XV DOMENICA T.O.
“la gioia del cuore, la luce degli occhi”
Spesso assistiamo a discussioni circa il modo migliore di essere credenti. Soprattutto negli ultimi mesi, fiumi di parole si sono scritte sui giornali per presentare le posizioni a favore o contro il Papa; discussioni tra posizioni tradizionaliste o progressiste. Nulla di nuovo! Anche al tempo di Gesù era lo stesso: «Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù …» (Lc 10, 25). Un dottore della Legge, un esperto, una persona convinta di essere nel giusto e di amare e servire Dio.
La discussione da sempre tra coloro che credono, ma anche da parte di chi non crede, è centrata sul modo “corretto” di vivere la fede! La disquisizione è sempre sulla Legge divina, sul modo di metterla in pratica e sulla conseguente “giustizia comportamentale” che ne deriva.
La fede è, di fatto, questione di Legge? Non solo, o meglio prima di essere una questione di Legge, quindi di comportamento, è questione di accoglienza! Se tutto si ferma ad una modalità di agire, ad un legalismo, riduciamo la religione a precetti, doveri e consuetudini perdendo l’essenziale, la relazione di amore con Dio.
«Amare Dio e il prossimo!» Tutta la legge divina si riassume in questo precetto, ma cosa significa esattamente? È facile dire amo Dio, ma come va amato? Basta una mozione del cuore? È sufficiente sentire nel cuore un movimento affettivo verso di Lui per dire che lo si ama? Basta vivere delle pratiche religiose, pregare, andare a Messa, vivere i sacramenti? Sicuramente occorre tutto questo, ma viverli non significa necessariamente che lo si ama, potrebbe essere solo rispetto o paura del suo potere, del suo giudizio.
Amare Dio significa centrare tutta la propria vita in Lui, cioè vivere a partire da Lui: mente, cuore e volontà tutti orientati a Lui! Significa saper discernere ogni cosa cercando di comprendere tutte le sfaccettature possibili senza preconcetti e senza forzature; far proprio ciò che risulta degno di Dio e del nostro essere suoi figli; agire sempre con la consapevolezza che i gesti che compiamo devono essere espressione della nostra fede.
Amare Dio significa che ogni momento della nostra esistenza ha in Lui origine, da Lui trae senso, a Lui lo doniamo vivendolo responsabilmente come occasione per realizzare noi stessi in una logica di amore e gratuità.
Dall’amore per Dio deriva l’altro soggetto a cui donare il nostro amore: amare il prossimo come sé stessi. Anche la seconda parte del precetto non è semplice da realizzare. Il dottore della Legge, infatti, per giustificare la sua incapacità di attuare in pieno il precetto, domanda a Gesù: «chi è il mio prossimo?» (Lc 10, 29).
Il prossimo ci fa pensare a chi è vicino, a chi conosciamo, a chi appartiene alla nostra cerchia di parenti e amici, ma Gesù nella parabola che racconta per far capire chi sia il prossimo pone come personaggio che si fa prossimo un samaritano, che rappresenta, per il giudeo che ascolta, l’empietà pagana. Tutto questo a spiegare che l’amore per il prossimo nasce non da un precetto, da un galateo, da una filantropia, bensì dal riconoscere nell’altro sé stesso.
Il samaritano della parabola rappresenta Cristo stesso, che si dona e si china sull’umanità per consolarla, curarla e rialzarla dalla propria miseria e porla nella sua vera condizione di creatura di Dio a sua immagine e somiglianza, come ci ricorda l’inno ai Colossesi della seconda lettura: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui … Egli è il primogenito di quelli che risorgono dai morti perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Col 1, 16.18).
Cristo ci ha insegnato “come” amare («Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.”» Gv 13, 12-15).
La prima condizione per amare il prossimo è l’umiltà: Cristo si è umiliato, lui il Signore e il Maestro! Se siamo troppo pieni di noi stessi non riusciremo ad accogliere, amare, servire, correggere, consolare, consigliare, sostenere, accudire ecc.
La seconda condizione è la fiducia: Cristo, vero Dio e vero uomo, ha fiducia di noi, perché legge sempre il bene che c’è in ognuno, l’immagine di Dio. Con ogni persona esprime questa fiducia, anche se nella condizione più deplorevole, sia essa del peccato pubblico (la prostituta, l’adultera …), che di malato (lebbroso, paralitico, il cieco …). Cristo ci insegna a sperare contro ogni avversità, a non perdere mai la speranza nella redenzione. Occorre lasciare sempre la porta aperta aspettando con fiducia il ritorno di chi si è allontanato, il grazie di chi ha ricevuto, il ravvedimento di chi ha errato.
La terza, e non ultima, condizione è la propria consapevolezza di essere fragile, peccatore, fallibile, bisognoso di perdono, di comprensione, di sostegno. Solo partendo dalla propria esperienza di bisogno diventiamo capaci di amare al modo di Cristo, pronti a dare amore e perdono, a curare le ferite e farsi carico delle fragilità altrui, come il buon samaritano. Solo chi ha fatto esperienza della misericordia di Dio e della propria fragilità può accogliere e pazientare di fronte alla debolezza ed errore dell’altro.
I Comandamenti del Signore non sono, allora, delle imposizioni o delle strutture rigide che limitano la nostra libertà. Essi sono delle vie in cui sperimentare l’amore di Dio e donarlo agli altri. Sono percorsi positivi in cui facilmente raggiungere la gioia del cuore e trovare luce per conoscere come realizzarci e aiutare gli altri a fare altrettanto.
Con sempre maggiore consapevolezza rinnoviamo davanti a Dio l’impegno di amarlo con tutta la mente, il cuore e la volontà e di amare il prossimo come noi stessi.
Con le parole del Salmo 18 troviamo gioia, pace e forza per vivere nell’amore:
«La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima … I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi».