Quarta Domenica di Pasqua
La liturgia oggi ci offre spunti di riflessione sul nostro rapporto con il Cristo a partire dal nostro battesimo.
Con il Battesimo noi siamo inseriti in Dio, in una relazione di figli nel Figlio. Entriamo a far parte della schiera di coloro che “hanno lavato le loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14).
Il Battesimo che abbiamo ricevuto non è quello di Giovanni il Battista, che era un battesimo di penitenza e di conversione, ma non poteva redimere. Noi abbiamo ricevuto un battesimo nella fede del Cristo risorto che ci dona la rigenerazione nello Spirito perché è compiuto nel dono di salvezza che il Cristo ci ha ottenuto con il suo sacrificio. Nella Sua offerta obbediente alla volontà del Padre, noi abbiamo ricevuto la redenzione in una nuova ed eterna alleanza ed entriamo nella profonda relazione di fede, nella sequela del Cristo, che consiste nell’ascolto della sua Parola in una relazione di “conoscenza vera” (cfr. Gv 10, 27).
Il Cristo è stato obbediente al Padre e noi, per vivere la fede, dobbiamo ascoltare il Figlio prediletto, il Pastore buono e bello. L’ascolto, che l’evangelista Giovanni ci presenta nella pericope di questa domenica, non è affatto remissivo, come può a prima vista farci pensare il paragone tra il pastore e le pecore. Giovanni mette in risalto un particolare di questa relazione di ascolto, che è il “riconoscere la voce”: non è quindi ascolto di parole, ma della sua voce riconosciuta ed accolta. Non si tratta di ascoltare parole pronunciate, comandi dati, ma Colui stesso che è Parola (Gv 1, 1). Il Pastore bello e buono, che ogni credente segue ed ascolta, è riconosciuto come Colui che dà la vita. La voce del Cristo, una volta riconosciuta ed ascoltata, interpella direttamente e profondamente le radici dell’animo, coinvolge e persuade senza esigere, perché instaura una relazione di amore e di libertà, di conoscenza intima “del Cuore a cuore”. Questa relazione è suggellata dal dono di vita eterna e dalla promessa che nessuno potrà strapparci dalle sue mani.
L’espressione finale del brano evangelico: “io e il Padre siamo una cosa sola” è carica di sentimento e ci immerge nel mistero Trinitario facendoci sentire parte di esso. Nella relazione di Gesù con noi, che nel brano evangelico è presentata con la simbologia del rapporto tra pastore e pecora, si rende presente la relazione del Figlio con il Padre proprio attraverso l’ascolto del Cristo. L’obbedienza al Figlio ci inserisce nella relazione intima con il Padre: apparteniamo al Cristo e, tramite Lui, al Padre, partecipando della loro relazione di Amore come figli nel Figlio. Questa intimità con Dio non è merito nostro o ricompensa di una nostra offerta a Lui, ma come dono del suo Amore gratuito. Nella Eucaristia si rinnova costantemente questo dono perché non offriamo sacrifici nostri, preghiere o devozioni, ma l’unico, perfetto e gradito sacrificio al Padre che è il suo Figlio obbediente. Nella nostra sequela obbediente, vivendo il comando dell’amore che il Cristo ci ha lasciato in eredità per essere riconosciuti suoi veri discepoli, noi riceviamo il dono dello Spirito che ci aiuta a superare la nostra fragilità rendendoci santi.
La vita cristiana è allora sequela del Cristo e non pratiche religiose da compiere. Non è una conquista di una perfezione e giustizia attraverso il rispetto di regole, comandi e offerta di preghiere, ma un impegno di vita nel costruire relazioni di amore a partire da coloro che abbiamo accanto a noi. La vita cristiana è rinnovamento del cuore e della mente perché ogni momento del nostro esistere sia vissuto nell’amore e nella gioia che vengono dal Cristo.
Il cristiano è l’uomo della gioia, che non significa ilarità o spensieratezza né disinteresse o fuga dalla realtà, bensì vivere la quotidianità con la consapevolezza di dover testimoniare l’Amore ricevuto dal Cristo e illuminare ogni cosa con la Sapienza, dono dello Spirito Santo, perché tutto sia fatto e vissuto come veri figli di Dio. Il cristiano dunque vive ogni momento, soprattutto quello del dolore e della prova, nella virtù della speranza che non ci fa disperare perché certi dell’amore di Dio. Anche la morte non è per il cristiano una sconfitta o una fine, ma il compimento di quella relazione che qui viviamo nella fede di figli nel Figlio.
“Signore Gesù, Pastore buono e bello delle nostre anime,
ci affidiamo a Te e ci impegniamo a seguirti in un ascolto attento della tua voce.
Tu ci conosci nell’intimo e sai la nostra debolezza e fragilità,
ma in Te noi possiamo superarle e vivere nel tuo Amore.
Da Te riceviamo la gioia vera, quella che nessuno può toglierci,
perché non è basata su cose effimere, ma dono della tua grazia.
Con questa gioia, che viene da Te,
vogliamo contagiare il mondo e
tessere relazioni vere di amore e fraternità.
Vogliamo essere degni del dono del battesimo ricevuto,
impegnandoci a vivere il nostro quotidiano,
testimoniando la tua Parola
non con sterili pratiche religiose,
ma amando e accogliendo ogni persona.
Amen.”