XXII DOMENICA T.O.
“La grandezza davanti a Dio è l’umiltà”
Dopo aver presentato la salvezza possibile a tutti, ma passando per la porta stretta che è Gesù stesso, liberandosi dall’orgoglio, l’evangelista Luca ci aiuta a capire come l’umiltà è la condizione del vero credente, che si riconosce bisognoso dell’amore di Dio e si apre a riceverlo.
Il brano del vangelo di Luca, tratto dal capitolo 14, inizia con una dovizia di particolari importanti.
Gesù è a casa di uno dei capi dei farisei. I farisei sono coloro che si ritengono giusti perché credono, ma Gesù li paragona a sepolcri imbiancati, dal cuore orgoglioso ed ipocrita (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all'esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità” Mt 23, 27-28).
Gesù è a casa del fariseo con invitati del suo stesso ceto, che sono lì ad osservarlo per giudicarlo, dice l’evangelista. È questo l’atteggiamento di coloro che vivono nell’invidia e nell’ipocrisia: ripagare il bene con il male. Gesù è lì per amare e indicare la via della redenzione, e loro invece cercano l’appiglio per giudicarlo e condannarlo.
Gesù è a casa del fariseo per il pranzo nel giorno di sabato, cioè nel giorno di festa degli ebrei. È un particolare che richiama al banchetto della salvezza del Regno e Gesù presenta la condizione fondamentale per accedervi: l’umiltà.
In questo contesto Gesù racconta una parabola prendendo spunto dal loro cercare i posti di onore a tavola. Questo comportamento è espressione della superbia del cuore ed è ciò che ostacola l’accoglienza dell’Amore di Dio. Gesù indica l’atteggiamento del vero credente, che permette di partecipare al banchetto del Regno: l’umiltà!
La superbia, la presunzione della giustizia, l’arroganza, il pensarsi migliori e superiori agli altri, sono atteggiamenti che ostacolano il rapporto con Dio fino ad escluderlo definitivamente.
Il peccato originale, presentato in Genesi (Gn 3, 5), altro non è che l’egocentrismo, il voler decidere in modo autonomo senza Dio sentendosi, di fatto, un dio, superiore a tutti. Il tentatore dice ad Eva che essi “non morranno affatto, ma saranno simili a Dio”!
L’autore di Genesi, nel racconto del peccato originale, non fa altro che presentare ciò che non permette all’uomo di ogni epoca di accogliere Dio nella sua esistenza: il rifiutare la sua condizione mortale e sentirsi onnipotente e immortale.
La ricerca dei primi posti da parte degli invitati, altro non è che il bisogno di protagonismo e di sentirsi superiori a tutti.
L’uomo di ogni tempo è affetto dal bisogno di protagonismo, che si esplica nell’avere, nel potere e nell’apparire. La ricerca spasmodica dell’uomo è nel “di più” che lo distingue e lo fa sentire elevato sugli altri. Anche la religione può divenire quel “di più” che, anziché unire a Dio, porta a chiudersi a Lui e a separarsi dagli altri ritenendosi “giusti e migliori” (Cfr. Lc 18, 10-12).
Ciò che ostacola il corretto cammino di fede è l’orgoglio, la vanagloria, la superbia del cuore, come dice il brano del Siracide, nella prima lettura: “Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male” (Sir 2, 28) Solo l’umiltà permette invece di accogliere Dio e compiere la sua volontà: “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. […] Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio” (Sir 3, 18.29).
Chi è l’umile? Come si vive nell’umiltà?
L’umile è colui che è consapevole di ciò che è, di ciò che sa, di ciò che può, ma vive tutto come un dono e un servizio. San Paolo ci aiuta a capire come vivere l’umiltà con queste parole: “Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi” (Rm 12, 16).
Gesù è il modello di umiltà da seguire. Lui stesso dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11, 29) Il giogo è la Legge, la Parola di Dio. Gesù è il Figlio obbediente, che ha fatto la volontà del Padre e si è donato in sacrificio per noi (cfr Lc 22, 42).
San Paolo nell’inno della Lettera ai Filippesi (Fil 2, 5-11) ci presenta l’umiltà di Gesù come “kénosi”, “spogliazione” esortandoci a vivere nell’umiltà facendo tutto per amore di Dio e per il bene del prossimo: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2, 3-4). Vivere l’umiltà per il credente significa, dunque, riconoscere di essere amati da Dio, di essere stati perdonati e chiamati a vivere nel suo amore, seguendo i suoi insegnamenti con coscienza pura e retta.
Il cuore umile è proprio di colui che ha una coscienza capace di valutare e decidere sempre per il bene secondo la volontà di Dio. La coscienza retta ed umile è propria di chi non cerca semplicemente ciò che è bene per sé, ma anche e sempre ciò che è bene per gli altri. Non cerca il tornaconto, il contraccambio né la gloria personale, ma ciò che edifica sé e gli altri!
“Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato” (Sir 3, 19-20).