Terza Domenica di Pasqua
Il brano evangelico è tratto dal capitolo 21 del Vangelo di Giovanni, che dagli esegeti è considerato “l’epilogo del vangelo”, di fatto già concluso con il capitolo 20. In questo epilogo troviamo: una proiezione in quella che sarà la vita della Chiesa e presenta Gesù che si manifesta agli apostoli mentre continuano la missione loro affidata nella “pesca”, che raffigura la missione ai fratelli («Seguitemi e io vi farò pescatori di uomini» Mt 4, 19) e nel “banchetto”, che rimanda all’eucaristia, principio e fine della missione; una presentazione della nuova comunità nel suo duplice aspetto istituzionale (rappresentata dalla figura di Pietro) e quello carismatico (rappresentata dalla figura dell’apostolo Giovanni).
L’evangelista descrive il tutto con dei dettagli che non sono da leggere semplicemente in funzione redazionale, ma nel più profondo linguaggio simbolico.
Soffermiamoci su alcuni di essi: Gesù appare di nuovo ai discepoli “all’alba”, che rappresenta il passaggio e il limite tra la notte e il nuovo giorno, e “sulla riva”, che è il limite tra la terra e il mare: due dettagli che indicano la condizione di ogni uomo sempre a limite tra “tenebra e luce” e tra “morte e vita” e l’accoglienza della fede nel Cristo risorto mette il credente nella condizione di limite e di passaggio dalla condizione di tenebra e di peccato alla vita nuova di luce e di grazia.
Il dettaglio che i discepoli sono “fuori dal Cenacolo e senza avere più timore dei Giudei” (come invece è descritto nel capitolo 20), nella funzione della loro attività, che liberamente ognuno decide di intraprendere (Veniamo anche noi con te) seguendo Pietro in un legame di comunione e non di subordinazione, generata dal dono dello Spirito ricevuto, indica che sono pronti ad affrontare il mondo forti del dono di amore di Gesù.
Vanno a pesca e nonostante abbiano faticato tutta la notte non hanno preso nulla perché l’iniziativa lodevole è ancora slegata dall’ascolto pieno della parola del Cristo. Ogni iniziativa di testimonianza e di vita di fede se non scaturisce dalla piena comunione con il Signore resta infruttuosa («… senza di me non potete far nulla» Gv 15, 5). Solo dopo aver ascoltato la parola del Signore, gettata di nuovo la rete, presero una gran quantità di pesci a indicare che solo vivendo il comandamento del Signore di amarci gli uni altri, la vita della comunità sarà fruttuosa e coinvolgente, perché la missione e la testimonianza di ogni battezzato deve essere opera dello Spirito in noi.
Pietro si cinge la sopravveste perché era nudo e si getta in mare: qui è presentata simbolicamente la realtà battesimale. Pietro, come è presentato dall’evangelista, si libera del suo passato gettando in mare la presunzione e le colpe, per risalire a riva incontro a Gesù ed essere rigenerato dal suo amore.
La rete piena di centocinquantatré grossi pesci: un dettaglio numerico che ha certamente un significato forte. Molte sono le interpretazioni che si sono susseguite nei secoli, ma tutte alla fine concludono che rappresenta la totalità dell’umanità (per chi volesse approfondire si rimanda al testo: J. Oniszczuk, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20-21), Pontificio Istituto Biblico, Roma 2013, p. 127).
La missione degli apostoli culmina con il pasto comune: Gesù ha già preparato il pasto, ma aggiunge quello pescato dagli apostoli a significare che occorre aggiungere al cibo che Gesù ci dona la nostra risposta di ascolto e di sequela, che ci fa partecipare alla sua vita di Figlio rendendoci figli del Padre e fratelli tra noi in un legame di amore e di vita.
Il centro di tutto il racconto è il dialogo tra Gesù e Pietro, che non è slegato da tutto il resto ma normale conseguenza. A Pietro che si è ancora una volta dimostrato disposto a seguire il Signore e fidarsi della sua Parola, Gesù rivolge la domanda sulla quale si fonda tutta la vita della Chiesa e di ogni credente: l’Amore! La relazione di fede con Dio ha come fondamento l’amore e come fine la libertà dei figli. Dio esige da noi una risposta libera di amore e per renderci pienamente liberi vivendo relazioni di amore vero che non schiavizzano ma liberano perché fondati sulla logica del dono e non del possesso.
A Pietro Gesù chiede per tre volte: “Mi ami tu?”. È una domanda che tocca nel profondo la realtà della relazione. Usa il verbo “agapao”, che indica l’amore gratuito con il quale Dio ha amato il mondo da dare il suo unico Figlio, l’amore con il quale Gesù ci ha amati fino alla fine, l’amore dello Spirito Santo che ci fa figli adottivi e ci fa gridare “Abba Padre!” (cfr. Rm 8, 1-17) ed è l’amore con il quale noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
Pietro risponde con il verbo “philéo”, che indica l’amore di amicizia. L’uso del verbo diverso non è una sfumatura stilistica, bensì rappresenta la possibilità dell’uomo di rispondere all’amore generativo di Dio con una relazione di amicizia nella quale Gesù stesso ci ha posti (“non vi chiamo più servi, ma amici” cfr. Gv 15, 15), perché ci ha donato la sua Parola a cui noi dobbiamo dare ascolto e metterla in pratica in una relazione di amore con Lui e con i fratelli («Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» Gv 15, 12).
Il dialogo tra Gesù e Simone di Giovanni (Pietro) è un dialogo di guarigione interiore. La realtà umana di Simone, tanto generosa e altruista quanto impulsiva e presuntuosa, viene rinnovata e diventa quella di Pietro, la Roccia su cui il Cristo costruisce la sua Chiesa, chiamato a confermare i fratelli nella fede. Il triplice rinnegamento ora è sostituito dalla triplice adesione di amore, nella piena consapevolezza della propria fragilità risollevata dalla forza dell’amore misericordioso del Cristo. Pietro accogliendo la parola del Signore e rispondendo con la sua adesione di amore umano viene costituito pastore del gregge a immagine del “Pastore bello” che è il Cristo. Rinnovato dall’amore del Cristo, sempre cosciente della sua miseria e fragilità, Pietro diventa ministro del perdono e segno di unità ed è memoria del Pastore bello che tutti ama e nessuno esclude, nella universalità della sua Chiesa.
Come credenti, seguaci del Signore Gesù, Pastore bello, siamo interrogati anche noi come Pietro, nella nostra personale identità ed esperienza di vita: “Mi ami tu?”. La nostra risposta non sarà istintiva e mossa dal sentimentalismo, ma riflessiva e carica della consapevolezza della nostra realtà attraverso l’esame della propria coscienza. Al Cristo rispondiamo in verità e semplicità di cuore, rinnovandogli il nostro amore, impegnandoci nell’ascolto della sua Parola, nell’amore vicendevole e nel bisogno di sperimentare ogni giorno il suo perdono e donarlo a chi ci è prossimo.
“Signore Gesù oggi voglio rinnovare la mia risposta al tuo amore,
dicendoti con Pietro: “Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene”.
Tu, Signore, conosci la mia miseria e il mio peccato;
conosci quanta fatica faccio per conservarmi fedele al tuo amore;
sai quanto sono debole e incapace di accoglierti in ogni persona che incontro.
Nonostante questo mio limite, ti dico ancora una volta che ti amo
e che senza di te sono ancora più fragile e immerso nel mio limite.
Grazie che mi doni il tuo amore e mi accogli come sono;
grazie che ti servi di me dandomi ogni giorno l’occasione di amare
il prossimo nel tuo nome.
Rendi il mio cuore umile, la mia volontà forte e la mia mente docile
affinché sappia amare anche chi non mi ama;
agire sempre per il bene senza perdere la speranza;
pensare e parlare guidato dalla tua Parola per edificare e servire.
Amen”