruttificare nella condivisione della fede con i fratelli.
Questa è l’esperienza di Paolo, persecutore e uccisore di cristiani, che ha fatto dell’amore rigenerante e misericordioso di Dio la sua forza ed è divenuto annunciatore indomito della fede, della Parola di Dio a tutte le genti.
Questa è l’esperienza di Tommaso, incredulo e scettico di fronte la testimonianza dei fratelli di fede, ma rigenerato dalla misericordiosa accoglienza di Gesù, che gli va incontro nella sua incredulità e debolezza per costituirlo testimone di fede forte e determinato.
Questa è l’esperienza di ciascuno di noi quando, dopo aver toccato il fondo della propria miseria, ci siamo sentiti amati e perdonati da Dio, toccati dalla sua misericordia per il sacramento della riconciliazione o per una parola di speranza che ci ha raggiunto quando meno ce lo aspettavamo o da qualcuno che mai avremo pensato potesse interessarsi a noi.
Noi siamo coloro che Gesù chiama “beati” perché crediamo senza averlo visto e toccato nella sua fisicità corporale, ma di fatto se abbiamo fede in Lui è sicuramente perché abbiamo sperimentato il suo amore, abbiamo toccato il suo amore che ha pervaso il nostro essere rialzandolo dalla sua miseria.
Questa è la domenica “in albis”, la domenica della “Divina Misericordia”: ringraziamo il nostro Dio per questo immenso dono, condividiamolo con tutti coloro che incontriamo nel cammino della vita e impegniamoci a vivere nella misericordia “amando e gareggiando nello stimarci a vicenda”.
“Signore Gesù,
l’Apostolo Tommaso, dopo averti visto,
così esclama: «Mio Signore e mio Dio!».
Oggi anche noi vogliamo proclamare la nostra fede
dicendo: Mio Signore e mio Dio!
Lo facciamo con la consapevolezza della nostra miseria,
coscienti che piccola e debole è la nostra fede,
ma certi che Tu ci ami e ci perdoni
nella tua infinita misericordia.
Rendici misericordiosi,
come Tu sei misericordioso,
capaci di amare oltre ogni misura,
perdonando chi ci fa soffrire,
impegnandoci nello stimarci a vicenda,
tutto perché ti abbiamo incontrato
e abbiamo sperimentato per noi il tuo amore misericordioso.
Rendi la tua Chiesa,
ed ogni comunità di fede,
luoghi in cui ognuno si sente accolto ed amato,
stimato e non giudicato,
sostenuto e non accusato,
accolto e non scacciato,
perdonato e non indicato.
Fa che, nutriti della tua Eucaristia,
corroborati dalla grazia del Sacramento della Riconciliazione,
siamo testimoni del tuo amore
con il nostro stile di vita,
i nostri atteggiamenti e parole,
che edificano e mai condannano,
denunciano il male ma mai uccidono l’altro nella sua intimità.
Fa di noi apostoli di carità,
missionari di misericordia,
costruttori della tua Pace.
Amen!”