VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
“Per una giustizia non legale, ma sapienziale”
(Sir 15,16-21; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37)
Parlando con i giovani e gli adulti delle varie religioni sento commentare che i fedeli mussulmani hanno più fede di noi, perché loro non rinunciano alla loro religione.
In risposta a tale affermazione rivolgo questa domanda: “E noi perché rinunciamo? Perché non conosciamo e viviamo in modo profondo la nostra relazione con Dio?”
Non sempre ricevo risposta. Secondo me la ragione è da trovare in più direzioni: la cultura, la vita delle comunità, la testimonianza che si riceve.
La cultura nella quale viviamo ha per tanto tempo minato le radici della fede cristiana al punto che oggi l’individualismo e il culto della libertà personale sono i pilastri della nostra società.
In questo contesto culturale Dio e la sua proposta di vita contrastano con il culto della libertà personale.
Ma Dio non obbliga nessuno! La relazione con il Dio cristiano non è di sottomissione, ma di amore! Dio non ci chiama servi, ma amici!
Il libro del Siracide sottolinea la nostra risposta libera alla proposta di alleanza di Dio: “Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15, 16-17).
Dio non impone nulla all’uomo, lo ama e si propone a lui con Verità da accogliere e da seguire. La fede è una relazione di amore e una sequela basata sul riconoscere che Dio ha una proposta di vita che mi qualifica e mi salva.
Alla proposta di Dio ognuno risponde liberamente e, di conseguenza, è responsabilità di ciascuno restargli fedele e vivere la relazione con Lui.
La vita di fede si esprime nell’ascolto della Parola, nel culto, nella preghiera personale e nelle opere quotidiane secondo la morale cristiana. Il peccato è, dunque, un tradimento dell’amore. La santità è una vita nella verità e una lotta contro l’empietà e la meschinità.
Se nella nostra società la religione cristiana è sempre più una minoranza molto dipende, oltre che dalla cultura dominante, anche da chi si professa credente. I cristiani non conoscono i fondamenti della religione; ignorano sempre più gli insegnamenti del Vangelo e la morale cristiana. La sapienza di Dio è sostituita dalla sapienza del mondo e dall’arroganza della soggettività.
Ragazzi e giovani sono sempre meno interessati alla religione, ricevono i sacramenti per tradizione, ma ignorano tutto della fede. Come fare perché la trasmissione della fede sia più incisiva?
La fede si trasmette da persona a persona, di mano in mano. La famiglia è il primo luogo della trasmissione della fede e dalla testimonianza personale nasce la fede nei più piccoli.
La Parola di Dio è il fondamento della fede. Senza la conoscenza della Parola più che di fede si deve parlare di religiosità o di sterile ritualità di culto.
Gesù lo dice chiaramente nel brano evangelico: “In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto”. La Parola è l’unica fonte per conoscere Dio.
Inoltre Gesù afferma con fermezza ed incisività: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. La testimonianza della vita, il comportamento secondo la Legge di Dio, la vita morale secondo il Vangelo sono i pilastri della trasmissione di fede. Non sono le omelie, le catechesi, o le celebrazioni e le processioni a generare la fede, ma il modo di comportarsi e di ragionare delle persone care con cui si vive ad incidere sulla formazione della coscienza.
Gesù, nel prosieguo del brano evangelico, esplicita proprio questo declinando i comportamenti errati che possiamo fare e che spesso riteniamo normali.
Pone la sottolineatura sull’intenzione che è alla base dei nostri comportamenti. La conversione della mente, dello sguardo e del cuore sono fondamentali per attuare comportamenti evangelici autentici.
L’espressione di Gesù: “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”, mette in guardia da una sicurezza di giustizia legale, di sterile osservanza della legge pensando di essere “perfetti modelli di vita di fede”, “cristiani corretti e giusti”. La giustizia a cui Gesù ci chiama e ci invita a fare nostra è quella di Dio, cioè una giustizia che si basa “sulla verità e sulla carità”.
La giustizia ha le sue radici nella carità e nella verità. Non può esserci giustizia che non parta “dall’amore per l’altro” e dalla “verità per il rispetto della dignità della persona”.
“La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore: è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività” (Caritas in Veritate, 4).
Fare “la carità della verità” (Ef 4,5) significa vivere la propria vita come dono e operare nella logica della gratuità e della misericordia: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”.
Significa cambiare mentalità, logica; significa passare dalla visione egocentrica alla visione caritativa; significa assumere il cuore e la vista di Dio, che permette di vedere l’altro sempre e solo come un fratello da amare, anche quando lui non vuole (cfr Mc 10, 17-27; Lc 22, 48; Mt 26, 49-50).
Il parlare diventa, pertanto, costruttivo e attento all’altro: “Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno” evitando ciò che genera divisione, dolore, morte interiore.
“Signore Gesù,
tu ci hai insegnato la via dell’amore,
ad amare oltre la nostra misura,
amando con la tua misura di misericordia.
Ogni giorno, però, facciamo esperienza
di quanto sia difficile cambiare mentalità,
aprire il cuore anche quando è ferito,
ad agire con amore con chi ci ha offeso.
Aiutaci con il dono del tuo Spirito
a fissare lo sguardo del cuore e della mente
alla tua croce, fonte di sapienza e di amore,
per amare come te il nostro prossimo,
per adorare e servire Te nelle persone che incontriamo,
per serviti compiendo “la carità della verità”.
Apri il nostro cuore e la nostra mente,
con il dono del tuo Spirito,
per comprendere e vivere la tua Parola,
affinché il nostro parlare ed agire
sia espressione autentica del nostro
appartenere a Te, Signore e Maestro.
Amen!”