Domenica tra l’Ottava di Natale – Anno A
“Famiglia: prendersi cura dell’altro nell’accoglienza reciproca”
(Sir 3, 2-6. 12-14; Sal 127; Col 3, 12-21; Mt 2, 13-15.19-23)
Il termine “famiglia” oggi ha assunto significati diversi. Si parla di coppie di fatto, unioni civili, unioni “etero ed omo”.
Oggi le famiglie cosiddette “allargate” sono sempre più a causa di molteplici fattori tra cui quello culturale.
Già da tempo sui documenti di identità e civili i termini “celibe” e “nubile” sono stati sostituiti da “libero” e “libera”. I termini “padre” e “madre” si vogliono sostituire con i generici “genitore 1” e “genitore 2”.
In questo contesto culturale la festa della “Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe” rischia, inoltre, di essere strumentalizzata per giustificare posizioni ideologiche che poco hanno a che fare con la realtà evangelica.
Di fatto mai come oggi è necessario celebrare in pienezza la Festa della “Santa Famiglia”, proprio per ribadire il valore della famiglia, il ruolo genitoriale, la sacramentalità dell’unione matrimoniale e il progetto di Dio per l’umanità.
La famiglia di Nazareth non può essere presentata come un esempio da seguire “sic et simpliciter”, ma certamente sono modello di fedeltà e di accoglienza perché hanno imparato ogni giorno a comprendere e a compiere la volontà di Dio.
Sebbene Maria e Giuseppe avevano una fede forte e salda e si sono visti scelti da Dio per un progetto di fatto a loro sconosciuto ed incomprensibile, sono un modello di accoglienza reciproca e di impegno a vivere nella carità e ad attuare i valori alti della giustizia e della fedeltà.
Non gli vengono risparmiate fatiche, sofferenze, paure e dubbi, ma nella loro fede imparano ogni giorno a fidarsi di Dio e a vivere ogni cosa con il sostegno reciproco.
Maria e Giuseppe ci insegnano a vivere la vita come un dono e fare di essa una fucina dei valori di umiltà, pazienza, accoglienza, perdono, fiducia, giustizia, attenzione agli altri e carità.
San Paolo, nella pericope della Lettera ai Colossesi (3, 12-21), ci offre la carta magna della vita familiare. Sicuramente possiamo pensare che siano state le modalità di vita della Santa Famiglia, certo è che sono indicazioni per ogni famiglia che decide di vivere in pienezza il matrimonio come sacramento.
Le indicazioni strettamente legati al rapporto coniugale e familiare meritano alcune precisazioni di carattere esegetico perché i termini usati stridono con la visione attuale. Certamente la società del tempo riteneva l’uomo in una condizione di superiorità e la donna non aveva alcuna possibilità di indipendenza sociale, ma in questo contesto culturale la fede cristiana non stravolge ma illumina ed offre la novità di relazione.
San Paolo esorta la coppia a vivere il loro rapporto tenendo presente quello tra Cristo e la Chiesa. Questo paragone lo troviamo espresso anche in altre lettere (1Cor 14, 34; Ef 5, 22-24; Tt 2, 5).
Il concetto di “sottomissione”, riferito alla moglie, è proprio della condizione della Chiesa verso il suo sposo, Cristo Gesù, la quale vive la sua relazione di amore come un dono ricevuto a cui risponde con la gratitudine e la fedeltà. La Chiesa che la donna, per l’amore del suo sposo, Cristo, è posta nella condizione di “eletta”, di “amate”, di “liberata”, così la sposa, amata dal marito nella stessa modalità del Cristo, è la prescelta, l’eletta, l’amata, la liberata.
Pertanto il marito deve amare la moglie come Cristo ama la sua Chiesa, cioè donando totalmente sé stessa fino a morire per lei, vivendo un amore di “esclusività”. Il marito, a immagine del Cristo, è ammonito ad amare la moglie e a evitare le occasioni di “infedeltà”, soprattutto a non considerarle “schiave” trattandole con “durezza”, ma ad amarle con “dolcezza” e a “servirle” come Cristo fa con la Chiesa.
San Paolo presenta anche la relazione genitori-figli. Se da un lato viene richiesta l’obbedienza, dall’altro è necessaria l’esortazione, la fiducia per stimolare la buona volontà e lo spirito di iniziativa, evitando atteggiamenti puntigliosi e vessatori che ingenerano sfiducia e apatia.
Il brano tratto dal libro del Siracide presenta la relazione genitori-figli nella volontà di Dio. Questa relazione è il luogo dove concretizzare la fede. Vivere la relazione con Dio Padre significa onorare e vivere correttamente la relazione genitori-figli.
A cosa vale vivere le pratiche della fede (preghiera, vita sacramentale) se poi non vivo la corretta relazione genitori-figli?
Come posso vivere la mia relazione di figlio di Dio non amando e curando i genitori? Come posso compiere la volontà di Dio, costruire il suo regno, se non sono un genitore attento e premuroso verso i figli sostenendoli nella loro crescita, educandoli ai valori della fede, infondendo nei lori cuori fiducia e coraggio?
A cosa vale la mia preghiera se poi non mi prendo cura dei miei genitori nella loro vecchiaia?
La festa della Santa Famiglia di Nazareth ci esorta a recuperare il valore della vita familiare; a testimoniare nella nostra società la relazione coniugale basata sulla fedeltà e rispetto; a vivere le relazioni familiari basate sull’accoglienza, il perdono, la magnanimità, l’umiltà, la sopportazione, la carità.
La festa della Famiglia di Nazareth è occasione per ridire alla nostra società, che centra tutto sull’individuo, che l’essere umano si realizza nella reciprocità e nell’accoglienza.
La famiglia è la cellula vitale della società e la piccola Chiesa domestica. Se distruggiamo questa realtà distruggeremo l’umanità. Se come credenti non testimoniamo il valore della famiglia e non comprendiamo che essa è il luogo primario dove vivere la fede, non saremo “sale” e “luce” per l’umanità e vana sarebbe la nostra fede.
Fuga in Egitto di Giotto di Bondone