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La Luce Negli Occhi

Viaggio nell'anima attraverso la Sacra Scrittura
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XIII DOMENICA T.O.

“La vera libertà!”


 

 

       Oggi più che mai ogni persona esige, rivendica e impone la propria libertà: una libertà da strutture, da regole, da legami, da responsabilità!

          Si proclama la libertà di amore, di pensiero e si esige libertà di scelta, di decisione, di valori a cui fare riferimento. Si vuole la libertà dalla religione, dall’autorità nelle sue svariate forme perché limitante, eppure non ci si accorge che di fatto l’umanità oggi è più schiava di quando esisteva la schiavitù.

       Siamo schiavi, influenzati e condizionati dalle logiche di mercato, dalla moda, dalla pubblicità, dai vari “influencer marketing” o “influencer del web”. Siamo schiavi e condizionati attraverso l’uso dei vari social, tutti alla ricerca spasmodica di avere successo, visibilità, potere … Insoddisfatti della propria esistenza cerchiamo di imitare quella dei V.I.P., i quali schiavi a loro volta dell’immagine creata per loro, si affannano per conservare fama e successo e lottare contro la propria natura cercando di restare giovani a tutti i costi!

       In cerca dell’affermazione della propria libertà, cadiamo schiavi della comunicazione virtuale sul web, in cui si assiste alla manifestazione della libertà di pensiero senza remore e pudore a scapito delle vere relazioni di libertà basate sul rispetto reciproco.

       Dalla mitica “torre di Babele” passando per l’Illuminismo fino ad arrivare ad oggi, l’uomo è alla continua ricerca dell’affermazione e conquista della propria libertà, ma ancora non ha compreso quanto essa si raggiunge solo se si conosce ed accoglie la verità dell’esistere!

       Come Pilato, l’uomo di sempre, se non si apre alla verità, che è oltre di sé e dà senso al proprio esistere, non troverà risposta alla domanda: “Quod est veritas?”, “Cos’è la verità?”.

         La formulazione giusta di questa domanda, secondo la fede cristiana, è “Chi è la Verità?”. La risposta è Gesù Cristo, che ci ha rivelato il vero volto di Dio e la vera identità dell’uomo.

       Nel Vangelo di Giovanni, Cristo si presenta come la Verità che libera: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).

         San Paolo nella seconda lettura di questa domenica afferma: «Cristo ci ha liberati per la libertà! … Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà».

         Liberati per quale libertà? Chiamati a libertà da cosa?

         Nell’accezione più comune, il termine libertà indica un movimento positivo per raggiungere una situazione ottimale, un bene quanto mai desiderabile. Cristo ci ha liberati dalla schiavitù del male, che ci fa vivere ricurvi su noi stessi chiusi in una visione egoistica della vita, e ci ha posti nella vera condizione di libertà, che non è pensare, dire, fare ciò che si vuole, ma decidere di sé senza escludere e danneggiare il prossimo.

     La libertà vera, che tutti desideriamo, è vivere la propria esistenza come persone in relazione costruendo rapporti di fiducia e collaborazione perché ciascuno possa raggiungere la propria realizzazione.

      La libertà si vive quando non si esclude nessuno dalla propria vita; quando ogni nostra decisione e azione è fatta a partire dalla consapevolezza che ha sempre un riscontro nella vita degli altri, sia in modo diretto che indiretto, volontario o involontario.

         La libertà che Cristo ci dona ci inserisce nella condizione di comunione con Dio e con i fratelli; è una libertà per agire secondo l’amore di Dio guidati dallo Spirito.

        Per vivere questa libertà c’è una sola condizione: accogliere il dono della fede camminando nella fedeltà alla Parola. Pertanto significa fare del Cristo la regola di vita, la Legge nuova da seguire, che è una legge di amore.

       Il brano evangelico di Luca va compreso in questa logica. Accogliere l’invito di Cristo a seguirlo, accogliere il dono della fede che scaturisce dall’incontro con Lui, Via Verità e Vita, esige abbandonare la logica umana per acquisire la logica di Dio e vivere nella libertà. Se non li comprendiamo in questo modo dovremmo dire che Gesù non ha in considerazione la persona, i suoi rapporti con i familiari e i suoi naturali bisogni. Invece non è assolutamente così. Le risposte di Gesù hanno un significato più profondo di quello che possiamo comprendere dal primo ascolto.

         Gesù ci spiega che scegliere di seguirlo (e qui si intende come battezzato, come credente e quindi vale per tutti coloro che si professano cristiani e non solo per chi vive una particolare vocazione di consacrazione) richiede la disponibilità a cambiare mentalità e a vivere nella obbedienza alla sua Parola.

        La prima condizione di sequela è la fiducia in Dio, porre la propria sicurezza in Dio: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Ognuno di noi sperimenta la propria fragilità e la propria necessità, consapevole di dover avere delle sicurezze a cui aggrapparsi. Gesù ci invita a confidare in Dio e riporre in Lui la nostra fiducia, certi che nulla ci può mai separare dal suo amore (cfr. Rm 8, 35-39).

       La seconda condizione di sequela è cambiare mentalità: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. Significa imparare a pensare a partire dalla nostra condizione di figli di Dio, destinati alla gloria di Dio. Significa affrontare la vita con la continua consapevolezza di vivere ogni istante della nostra esistenza con responsabilità, ma con la tensione continua verso la vita eterna.

        La terza condizione è l’obbedienza: “nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. La fede è obbedienza, cioè volgere l’attenzione del cuore, della mente e della volontà a realizzare opere d’Amore. Colui che inizia l’opera della fede non può dubitare dell’amore di Dio e della bontà della sua proposta.

       Se vogliamo, dunque, vivere da persone libere e realizzare pienamente la nostra vita, dobbiamo comprendere il senso della nostra condizione umana, che è quella di essere figli di Dio; dobbiamo accogliere la proposta di amore di Dio e vivere con questo dono di amore ogni momento della nostra esistenza; dobbiamo vivere l’obbedienza al progetto di Dio e tessere relazioni di amore con il prossimo, perché ognuno sia posto nella condizione di poter realizzare la propria vita.

         Accogliamo l’invito di San Paolo: “camminate secondo lo Spirito!”

SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI 2019


 

 

 

         Oggi celebriamo l’ultima Solennità che chiude il ciclo delle festività dopo la Pasqua: il Corpus Domini!

         È una solennità istituita da Papa Urbano IV nel 1264 con la Bolla “Transiturus” dopo due eventi particolari: l’istituzione da parte del vescovo di Liegi (Belgio) di una festa del Corpo e Sangue di Gesù a seguito delle visioni mistiche della Beata Giuliana di Retine, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi; il miracolo eucaristico di Bolsena avvenuto nel 1263 durante la celebrazione della S. Messa presieduta da un sacerdote boemo, che dubitava della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

         Questa Solennità vuole essere, dopo le celebrazioni del Tempo Pasquale, in cui si è fatto memoria dell’Istituzione dell’Eucaristia, il Giovedì Santo, un momento di riflessione della relazione tra l’Eucaristia e la Chiesa, tra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Riflettere sulla presenza reale del Signore nelle specie eucaristiche rimanda necessariamente a riflettere sulla Chiesa nella sua identità di Corpo Mistico del Signore costituito da tutti i battezzati che vivono nella comunione con il Signore attraverso la loro vita fedele a Lui sostenuti dalla Grazia Sacramentale.

         Vogliamo, dunque, fare una breve riflessione a partire dalla contemplazione del Mistero Eucaristico per arrivare a capire la realtà del cristiano quale membra del Corpo Mistico di Cristo.

         La Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, oltre a professare la fede nel Dio rivelato Uno e Trino, credono e celebrano il dono della Sua presenza in mezzo agli uomini nell’Eucaristia. È un mistero di amore e di comunione non sempre vissuto con consapevolezza, rispetto e accoglienza. Spesso i cristiani credono più ai Santi che alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Entrando in Chiesa si fanno più facilmente atti di venerazione verso le effigi dei Santi che adorazione e genuflessione dinanzi al Tabernacolo. Siamo così abituati a celebrare Messe e a moltiplicarne il numero, che passa ormai inosservato il miracolo di amore che si rinnova ogni volta sull’altare per ogni persona che crede e celebra con devozione e fede. Accostarsi a ricevere l’Eucaristia è quasi un momento abitudinario, ma guai a svuotarlo di senso e valore.

         Il Dio cristiano non è ideologia, non è nascosto né lontano. Egli ha scelto di essere presente, vicino a noi tanto da farsi nostro cibo, perché noi potessimo entrare nella piena comunione di vita con Lui. Il dono della sua presenza nell’Eucaristia ci inserisce nella piena comunione con Dio e ci rende membra vive del suo Corpo. Accostarsi e ricevere l’Eucaristia richiede innanzitutto piena consapevolezza di ciò che si sta per ricevere, ed animo degno di ciò che si riceve attraverso un impegno di vita secondo l’insegnamento di Cristo. Per questo la Chiesa ci ricorda che per accostarci a ricevere il Corpo di Cristo occorre essere in grazia di Dio, quindi di non aver commesso peccati mortali. Occorre avere una coscienza retta e vigile, continuamente rivolta a comprendere come e meglio vivere la fede, nella fedeltà alla volontà di Dio.

         Essere cristiani non significa semplicemente aver ricevuto il Battesimo e gli altri Sacramenti dell’Iniziazione, ma significa vivere nella consapevolezza di essere membra di Cristo, cioè sua presenza nel mondo! L’impegno morale del cristiano non è tanto rispettare le Leggi morali, ma innanzitutto vivere l’appartenenza a Cristo per cui, di conseguenza, comportarsi secondo il suo insegnamento. Per il credente in Cristo viene prima l’essere dell’agire. Occorre riscoprire il primato dell’essere sul fare, solo così vivremo in piena comunione con Dio e saremo testimoni credibili della fede in Cristo. Ma cosa significa il primato dell’essere sul fare? San Paolo presenta la vita morale cristiana come la vera conquista della libertà dell’uomo, il quale viene liberato dalla schiavitù della legge per essere inserito nella piena libertà dei Figli di Dio. Il cristiano, per San Paolo, è l’uomo nuovo redento e liberato da Cristo per questo deve vivere comportandosi in maniera fedele al dono di libertà ricevuto. Questa realtà la spiega utilizzando due forme verbali nella stessa frase, l’indicativo e l’imperativo: “… ora siete luce nel Signore. Comportatevi, perciò, come figli della luce” (Ef 5, 8); “Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo.” (1 Cor 6, 20).

         Il primato dell’essere significa tenere fisso lo sguardo della nostra coscienza alla realtà di figli di Dio nella quale siamo inseriti con il dono della fede ricevuta. Se abbiamo sempre chiaro cosa siamo per la fede ricevuta, la nostra condotta di vita sarà necessariamente coerente con il dono di grazia di Cristo. Non ci preoccuperemo di apparire buoni cristiani, ma di essere e di conseguenza di vivere da tali.

         Come crescere in questa consapevolezza dell’essere sul fare? Imparando ad essere adoratori di Dio in “spirito e verità” (cfr Gv 4, 23), cioè avendo una coscienza vigile e attenta per saper discernere ciò che è buono e giusto secondo Dio.

         Adoratori di Dio, amanti della Verità, aborrendo ogni meschinità, tessendo relazioni di accoglienza e rispetto sempre nell’onesta di cuore e di mente: questo è il programma di vita del credente; questa è la vita di ciascun membro del Corpo Mistico di Cristo; questo è il modo di celebrare e ricevere l’Eucaristia.

        

SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ 2019


 

        

         La Solennità di oggi è la celebrazione dell’Amore e della Comunione, fondamento della fede cristiana ed anelito di ogni uomo.

         La fede nella Trinità è monito e sprono per ogni credente ad impegnarsi nel tessere relazioni di autentica comunione radicate nell’Amore ricevuto da Dio. Credere nella Trinità non è, dunque, semplicemente una verità di fede da accettare e in qualche modo professare, ma è un modello di comunione da vivere, per quanto possibile nonostante il limite umano, per essere autenticamente credenti.

         Cosa significa vivere relazioni di comunione, di unità, di reciprocità volte a rendere uniti nella fede, nella carità e nella speranza? Come essere ad immagine della Trinità nella nostra vita?

         Innanzitutto “essere abitati dalla Sapienza di Dio”: ciò significa vivere sempre tesi verso l’eternità; vivere il quotidiano, ogni situazione, relazione, attività con la logica della fede che trasforma tutto in occasione di crescita e comunione, quindi vivere tutto nella carità che non fa chiudere nell’egoismo e nella realizzazione personale, ma apre all’altro perché possa trovare possibilità di realizzazione e solidarietà.

         Secondo “essere cristificati”: San Paolo nella Lettera ai Galati esprime questo concetto con “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Gal 2, 20). Comprendere e arrivare a vivere in questo modo non è semplice. Richiede una vera conversione di mentalità che porta a pensare ed agire a partire dall’Amore ricevuto da Cristo. Solo se abbiamo continuamente il pensiero fisso al dono della misericordia ricevuta da Cristo, avendo fatto una forte esperienza della propria miseria e del grande amore di Dio per noi possiamo agire in modo cristificato. La fatica, la delusione, le prove e le tribolazioni a cui tutti siamo soggetti possono essere occasioni di amore e di vita oppure occasioni di rancore e di odio e quindi generare morte. Tutto dipende da come guardiamo, leggiamo, analizziamo le cose. Se abbiamo lo sguardo di Cristo in ogni momento di prova e di sconfitta sappiamo trovare la luce, la speranza, la vita! Se invece restiamo con il nostro sguardo carico delle personali miserie e limitazioni saremo sempre ricurvi su noi stessi e non sapremo vedere oltre di noi.

         Terzo “vivere le relazioni interpersonali nella logica della misericordia”. La nostra vita è una vita di relazioni. L’uomo è fatto per essere in relazione con il suo simile e con il mondo. Gesù ci ha insegnato a vivere la nostra relazione con Dio strettamente legata a quella con il nostro prossimo. Nella preghiera del Padre nostro ci ha insegnato a chiedere a Dio il dono del perdono legato alla nostra capacità di perdonare: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

         Il perdono non è facile da vivere. Solo facendo esperienza di perdono da ricevere possiamo essere capaci di donarlo a chi ci ha fatto del male. La chiesa ci invita a vivere nella logica della misericordia impegnandoci a operare in tal modo verso il nostro prossimo attraverso le opere di misericordia spirituale e corporale. Sono vie per educarci a vivere relazioni basate sull’amore.

         Contemplando la Santissima Trinità, nella reciprocità di Amore trinitario, chiediamo al nostro Dio di donarci la sua Grazia perché la nostra esistenza sia tutta orientata nella logica della misericordia attraverso relazioni di reciprocità, di amore e di perdono.

 

 

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE

1 - Consigliare i dubbiosi 2 - Insegnare agli ignoranti 3 - Ammonire i peccatori 4 - Consolare gli afflitti 5 - Perdonare le offese 6 - Sopportare pazientemente le persone moleste 7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE

1 - Dar da mangiare agli affamati 2 - Dar da bere agli assetati 3 - Vestire gli ignudi 4 - Alloggiare i pellegrini 5 - Visitare gli infermi 6 - Visitare i carcerati 7 - Seppellire i morti

DOMENICA DI PENTECOSTE 2019


 

 

         La vita cristiana è una vita secondo lo Spirito che ci è donato. San Paolo nella lettera ai Romani lo afferma e lo ribadisce più volte. Vivere secondo lo Spirito significa essere consapevoli che il Cristo risorto e asceso alla destra del Padre ci ha resi degni della vita in Dio. Essere cristiani significa credere che siamo destinati alla gloria e pertanto viviamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito; non legati alla caducità, convinti che tutto termina con la morte, ma liberati per fare del quotidiano un’anticipazione dell’eterno.

         Vivere secondo lo Spirito significa essere persone rinnovate nel cuore e nella mente, libere e gioiose. Il cristiano è portatore di speranza, costruttore di amore, annunciatore di verità! Ogni cosa, ogni momento, ogni istante è per il cristiano occasione per vivere la sua appartenenza a Dio. Lo Spirito ci vivifica perché ci libera dalla paura, dalla schiavitù del presente e del peccato. Il Signore ci ha donato il suo Spirito per farci vivere nella vera gioia e nella piena comunione con Lui perché noi non possiamo fare nulla per conquistare questo dono, ma solo in Lui possiamo essere degni della gloria di Dio.

         Se viviamo secondo la Grazia, illuminati e sostenuti dallo Spirito non possiamo essere tristi e senza speranza, altrimenti saremo fermi al Venerdì Santo e non vivremo nella gioia della Risurrezione.

         Tante volte constatiamo la miseria umana nella Chiesa: il clericalismo e il potere; il laicismo bigotto e sclerotizzato; gli scandali personali e collettivi sia del clero che dei laici; le divisioni ad ogni livello; le rivalità e i favoritismi… e potremmo continuare elencando ancora lungamente. Questa miseria esiste nella vita della comunità cristiana perché ci distraiamo da Colui che ci pone e conserva nella vera comunione con Dio: lo Spirito Santo! Spesso siamo così convinti che tutto dipenda da noi e che aver accolto la proposta cristiana ci ponga nella condizione di perfezione e giustizia da non accorgerci che invece di seminare amore e speranza cadiamo nell’autoreferenzialità!

         Lo Spirito Santo invece ci guida nella conoscenza della verità e ci edifica nell’amore perché possiamo a nostra volta annunciare la verità e edificare nell’amore la società in cui viviamo. Siamo “sale e luce del mondo”, perciò abbiamo una grande responsabilità nella società in cui viviamo, quella di portare ad ogni cuore la gioia e annunciare la verità.

         Lo Spirito Santo ci costituisce in comunione con Dio e tra noi e rende costruttori di comunione con chi ancora non crede o lo rifiuta. Vivere la fede cristiana, professarsi credenti, esercitare un ministero o un carisma nella comunità deve produrre frutti di comunione e di condivisione. Se viviamo separati, nel giudizio, nel giudizio e nel rifiuto dell’altro non viviamo secondo lo Spirito, ma secondo la carne e pertanto siamo morti e non apparteniamo a Cristo, come afferma San Paolo.

         I cristiani vivono relazioni autenticamente evangeliche se generano vita e non morte: “Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.” (Mt 5, 22-24). Ed ancora: “Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello” (Mt 7, 3-5).

         La vita secondo lo Spirito, come ci insegna San Paolo nella Lettera ai Galati, produce frutti che edificano: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5, 22). In netta contrapposizione ai frutti della carne: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5, 19-21).

         In questa solennità di Pentecoste verifichiamo la nostra condotta di vita se è secondo lo Spirito, invochiamo la misericordia del Padre per il nostro limite e chiediamo una rinnovata effusione dello Spirito perché possiamo vivere in pienezza la nostra adesione a Cristo.

         Facciamo della vita cristiana non una sterile pratica religiosa ed un moralismo che imprigiona e sclerotizza l’esistenza, ma una gioiosa esperienza di relazione con Dio e il prossimo espressa con gesti di carità nella verità. Lo Spirito Santo ci rinnovi nel cuore e nella mente per essere credenti felici, gioiosi, liberi, fedeli e seminatori di speranza.


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